America
FRANZ KAFKA
AMERICA
AMERICA
IL FUOCHISTA
LO ZIO
UNA VILLA NEI PRESSI DI NEW YORK
VERSO RAMSES
HOTEL OCCIDENTAL
IL CASO ROBINSON
UN ASILO
IL TEATRO NATURALE DI OKLAHOMA
FRAMMENTI
I
II • LA PARTENZA DI BRUNELDA
POSTFAZIONI DI MAX BROD
POSTFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE
POSTFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE
POSTFAZIONE ALLA TERZA EDIZIONE
IL FUOCHISTA
Quando il sedicenne Karl Rossmann, mandato in America dai suoi poveri genitori perché una cameriera l'aveva sedotto e aveva avuto un figlio da lui, entrò con la nave a velocità ridotta nel porto di New York, vide la Statua della Libertà, che già stava contemplando da tempo, come immersa in una luce d'un tratto più intensa. Il braccio con la spada sembrava essersi appena alzato, e attorno alla sua figura spiravano liberi i venti.
«Com'è alta!» disse fra sé, e poiché non si decideva ad andarsene, a poco a poco fu spinto fino al parapetto della nave dalla massa sempre crescente dei facchini che lo oltrepassavano.
Un giovane, che aveva conosciuto di sfuggita durante il viaggio, disse passando: «Allora, non ha ancora voglia di scendere a terra?». «Ma sono pronto», disse Karl sorridendogli, e con baldanza e perché era un ragazzo robusto, si caricò la valigia in spalla. Ma quando seguì con lo sguardo il suo conoscente che si allontanava con gli altri roteando il bastone, si accorse sgomento di aver dimenticato l'ombrello giù nella nave. Pregò subito il conoscente, che non sembrava molto entusiasta, di voler gentilmente attendere un momento vicino alla sua valigia, valutò la posizione per orientarsi al ritorno e se ne andò di corsa. Sotto, con suo rincrescimento, trovò sbarrato per la prima volta un passaggio che gli avrebbe di molto abbreviato la strada, probabilmente a causa dello sbarco dei passeggeri, e dovette cercare a fatica la via per scale che non finivano mai, lungo corridoi pieni di curve, attraverso una cabina vuota con una scrivania abbandonata, sinché infine, dato che aveva percorso quel tragitto soltanto una o due volte e sempre in compagnia di qualcuno, si accorse di essersi smarrito del tutto. Disorientato, poiché non aveva incontrato anima viva e udiva sempre soltanto lo scalpiccio di migliaia di piedi sopra di sé e da lontano, come un anelito, gli arrivava l'ultima eco delle macchine ormai ferme, senza riflettere cominciò a bussare a una porticina vicino alla quale si era fermato nel suo vagabondare.
«È aperto», gridò qualcuno dall'interno, e con un vero sospiro di sollievo Karl aprì la porta. «Perché bussa come un pazzo?» chiese un uomo gigantesco, alzando appena gli occhi su Karl. Da un abbaino in alto una luce fosca, quasi si fosse consumata da tempo su nella nave, pioveva nella misera cabina, nella quale, come in un deposito, erano stipati un letto, un armadio, una sedia e l'uomo. «Mi sono smarrito», disse Karl, «durante il viaggio non me n'ero mai accorto, ma è una nave spaventosamente grande». «Sì, in questo ha ragione», disse l'uomo con un certo orgoglio, senza smettere di trafficare attorno alla serratura di una piccola valigia, su cui premeva entrambe le mani restando in ascolto per cogliere il momento dello scatto. «Ma entri!» continuò poi. «Non vorrà star lì fuori!». «Non disturbo?» chiese Karl. «E perché dovrebbe disturbare?». «Lei è tedesco?» cercò di rassicurarsi Karl, avendo sentito parlare dei pericoli che in America minacciano i nuovi arrivati, soprattutto da parte degli irlandesi. «Lo sono, lo sono», rispose l'altro. Karl esitava ancora. Allora l'uomo afferrò d'un tratto la maniglia della porta, e chiudendola in fretta, spinse dentro anche Karl. «Non posso sopportare che mi guardino dentro dal corridoio», disse l'uomo, che trafficava di nuovo con la sua valigia, «tutti passano di qui e guardano dentro, è intollerabile!». «Ma non c'è nessuno nel corridoio» disse Karl, che stava lì a disagio schiacciato contro i montanti del letto. «Già, adesso», replicò l'uomo. Però stiamo parlando di adesso, pensò Karl, è difficile discutere con costui! «Si stenda sul letto, così avrà più posto», disse l'uomo. Karl scivolò nel letto alla meglio e al primo vano tentativo di saltarvi dentro rise forte. Ma non appena fu nel letto, gridò: «Dio mio, ho completamente dimenticato la mia valigia!». «E dov'è?». «Su in coperta, un conoscente la sorveglia. Come si chiama, poi?». E dalla tasca segreta che sua madre gli aveva cucito per il viaggio nella fodera della giacca, prese un biglietto da visita. «Butterbaum, Franz Butterbaum».
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