Perché è così sgarbato? Ora la butto giù».

E lo afferrò davvero e con la forza del suo corpo temprato dallo sport lo trascinò vicino alla finestra, mentre Karl, che non se l'aspettava, dapprima non oppose resistenza. Poi però si riprese, con una brusca torsione dei fianchi si liberò e la cinse con le braccia.

«Ahi, mi fa male», disse subito lei.

Ma Karl giudicò più opportuno continuare a tenerla. Le lasciava quel tanto di libertà perché potesse camminare, ma la seguiva passo per passo senza allentare la presa. E poi era molto facile tenerla stretta con quel vestito aderente.

«Mi lasci», sussurrò Klara col viso accaldato vicino al suo, lui non riusciva quasi a vederla, tanto gli era vicina, «mi lasci, le darò una bella cosa». «Perché sospira così», pensò Karl, «non posso farle male, non la stringo neppure» e tuttavia continuò a tenerla. Ma all'improvviso, dopo un attimo di disattenzione e di quiete, sentì contro il proprio corpo che lei riprendeva forza, ed ecco, gli era sfuggita, lo afferrò con una presa molto esperta, gli bloccò le gambe muovendo i piedi secondo una tecnica di lotta a lui sconosciuta e lo spinse dinanzi a sé, respirando con grande regolarità, contro la parete. Ma lì c'era un divano, sul quale fece stendere Karl con uno spintone e gli disse, senza però chinarsi troppo verso di lui:

«E adesso muoviti, se puoi».

«Gatta, gatta rabbiosa!» riuscì a esclamare Karl, tutto sconvolto per l'ira e la vergogna che provava. «Sei proprio matta, gatta rabbiosa!».

«Bada a come parli», gli rispose, lasciandogli scivolare una mano sul collo e stringendolo così forte che Karl era tutto teso a cercare di respirare, mentre lei gli passava l'altra mano sulla guancia, la toccava più volte come per prova, poi la rialzava come se stesse per dargli uno schiaffo.

«Che cosa ne diresti», diceva nel frattempo, «se per punirti del tuo comportamento con una signora ti rimandassi a casa con un bel ceffone? Forse ti sarebbe utile per la vita futura, anche se non sarebbe un bel ricordo. A dire il vero mi fai pena e sei un ragazzo passabile, e se avessi imparato la lotta giapponese, probabilmente me le avresti date. Però, però, a vederti qui steso ho una gran voglia di prenderti a schiaffi. Poi forse mi dispiacerebbe; ma se dovessi farlo, sappi fin d'ora che lo farò quasi controvoglia. Allora non mi accontenterò di darti uno schiaffo, ma te ne darò tanti, a destra e a sinistra, finché ti farò gonfiare le guance. E forse sei un uomo d'onore - sono tentata di crederlo - e dopo questi schiaffi non vorrai più vivere e ti toglierai di mezzo. Ma perché ti sei comportato così con me? Non ti piaccio forse? Non vale la pena di venire in camera mia? Attento! Stavo quasi per appiopparti uno schiaffo all'improvviso. Dunque, se oggi riesci a cavartela, cerca di comportarti meglio in seguito. Io non sono tuo zio, con cui puoi impuntarti. Inoltre voglio ancora farti capire che, se ti lascio andare senza schiaffeggiarti, non devi credere che la tua situazione attuale e l'essere realmente schiaffeggiato dal punto di vista dell'onore si equivalgano. Se tu lo credessi, preferirei schiaffeggiarti davvero. Che cosa dirà Mack, quando gli racconterò tutto questo?».

Al ricordo di Mack lasciò libero Karl, che nella sua mente confusa pensò a Mack come a un liberatore. Continuava a sentirsi quella mano sul collo, per cui si girò da una parte e rimase disteso immobile. Klara lo invitò ad alzarsi, ma Karl non rispose e non si mosse. Allora lei accese una candela da qualche parte, la stanza s'illuminò, sul soffitto apparve un disegno blu a zigzag, ma Karl continuò a restare disteso col capo appoggiato al cuscino del divano, nella stessa posizione in cui l'aveva messo Klara, senza muovere un dito. Klara girava per la stanza, la gonna le frusciava attorno alle gambe, probabilmente si era fermata per un momento accanto alla finestra.

«Ancora arrabbiato?» la sentì chiedere.

Per Karl era doloroso non poter aver pace nella stanza che il signor Pollunder gli aveva assegnato per la notte. Quella ragazza gli girava attorno, si fermava, parlava e lui non riusciva più a sopportarlo. Addormentarsi subito e poi andarsene, era il suo unico desiderio. Non voleva neppure andare a letto, solo restare lì sul divano. Aspettava con ansia che lei se ne andasse per correre alla porta, mettere il chiavistello e stendersi di nuovo sul divano. Aveva un tale bisogno di stirarsi e di sbadigliare, ma non voleva farlo davanti a Klara. E così restava disteso, gli occhi fissi verso l'alto, sentiva il proprio viso diventare sempre più immobile, e una mosca che volava intorno oscillò per un attimo dinanzi ai suoi occhi senza che lui capisse bene che cos'era.

Klara si riavvicinò e si chinò sul suo viso, e se Karl non si fosse dominato sarebbe stato costretto a guardarla.

«Ora vado», gli disse. «Forse più tardi avrai voglia di venire da me.