Era proprio come se il fuochista non esistesse più. Karl fissò a lungo negli occhi lo zio, le cui ginocchia erano quasi a contatto con le sue, e fu colto dal dubbio che quest'uomo potesse mai sostituire il fuochista per lui. E lo zio evitò il suo sguardo e si mise a guardare le onde che cullavano la loro scialuppa.

 

LO ZIO

 

 

 

In casa dello zio Karl si abituò presto alla nuova condizione. Ma anche lo zio gli veniva incontro con gentilezza in ogni piccola cosa, e mai Karl ebbe a subire le tristi esperienze che in genere amareggiano il primo periodo di vita in un paese straniero.

La stanza di Karl si trovava al sesto piano di una casa in cui i cinque piani inferiori, ai quali se ne aggiungevano altri tre sotterranei, erano occupati dall'azienda commerciale dello zio. La luce che penetrava nella sua stanza da due finestre e da una porta-finestra stupiva ogni volta Karl, quando usciva la mattina dalla stanzetta in cui dormiva. Dove mai avrebbe dovuto abitare, se fosse entrato nel paese come un povero piccolo immigrante? Già forse non l'avrebbero neppure lasciato entrare negli Stati Uniti, come lo zio riteneva molto probabile, data la sua conoscenza delle leggi d'immigrazione, bensì l'avrebbero rimandato a casa, senza stare a preoccuparsi del fatto che non aveva più una patria. Infatti lì non c'era da sperare nella compassione, e tutto ciò che Karl aveva letto sull'America al riguardo era più che giusto; lì soltanto i fortunati sembravano godersi davvero la loro fortuna, tra i volti noncuranti di chi li circondava.

Davanti alla stanza, per tutta la sua lunghezza, correva un balcone stretto. Ma quello che nella città natale di Karl sarebbe stato il punto di vista più alto, qui lasciava vedere soltanto il panorama di una strada che correva dritta tra due file di case dai tetti letteralmente tronchi e quindi si perdeva come in fuga in lontananza, dove da una spessa foschia si ergevano immense le forme di una cattedrale. E la mattina come la sera e nei sogni della notte su questa strada si svolgeva un traffico sempre più incalzante che, visto dall'alto, si configurava come un'accozzaglia, di volta in volta diversa, di figure umane distorte e di tetti di veicoli d'ogni specie, da cui a sua volta si levava un'altra accozzaglia, ancora più caotica e complessa, di rumori, polvere e odori, e tutto questo era investito e pervaso da una luce possente, che sempre era infranta, allontanata e poi subito riportata dalla moltitudine degli oggetti, e l'insieme, all'occhio confuso, appariva di concretezza tale, come se al di sopra della strada venisse spezzata ad ogni momento con estrema forza una lastra di vetro che ricopriva il tutto.

Lo zio, prudente com'era sempre, consigliò a Karl di non impegnarsi seriamente in niente per il momento. Certo, doveva studiare ed esaminare ogni cosa, ma senza lasciarsi catturare. In fondo i primi giorni di un europeo in America erano paragonabili a una nascita, e anche se lì, tanto perché Karl non si lasciasse prendere da inutili paure, ci si abituava più in fretta di quanto farebbe chi dalla vita ultraterrena entra in questa, bisognava tenere ben presente che il primo giudizio è sempre opinabile e che forse non dovrebbe turbare tutti gli altri giudizi futuri utili per regolare la propria vita nel paese. Lui stesso aveva conosciuto certi nuovi arrivati che ad esempio, anziché attenersi a questi sani principi, erano stati per giorni sul balcone a guardare la strada al disotto, come pecore smarrite. Chiunque ne sarebbe rimasto confuso! L'inattività e la solitudine, che accendono l'entusiasmo per un attivo giorno di New York, potevano essere concessi a qualche turista e forse, anche se non senza riserve, consigliati, ma per uno destinato a restare in America erano una rovina, in questo caso si poteva tranquillamente usare questa parola, anche se era esagerata. E in effetti lo zio faceva una smorfia di dispetto quando trovava Karl sul balcone durante una delle sue visite, che si verificavano sempre soltanto una volta al giorno e sempre nelle ore del giorno più disparate. Karl se ne accorse presto e di conseguenza si vietò il piacere, per quanto poteva, di stare sul balcone.

D'altra parte questo non era certo il solo piacere che avesse. Nella sua stanza c'era una scrivania americana della migliore qualità, come suo padre aveva desiderato per anni e come aveva cercato di acquistare a varie aste a un prezzo basso, a lui accessibile, senza però mai riuscirvi dati i suoi scarsi mezzi. Naturalmente questa scrivania non era paragonabile alle cosiddette scrivanie americane, che si vedono in giro nelle aste europee. Ad esempio, nella sua alzata c'erano cento scomparti di diversa grandezza, e persino il presidente degli Stati Uniti avrebbe trovato il posto giusto per ognuno dei suoi documenti, ma in più a fianco della scrivania c'era un regolatore, e girando una manovella era possibile effettuare a piacere e secondo il bisogno tutti i cambiamenti e gli spostamenti possibili. Sottili paretine divisorie si abbassavano lentamente e costituivano il fondo o il soffitto di tanti nuovi scomparti; già dopo un giro di manovella l'alzata aveva un aspetto del tutto diverso, e a seconda di come si girava la manovella, tutto avveniva in modo lento o incredibilmente rapido. Era un'invenzione molto recente, ma a Karl ricordava vivamente i presepi che in patria alla fiera di Natale venivano mostrati ai bambini in ammirazione, e anche Karl, infagottato nei suoi vestiti invernali, spesso si era fermato a guardarli e aveva confrontato di continuo i movimenti della manovella, azionata da un vecchio, con le trasformazioni che avvenivano nel presepio, con l'incedere a scatti dei tre Re Magi, l'illuminarsi della stella e la vita raccolta nella sacra stalla. E sempre gli era sembrato che la madre, alle sue spalle, non seguisse tutti gli avvenimenti con sufficiente attenzione; allora se la tirava accanto finché la sentiva contro la propria schiena, e con esclamazioni concitate le mostrava i piccoli avvenimenti secondari, come un leprotto che si acquattava tra l'erba per poi prepararsi alla corsa, finché la madre gli chiudeva la bocca e ricadeva probabilmente nella stessa disattenzione di prima. Certo quella scrivania non era stata fatta soltanto per ridestare simili memorie, ma nella storia di quelle invenzioni c'era senz'altro un certo oscuro rapporto come nei ricordi di Karl. A differenza di Karl lo zio non approvava affatto quella scrivania, aveva soltanto pensato di comprargli una scrivania normale, ma ora tutte le scrivanie erano dotate di quel nuovo dispositivo, il cui vantaggio consisteva anche nel poter essere applicato senza grosse spese a scrivanie più vecchie. In ogni caso lo zio consigliava a Karl di non usare mai, se possibile, il regolatore; per rendere ancora più plausibile il consiglio, affermava che il meccanismo era molto delicato e facile da guastarsi, e l'aggiustatura molto costosa. Non era difficile capire che queste osservazioni erano soltanto pretesti, ma d'altra parte bisogna anche dire che era molto facile bloccare il regolatore, cosa che però lo zio non fece.

Nei primi giorni, durante i quali ovviamente Karl e lo zio avevano conversato più di frequente, Karl aveva anche raccontato che a casa aveva suonato il pianoforte, di rado ma volentieri, e che era riuscito a farlo soltanto con i primi rudimenti insegnatigli dalla madre. Capiva perfettamente che il racconto di quell'episodio equivaleva alla richiesta di un pianoforte, ma si era già guardato attorno abbastanza per sapere che lo zio non aveva alcun bisogno di risparmiare. Tuttavia questa richiesta non fu esaudita subito: circa otto giorni dopo lo zio, quasi sotto forma di una riluttante ammissione, disse che il pianoforte era appena arrivato e che Karl, se voleva, poteva sorvegliare il trasporto. Si trattava comunque di un lavoro poco impegnativo, non certo più impegnativo del trasporto stesso, poiché in casa esisteva un montacarichi per mobili in cui poteva comodamente trovar posto un intero furgone, e in questo montacarichi il pianoforte salì fino alla stanza di Karl. In verità anche Karl avrebbe potuto salire nel montacarichi insieme al pianoforte e ai facchini, ma poiché lì accanto c'era un ascensore, salì con quest'ultimo, azionando una leva si tenne sempre alla stessa altezza del montacarichi e attraverso le pareti di vetro continuò a fissare il bello strumento che ora era di sua proprietà. Quando lo vide nella sua stanza e suonò le prime note, provò una gioia così folle che, invece di continuare a suonare, balzò in piedi e restò fermo ad ammirare il pianoforte da una certa distanza, con le mani sui fianchi.