Mario tentò di affinarsi per essere all'altezza della situazione e, com'è naturale, ricordò di essere un letterato. La parte più fine della sua natura si destò per protendersi alla storia. Disse letteralmente: “Vorrei saper descrivere quello che oggi sento. - E, dopo una lieve esitazione: - Bisognerebbe avere una penna d'oro con cui vergare le parole su una pergamena alluminata”.

Era una rinunzia, perchè fra altre molte cose, a Trieste mancavano allora penne d'oro e pergamene alluminate. Ma al Gaia parve tutt'altro, e s'arrabbiò come sanno arrabbiarsi i beoni.

Gli parve cosa enorme che il Samigli osasse anche solo menzionare la propria penna al cospetto di un avvenimento d'importanza storica. Strinse le labbra come per nascondere nella bocca un grosso insulto che vi si formava per genesi spontanea, poi riaperse il pugno, che s'era stretto da sè, mentr'egli guardava il naso roseo del letterato, ma non seppe trattenere la reazione più efficace della parola e anche del pugno, ch'era stata pensata da lungo tempo, ma che mancava ancora della maturità che le può venire dall'accuratata preparazione: La burla si scaricò sul capo del povero Mario come se si fosse trattato di un esplosivo che per caso avesse trovato il contatto col fuoco. Così il Gaia imparò che anche la burla come tutte le altre opere d'arte può essere improvvisata. Egli non credeva al suo successo e si preparava ad annullarla dopo di essersene servito a manifestare il suo disprezzo a quel presuntuoso. Poi, invece, Mario abboccò tanto bene che liberarnelo sarebbe costato uno sforzo grande. E il Gaia lasciò vivere la burla, ricordando come a Trieste vi fossero pochi divertimenti. Bisognava rifarsi di un'epoca troppo lunga di serietà.

La iniziò con veemenza: “Dimenticavo di dirtelo. Tutto si dimentica in una giornata simile. Sai chi ho visto nella folla plaudente? Il rappresentante dell'editore Westermann di Vienna. M'avvicinai a lui per seccarlo. Applaudiva anche lui che non sa una parola di italiano. E invece che risentirsi, mi parlò subito di te. Mi domandò quali impegni tu avessi col tuo editore per quel tuo vecchio romanzo Una Giovinezza. Se non erro, tu l'hai venduto quel libro?”.

“Nient'affatto, - disse Mario con grande calore. - È mio, del tutto mio. Pagai le spese dell'edizine fino all'ultimo centesimo, a dall'editore non ebbi mai niente”.

Parve che il commesso viaggiatore desse grande importanza a quanto apprendeva. Egli ben sapeva quale aspetto dovesse assumere un uomo quando improvvisamente vede affacciarsi la possibilità di un buon affare, perchè egli aveva almeno una volta al giorno quell'aspetto. Si raccolse e s'inarcò come se avesse voluto prendere uno slancio:

“C'è allora la possibilità di vendere quel romanzo - esclamò - Peccato ch'io non lo avessi saputo. E se ora buttano subito fuori di Trieste quel tedescone? Addio affare! Pensa ch'egli è venuto a Trieste proprio per trattare con te”.

Mario era indignato, e bisogna constatare con un po' di sorpresa che l'indignazione fu il primo suo sentimento all'annunzio dell'inaspettato successo, mentre non aveva mai conosciuto l'indignazione nei lunghi anni di vana attesa. Come aveva potuto credere il Gaia che il romanzo non fosse più suo? Chi mai in quegli anni aveva domandato di acquistarlo? E fu oppresso da un'ira ch'era insopportabile, perchè subito intese che non doveva rivelarla. Egli era ora tutto nelle mani del Gaia e vedeva che non doveva offenderlo. Ma con dolore pensò che si trovava nelle mani di persona che con la sua leggerezza minacciava di rovinarlo.

Bisognava ricordare come il mondo apparisse sconvolto e disordinato in quei giorni. Se il rappresentante dell'editore era sparito nella folla, e non ci pensava lui stesso a riapparire, convinto com'era che l'affare di cui era incaricato fosse già stato fatto da altri, sarebbe stato impossibile rintracciarlo. Non c'era mai stata a questo mondo una folla simile a quella che si muoveva allora fra Triste e Vienna, attaccata agli scarsi treni ferroviari, o in forma d'ininterrotta fiumana, a piedi, sulle vie maestre, composta dall'esercito in fuga e da borghesi emigranti o rimpatrianti, tutti anonimi, ignoti come schiere di bestie cacciate dall'incendio o dalla fame.

Non dubitò un istante della perfetta verità delle comunicazioni del Gaia. Doveva essere più disposto alla credulità in seguito a quel successo di ogni sera del suo romanzo nella stanza del fratello.