Data la violenza dellʹurto la nave, che sotto la spinta combinata del vento e dei suoi quattrocento cavalli vapore procedeva a tredici nodi allʹora, sarebbe certo colata a picco con i suoi duecentotrentasette passeggeri se lo scafo non avesse dimostrato una resistenza a tutta prova. Il fatto era accaduto verso le cinque del mattino, quando cominciavano ad apparire le prime luci. Gli ufficiali di guardia si erano precipitati a esaminare lʹoceano con scrupolosa attenzione, ma non avevano visto nulla, se non un forte risucchio a circa seicento metri di distanza, come se in quel punto lʹacqua fosse fortemente agitata. Immediatamente era stato eseguito il rilevamento e la ʺMoravianʺ aveva continuato la sua rotta senza apparenti danni. Aveva urtato contro una roccia sommersa o contro qualche grosso relitto? Impossibile dirlo. Rientrata in porto si riscontrò che una parte della chiglia era stata strappata. Il fatto, per quanto molto grave, sarebbe forse stato presto dimenticato come molti altri di quel genere se qualche tempo dopo non ne fosse accaduto uno analogo nelle medesime condizioni. Ma, sia a causa della nazionalità della nave vittima dellʹinfortunio, sia per la reputazione della compagnia armatrice, la ʺCunardʺ, la cosa ebbe una risonanza enorme.
Era il 13 aprile, con mare calmo e brezza leggera. La ʺScotiaʺ si trovava a 15 gradi e 12 primi di longitudine e a 45 gradi e 37
primi di latitudine, navigando alla velocità di tredici nodi, sotto la spinta dei suoi mille cavalli vapore.
Alle sedici e diciassette, mentre i passeggeri erano riuniti a prendere il tè nel salone principale, fu sentito un colpo non molto forte contro la chiglia della nave. La ʺScotiaʺ non aveva urtato, ma era stata urtata e da qualcosa che era più tagliente o più perforante che contundente. La collisione era sembrata così leggera che nessuno a bordo si sarebbe allarmato se i marinai di sottocoperta non fossero risaliti sul ponte gridando:
‐ Affondiamo! Affondiamo!
Il panico si diffuse tra i passeggeri, ma il comandante Anderson riuscì a rassicurarli, spiegando che la ʺScotiaʺ, protetta da ben sette compartimenti stagni, poteva affrontare senza gravi conseguenze unʹeventuale falla. Quindi si recò personalmente nella stiva dove accertò che già il quinto compartimento era stato invaso dallʹacqua; la rapidità con cui era stato inondato dimostrava che la falla era rilevante. Fortunatamente le caldaie non si trovavano in quel settore.
Il comandante diede immediatamente lʹordine di fermare le macchine e mandò un marinaio ad accertare lʹentità del danno. Si seppe così che nella carena esisteva una falla larga circa due metri. Una via dʹacqua di tale ampiezza non poteva certo venire tappata con i mezzi di bordo e la ʺScotiaʺ fu costretta a proseguire il suo viaggio con le ruote semisommerse.
Pur trovandosi a sole trecento miglia da Capo Clear, attraccò al molo della Compagnia a Liverpool con un ritardo di tre giorni.
Sbarcati i passeggeri, gli ingegneri esaminarono la nave. Ciò che videro li sorprese: due metri e mezzo sotto la linea di galleggiamento, si apriva una fessura a forma di triangolo isoscele i cui bordi si presentavano tagliati nettamente, tanto da sembrare opera di uno strumento meccanico. Bisognava quindi dedurre che lʹoggetto perforante fosse fatto di un metallo speciale e che, dopo esser stato lanciato con incredibile forza, al punto di squarciare una lamiera di quattro centimetri di spessore, si fosse ritirato da sé con un movimento allʹindietro assolutamente inspiegabile, tanto rapidamente che la manovra di retromarcia non aveva lasciato alcun segno sui bordi della falla.
Questʹultimo strepitoso episodio appassionò di nuovo lʹopinione pubblica. Da quel momento tutti gli infortuni navali non provocati da una causa ben chiara vennero attribuiti al ʺmostroʺ e su quel fantastico essere si scaricarono le responsabilità di tutti i naufragi il cui numero, purtroppo, era in aumento. Sulle tremila navi che ogni anno vanno perdute, duecento scompaiono senza lasciare traccia, e il mostro fu accusato di averle trascinate a picco, oltre che di aver reso pericolose le linee di navigazione tra i vari continenti. E nuovamente la stampa si scatenò, chiedendo fermamente che i mari fossero una buona volta liberati dal misterioso cetaceo.
2. Il pro e il contro.
Nel periodo in cui questi avvenimenti accadevano, ero appena rientrato da unʹesplorazione scientifica nelle terre selvagge del Nebraska, negli Stati Uniti. Era stato il governo di Parigi che mi aveva aggregato a quella spedizione, nella mia qualità di professore aggiunto al Museo di Storia Naturale.
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