A un tratto si trovò accanto a un tavolinetto, tutto di solido cristallo, a tre piedi: sul tavolinetto c'era una chiavetta d'oro. Subito Alice pensò che la chiavetta appartenesse a una di quelle porte; ma oimè! o le toppe erano troppo grandi, o la chiavetta era troppo piccola. Il fatto sta che non potè aprirne alcuna. Fatto un secondo giro nella sala, capitò innanzi a una cortina bassa non ancora osservata: e dietro v'era un usciolo alto una trentina di centimetri: provò nella toppa la chiavettina d'oro, e con molta gioia vide che entrava a puntino!

Aprì l'uscio e guardò in un piccolo corridoio, largo quanto una tana da topi: s'inginocchiò e scorse di là dal corridoio il più bel giardino del mondo. Oh! quanto desiderò di uscire da quella sala buia per correre su quei prati di fulgidi fiori, e lungo le fresche acque delle fontane; ma non c'era modo di cacciare neppure il capo nella buca. “Se almeno potessi cacciarvi la testa! — pensava la povera Alice. — Ma a che servirebbe poi, se non posso farci passare le spalle! Oh, se potessi chiudermi come un telescopio! Come mi piacerebbe! Ma come si fa?” E quasi andava cercando il modo. Le erano accadute tante cose straordinarie, che Alice aveva cominciato a credere che poche fossero le cose impossibili. Ma che serviva star lì piantata innanzi all'uscio? Alice tornò verso il tavolinetto quasi con la speranza di poter trovare un'altra chiave, o almeno un libro che indicasse la maniera di contrarsi come fa un cannocchiale: vi trovò invece un'ampolla, (e certo prima non c'era, — disse Alice), con un cartello sul quale era stampato a lettere di scatola: “Bevi.”

— È una parola, bevi! — Alice che era una bambina prudente, non volle bere. — Voglio vedere se c'è scritto: “Veleno” — disse, perchè aveva letto molti raccontini intorno a fanciulli ch'erano stati arsi, e mangiati vivi da bestie feroci, e cose simili, e tutto perchè non erano stati prudenti, e non s'erano ricordati degl'insegnamenti ricevuti in casa e a scuola; come per esempio, di non maneggiare le molle infocate perchè scottano; di non maneggiare il coltello perchè taglia e dalla ferita esce il sangue; e non aveva dimenticato quell'altro avvertimento: “Se tu bevi da una bottiglia che porta la scritta “Veleno”, prima o poi ti sentirai male.”

Ma quell'ampolla non aveva l'iscrizione “Veleno”. Quindi Alice si arrischiò a berne un sorso. Era una bevanda deliziosa (aveva un sapore misto di torta di ciliegie, di crema, d'ananasso, di gallinaccio arrosto, di torrone, e di crostini imburrati) e la tracannò d'un fiato.

— Che curiosa impressione! — disse Alice, — mi sembra di contrarmi come un cannocchiale!

Proprio così. Ella non era più che d'una ventina di centimetri d'altezza, e il suo grazioso visino s'irradiò tutto pensando che finalmente ella era ridotta alla giusta statura per passar per quell'uscio, ed uscire in giardino. Prima attese qualche minuto per vedere se mai diventasse più piccola ancora. È vero che provò un certo sgomento di quella riduzione: — perchè, chi sa, potrei rimpicciolire tanto da sparire come una candela, — si disse Alice. — E allora a chi somiglierei? — E cercò di farsi un'idea dell'apparenza della fiamma d'una candela spenta, perchè non poteva nemmeno ricordarsi di non aver mai veduto niente di simile!

Passò qualche momento, e poi vedendo che non le avveniva nient'altro, si preparò ad uscire in giardino. Ma, povera Alice, quando di fronte alla porticina si accorse di aver dimenticata la chiavetta d'oro, e quando corse al tavolo dove l'aveva lasciata, rilevò che non poteva più giungervi: vedeva chiaramente la chiave attraverso il cristallo, e si sforzò di arrampicarsi ad una delle gambe del tavolo, e di salirvi, ma era troppo sdrucciolevole. Dopo essersi chi sa quanto affaticata per vincere quella difficoltà, la poverina si sedette in terra e pianse.

— Sì, ma che vale abbandonarsi al pianto! — si disse Alice. — Ti consiglio invece, cara mia, di finirla con quel piagnucolìo!

Di solito ella si dava dei buoni consigli (benchè raramente poi li seguisse), e a volte poi si rimproverava con tanta severità che ne piangeva. Si rammentò che una volta stava lì lì per schiaffeggiarsi, per aver rubato dei punti in una partita di croquet giocata contro sè stessa; perchè quella strana fanciulla si divertiva a credere di essere in due. “Ma ora è inutile voler credermi in due — pensò la povera Alice, — mi resta appena tanto da formare un'unica bambina.”

Ecco che vide sotto il tavolo una cassettina di cristallo. L'aprì e vi trovò un piccolo pasticcino, sul quale con uva di Corinto era scritto in bei caratteri “Mangia”. — Bene! mangerò, — si disse Alice, — e se mi farà crescere molto, giungerò ad afferrare la chiavetta, e se mi farà rimpicciolire mi insinuerò sotto l'uscio: in un modo o nell'altro arriverò nel giardino, e poi sarà quel che sarà!

Ne mangiò un pezzetto, e, mettendosi la mano in testa, esclamò ansiosa: “Ecco, ecco!” per avvertire il suo cambiamento; ma restò sorpresa nel vedersi della stessa statura. Certo avviene sempre così a quanti mangiano pasticcini; ma Alice s'era tanto abituata ad assistere a cose straordinarie, che le sembrava stupido che la vita si svolgesse in modo naturale.

E tornò alla carica e in pochi istanti aveva mangiato tutto il pasticcino.

 

II

 

LO STAGNO DI LAGRIME

 

 

— Stranissimo, e sempre più stranissimo! esclamò Alice (era tanta la sua meraviglia che non sapeva più parlare correttamente) — mi allungo come un cannocchiale, come il più grande cannocchiale del mondo! Addio piedi! (perchè appena si guardò i piedi le sembrò di perderli di vista, tanto s'allontanavano.) — Oh i miei poveri piedi! chi mai v'infilerà più le calze e vi metterà le scarpe? Io non potrò più farlo! Sarò tanto lontana che non potrò più pensare a voi: bisogna che vi adattiate. Eppure bisognerebbe che io li trattassi bene, — pensò Alice, — se no, non vorranno andare dove voglio andare io! Vediamo un po'... ogni anno a Natale regalerò loro un bel paio di stivaletti!

E andava nel cervello mulinando come dovesse fare.

“Li manderò per mezzo del procaccia, — ella pensava, — ma sarà curioso mandar a regalar le scarpe ai propri piedi! E che strano indirizzo!

 

Al signor Piedestro d'Alice

Tappeto

Accanto al parafuoco

(con i saluti di Alice)

 

“Poveretta me! quante sciocchezze dico!”

In quel momento la testa le urtò contro la volta della sala: aveva più di due metri e settanta di altezza! Subito afferrò la chiavettina d'oro e via verso la porta del giardino.