Immaginò - e per la prima volta in quella sala si sentì bene - la sorpresa dello zio nel vederlo arrivare la mattina, poiché a piedi non sarebbe certo arrivato prima. A dire il vero non era mai stato in camera dello zio, non sapeva neppure dove fosse, ma si sarebbe informato. Poi avrebbe bussato, e al formale «Avanti!» sarebbe entrato in camera e avrebbe sorpreso il caro zio, che fin'allora aveva sempre visto vestito e abbottonato di tutto punto, seduto sul letto in camicia da notte, con gli occhi stupiti rivolti verso la porta. Di per sé forse non era gran cosa, ma bisognava anche immaginarsi le conseguenze di questo fatto. Forse per la prima volta avrebbe fatto colazione in compagnia dello zio, lo zio a letto, lui seduto su una sedia, la colazione posata su un tavolino fra loro, forse questa colazione comune sarebbe diventata un'abitudine, forse in seguito a questa colazione, ormai quasi inevitabile, si sarebbero visti più di una volta al giorno, com'era avvenuto fin'allora, quindi avrebbero potuto anche parlarsi in modo più aperto. Dopo tutto dipendeva solo dalla mancanza di confidenza se quel giorno con lo zio era stato un po' disobbediente, o per meglio dire ostinato. E anche se ora doveva restare lì per la notte - purtroppo tutto lo faceva pensare, sebbene lo lasciassero stare vicino alla finestra a intrattenersi da solo - forse quella visita sfortunata avrebbe segnato una svolta più felice nei suoi rapporti con lo zio, e forse quella sera lo zio nella sua stanza formulava pensieri analoghi.
Più confortato, Karl si voltò. Klara era davanti a lui e diceva: «Non le piace proprio qui da noi? Non riesce a sentirsi un po' più a suo agio? Venga, farò l'ultimo tentativo».
Lo condusse attraverso la sala fino alla porta. I due signori erano seduti a un tavolo laterale davanti a bicchieri alti colmi di bevande lievemente spumeggianti che Karl non conosceva e che avrebbe avuto voglia di assaggiare. Il signor Green aveva appoggiato un gomito sul tavolo e il suo viso era molto vicino a quello del signor Pollunder; non conoscendo il signor Pollunder, si sarebbe detto che stessero discorrendo di un crimine anziché di un affare. Mentre il signor Pollunder seguì Karl con uno sguardo amichevole fino alla porta, Green - sebbene si sia naturalmente portati a guardare nella stessa direzione di chi ci è di fronte - non accennò minimamente a voltarsi verso Karl, il quale interpretò questo suo comportamento come una sorta di convinzione che ognuno di loro due, Karl per parte sua e Green altrettanto, dovesse cercare di cavarsela con le sue capacità, e che col tempo l'inevitabile rapporto sociale esistente tra loro si sarebbe concluso con la vittoria o con l'annientamento di uno dei due.
«Se pensa questo, è uno sciocco», si disse Karl. «Io da lui non voglio proprio niente, deve soltanto lasciarmi in pace».
Non appena si trovò nel corridoio, gli venne in mente che forse si era comportato in modo scortese, perché si era lasciato quasi trascinare fuori da Klara tenendo gli occhi fissi su Green. Tanto più quindi la seguì volentieri. Passando per i corridoi si stupì grandemente al vedere, ogni venti passi, un servitore immobile in lussuosa livrea che reggeva tra le mani un candelabro dal fusto massiccio.
«Il nuovo impianto elettrico finora è allacciato solo nella sala da pranzo», spiegò Klara. «Abbiamo acquistato questa casa da poco e l'abbiamo trasformata da cima a fondo, per quanto si possa trasformare una vecchia casa con la sua architettura inconsueta».
«Dunque anche in America esistono già case vecchie», disse Karl.
«Naturalmente», rispose Klara ridendo e portandolo avanti. «Ha idee ben strane sull'America».
«Non deve prendermi in giro», le rispose irritato. In fondo Karl conosceva già l'Europa e l'America, mentre lei soltanto l'America.
Passando, Klara spinse leggermente una porta con la mano tesa e disse senza fermarsi: «Lei dormirà qui».
Naturalmente Karl voleva guardare subito la stanza, ma Klara dichiarò con impazienza e quasi gridando che avrebbe avuto tutto il tempo e che prima doveva seguirla. Per un po' si tirarono su e giù per il corridoio, e alla fine Karl pensò che non doveva obbedire a Klara in tutto, si liberò ed entrò nella stanza. Vi regnava un'insolita oscurità, perché davanti alla finestra la corona di un albero ondeggiava in tutta la sua ampiezza. Si udiva un canto di uccelli. Ma nella stanza, non ancora rischiarata dalla luce della luna, non si poteva distinguere quasi nulla. Karl rimpianse di non aver portato con sé la pila che aveva ricevuto in regalo dallo zio. In quella casa una pila era indispensabile, e se ne avessero avuto qualcuna, avrebbero potuto mandare a dormire i servitori. Si sedette sul davanzale della finestra e guardò fuori tendendo l'orecchio. Un uccello disturbato dal rumore si alzò in volo insinuandosi tra le fronde del vecchio albero. Da qualche parte, nella campagna, sibilò il fischio di un treno suburbano di New York. Per il resto tutto era silenzio.
Ma non per molto, perché Klara entrò a precipizio. Visibilmente arrabbiata, gridò: «Che storia è questa?», battendosi le mani sulla gonna. Karl decise di risponderle soltanto quando fosse diventata meno scortese. Ma lei si diresse a grandi passi verso di lui e gridò: «Allora, vuol venire con me o no?», e gli dette un tale spintone sul petto, intenzionalmente o forse soltanto nell'eccitazione, che Karl sarebbe caduto dalla finestra se all'ultimo momento, scivolando dal davanzale, non fosse finito con i piedi per terra.
«Ci è mancato poco che non cadessi», disse in tono di rimprovero.
«Peccato che non sia caduto.
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