Qualche cliente parlò di disservizio, e un signore che accompagnava una dama diede addirittura un colpetto a Karl col suo bastone da passeggio per spingerlo a fare più in fretta, sollecitazione questa del tutto inutile. Se almeno i clienti, vedendo che un ascensore era senza ragazzo, fossero entrati direttamente in quello di Karl, ma non lo facevano, anzi si mettevano davanti all'ascensore accanto e restavano lì, con la mano sulla maniglia, oppure ci entravano direttamente, cosa che secondo il più severo paragrafo dell'ordine di servizio i ragazzi dovevano impedire a ogni costo. Così Karl dovette correre faticosamente da un ascensore all'altro, senza tuttavia avere la sensazione di compiere esattamente il suo dovere. Oltretutto verso le tre di mattina un facchino con cui Karl aveva fatto un po' d'amicizia gli chiese un aiuto, ma Karl non potè assolutamente darglielo perché proprio in quel momento c'erano dei clienti davanti a tutti e due gli ascensori. E ci voleva presenza di spirito per decidere verso quale gruppo correre per primo. Perciò fu lieto quando tornò l'altro ragazzo, e gli gridò qualche parola di rimprovero per essere stato assente tanto a lungo, benché quello probabilmente non ne avesse alcuna colpa. Dopo le quattro ci fu un po' di calma, e Karl ne aveva davvero un gran bisogno. Appoggiato con tutto il suo peso all'inferriata dell'ascensore mangiava lentamente la sua mela, dalla quale sin dal primo morso era venuto un forte profumo, e guardava giù in basso in un cortile a lucernario circondato dalle grandi finestre delle dispense, dietro le quali splendevano nell'oscurità grappoli appesi di banane.
Questo ebook appartiene a luciana monghesci - 92138 Edito da Newton Compton Editori Acquistato il 9/23/2014 5:49:51 PM con numero d'ordine 937552
Il caso Robinson
A quel punto qualcuno gli batté sulla spalla. Karl, pensando naturalmente che fosse un cliente, in tutta fretta si ficcò la mela in tasca e senza quasi guardare l'uomo corse all'ascensore.
«Buona sera, signor Rossmann», disse però quell'uomo, «sono io, Robinson.»
«Ma com'è cambiato!» disse Karl scuotendo la testa.
«Sì, me la passo bene», disse Robinson e si guardò il vestito, che forse era composto di capi abbastanza fini, ma accostati così alla rinfusa che davano un'impressione di sordidezza. Il pezzo più notevole, indossato evidentemente allora per la prima volta, era un panciotto bianco con quattro taschini orlati di nero, sul quale Robinson cercava di attirare l'attenzione gonfiando il petto.
«Ha dei vestiti costosi», disse Karl, e per un attimo pensò all'elegante semplicità del suo vestito, nel quale non avrebbe sfigurato neppure accanto a Renell e che i due falsi amici avevano venduto. «Sì», disse Robinson, «quasi ogni giorno mi compro qualcosa. Le piace il panciotto?»
«Moltissimo», disse Karl.
«Però non sono tasche vere, son messe lì solo per bellezza», disse Robinson e prese la mano di Karl perché questi se ne accertasse. Ma Karl indietreggiò, perché dalla bocca di Robinson veniva un odore insopportabile di acquavite.
«Ha ricominciato a bere», disse Karl riavvicinandosi all'inferriata. «No», disse Robinson, «non molto», e aggiunse, in contrasto con la sua allegrezza di poco prima: «Cos'altro ci resta al mondo?».
Il colloquio fu interrotto da una corsa in ascensore, e Karl era appena ridisceso che gli ordinarono per telefono di chiamare il medico dell'albergo, perché al settimo piano una signora era svenuta. Mentre svolgeva quella commissione Karl sperava in segreto che Robinson se ne andasse, perché non voleva esser visto in sua compagnia né, ricordando gli avvertimenti di Therese, voleva saper nulla neanche di Delamarche. Invece Robinson stava ancora lì ad aspettarlo nella rigida posa dell'ubriaco, e proprio in quel momento passava un alto funzionario dell'albergo in vestito nero e cilindro, ma per fortuna non parve aver notato Robinson.
«Non vuol venire una volta a trovarci, Rossmann? Adesso ce la passiamo molto bene», disse Robinson guardando Karl con aria invitante.
«Chi è che m'invita, lei o Delamarche?», chiese Karl.
«Io e Delamarche. Lo desideriamo tutti e due», disse Robinson.
«Allora io dico a lei, e la prego di riferire esattamente anche a Delamarche: qualora non fosse ancora sufficientemente chiaro, la nostra è stata una separazione definitiva. Loro due mi hanno fatto più male di chiunque altro. Oppure si son messi in testa di non lasciarmi in pace neanche ora?»
«Ma noi siamo i suoi compagni», disse Robinson, e gli salirono agli occhi le lacrime disgustose dell'ubriachezza. «Delamarche le manda a dire che vuol risarcirla di tutto quel che le ha fatto. Adesso abitiamo con Brunelda, una cantante magnifica.» E facendo seguito a queste parole si mise a cantare a gran voce una canzone, ma Karl lo zittì subito: «Faccia silenzio, e immediatamente; non si rende conto di dove si trova?».
«Rossmann», disse Robinson, intimidito per essersi messo a cantare così, «io sono il suo camerata, dica pure tutto quel che vuole. Adesso che lei gode di una posizione così buona, non potrebbe darmi un po'di soldi?»
«Andrebbe subito a berseli», disse Karl, «vedo che in tasca porta addirittura una bottiglia di acquavite, e di sicuro ha bevuto mentre ero via, perché all'inizio era ancora abbastanza in sé.»
«È solo per tenermi su quando faccio una commissione», disse Robinson per scusarsi.
«Rinuncio ad ogni tentativo di correggerla», disse Karl.
«Ma i soldi!», disse Robinson con gli occhi sbarrati.
«Lei di sicuro ha avuto da Delamarche l'incarico di raccattar denaro. Bene, le darò il denaro, ma solo a condizione che se ne vada subito di qui e non mi venga più a cercare. Se vorrà comunicarmi qualcosa mi scriva. Karl Rossmann, ragazzo d'ascensore, Hotel Occidental, basta come indirizzo. Ma qui, lo ripeto, lei non dovrà più tornare. Qui sono in servizio e non ho tempo di ricever visite. Dunque accetta il denaro a questa condizione?», chiese Karl e portò la mano al taschino del panciotto, perché era deciso a sacrificare le mance di quella notte. A quella domanda Robinson rispose con un cenno del capo, respirando pesantemente.
! Karl non comprese bene e ripetè la domanda: «Sì o no?».
A quel punto Robinson gli fece cenno di avvicinarsi e sussurrò deglutendo convulsamente in un modo che non lasciava adito a dubbi: «Rossmann, mi sento malissimo».
«Al diavolo!», si lasciò sfuggire Karl, e con tutte e due le mani lo trascinò verso la ringhiera. E già dalla bocca di Robinson si riversava nel vuoto un fiotto di vomito.
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