Nient’altro infatti significa la domanda, con cui Nietzsche intrappola il lettore: «Che cos’è aristocratico?». Il libro culmina in questa domanda finale, sapientemente preparata, suggerita da un caleidoscopio di discussioni all’apparenza rapsodiche. E per contro, che cos’è volgare? Il punto di partenza, per rispondere a questa duplice domanda, è illusionistico.
Qui, nell‘“Al di là del bene e del male”, la precisazione delle classi aristocratiche e delle virtù aristocratiche non è lo scopo principale, anche se Nietzsche lo pone in evidenza. Viene spiegato che cosa nel mondo della storia manifesta l’istinto aristocratico e quello volgare, per alludere alla natura degli istinti stessi. L’interiorità primitiva con cui un individuo sente il mondo che lo circonda, e reagisce in conseguenza, è ciò che interessa Nietzsche. La documentazione grossolana, macroscopica di questi istinti, è la storia degli uomini.
Ma il gusto aristocratico e quello volgare vanno poi rintracciati all’origine, prima che intervenga la mediazione del collettivo. Ed è allora che Nietzsche racconta, velatamente, se stesso. L’istinto del distacco, ecco, forse è questa la radice dell’aristocratico. Il dividersi, il contrapporsi a tutto quanto sta intorno, nel pensiero, nell’azione, il tenersi fuori, lontano, separato. Questo sembra il
“pathos” sotterraneo che sta alla base di tutte le configurazioni del gusto aristocratico. «La profonda sofferenza rende nobili; essa divide». Il dolore è nel gusto di Nietzsche - ed è contro il gusto del mondo moderno. E il distaccarsi, nell’azione, porta al nascondersi di fronte agli altri: così la separazione non sarà turbata. Di qui l’insistenza, nell‘“Al di là del bene e del male”, sul tema della maschera. Esaminando l’agire degli aristocratici, si scopre che esso esprime prima di ogni altra cosa il loro istinto del distacco, e lo manifesta con una molteplicità di maschere, che vengono fraintese dai volgari come gli unici, come i veri volti. I libri, le opere, le filosofie - se dietro c’è un aristocratico - sono soltanto maschere.
Qui si cela il tranello teso da Nietzsche al lettore, ciò che nessuno si aspetterebbe da lui, e che anche in questo libro appare solo fugacemente. - Voi andate a caccia delle mie opinioni, delle mie dottrine; ma queste sono soltanto delle maschere! E quando parlo degli altri, non datemi retta. - Leggiamo addirittura che è un gesto aristocratico «il lodare sempre solo quando non si è d’accordo». Ma allora il biasimare può anche voler dire che si è d’accordo?
Qui non interessano più parole, opinioni, pensieri. Indicare la propria natura, conta solo questo. E neppure il bisogno di nobiltà interessa, lo dichiara lui stesso. Chi è aristocratico non sente il bisogno di esserlo, chi ne sente il bisogno non lo è. Infine la solitudine, il “pathos” caratteristico di Nietzsche, qui viene spiegata nella sua origine. La solitudine non è uno stato di abbandono, non è un risultato, non dipende dall’esterno, non è qualcosa che si patisce. La solitudine è istinto per la pulizia, come spontaneità, come qualcosa che nasce dalla natura. Dunque è in questo slancio - «sublime inclinazione e trasporto per la pulizia» - che Nietzsche esprime nel modo più fisiologico, epidermico, veramente immediato e anti-astratto, la sua risposta alla domanda «Che cos’è aristocratico?».
Nella solitudine come istinto di pulizia si traduce più concretamente
- di fronte alla collettività degli uomini - quell’impulso al distacco, che è uno slancio radicale dell’anima aristocratica.
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