Carmiana, carta e inchiostro! Buon Alessa, va' pure. Ti ringrazio.

(Esce Alessa)

Carmiana, dimmi, ho mai amato Cesare in questo modo? Dillo, su Carmiana...

CARMIANA - Quel prode Giulio Cesare!...

CLEOPATRA - Che possa rimanerti nella strozza un'altra esclamazione come questa! Di' piuttosto: "Quel prode Marcantonio!".

CARMIANA - Quel valoroso Cesare...

CLEOPATRA - Per Iside! Ti faccio sanguinare tutti i denti se seguiti a paragonare Cesare al mio uomo, ch'è il principe degli uomini!

CARMIANA - Con tua licenza, graziosa regina, io non canto che la tua vecchia solfa.

CLEOPATRA - Ah, teneri miei giorni di fanciulla!(31) Quand'ero ancora verde di giudizio e tiepida di sangue, per esprimermi come m'esprimevo! Ma via, procurami carta ed inchiostro: deve avere da me, giorno per giorno, messaggi di saluto, un dopo l'altro, dovessi spopolar tutto l'Egitto.

(Escono)

ATTO SECONDO

SCENA I - Messina. In casa di Pompeo

Entrano POMPEO, MENECRATE e MENAS, in assetto di guerra

POMPEO - Se gli dèi sono giusti, non possono non secondar le azioni agli uomini più giusti.

MENECRATE - Sappi, degno Pompeo, che ciò ch'essi rimandano, non negano.

POMPEO - Già, ma mentre che noi restiamo supplici davanti al loro trono, scade la causa per cui li preghiamo.

MENECRATE - Noi troppo spesso, ignorando noi stessi, invochiamo da loro un nostro male, che i saggi lor poteri ci ricusano, pel nostro bene; sicché profittiamo da una nostra preghiera non accolta.

POMPEO - Io vincerò. Il popolo è con me, e il mare è tutto sotto il mio controllo, la mia forza s'accresce di continuo, e la presaga e fida mia speranza mi dice che raggiungerà il suo culmine. Marcantonio è in Egitto a banchettare, e non farà la guerra fuori casa. Cesare spilla soldi e perde cuori. Lepido li lusinga tutti e due, da entrambi alla sua volta lusingato; ma né lui ama loro, né loro due si curano di lui.

MENAS - Cesare e Lepido sono già in campo, e in grandi forze.

POMPEO - Da chi l'hai saputo? Non è vero!

MENAS - Da Silvio, mio signore.

POMPEO - Silvio sogna. Io so che sono a Roma, l'uno e l'altro, aspettando Marcantonio. O lasciva Cleopatra, che tutti gl'incantesimi d'amore scendano sulle tue labbra avvizzite, ad addolcirle! E bellezza e malia, alle quali s'aggiunga la libidine, tengano bene avvinto il libertino in un campo fiorito di godurie, e mantengano sempre il suo cervello annebbiato tra i fumi dell'ebbrezza. Cuochi maestri di epicureismo gli aguzzino con salse stimolanti l'appetito, così che sonno e crapula gli arrivino a annebbiare la coscienza del proprio onore, fino a sprofondarlo in un letéo torpore.(32)

Entra VARRIO

Ebbene, Varrio?

VARRIO - La notizia è sicura : Marcantonio è atteso a Roma da un momento all'altro. Dacché lasciò l'Egitto è corso un tempo per una traversata anche più lunga.

POMPEO - Avrei con più piacere dato orecchio, ad annuncio di minor conto, Menas. Non credevo che questo libertino scioperato mettesse l'elmo in testa per una guerricciola come questa. Come soldato vale certo il doppio degli altri due; teniamo ben alta perciò la stima di quello che siamo, se i nostri movimenti hanno strappato dal grembo della vedova d'Egitto un Antonio mai stanco di lussuria.

MENAS - Non riesco però a raffigurarmi come possano Cesare ed Antonio andar d'accordo. Sua moglie, ch'è morta, ha dato a Cesare assai grattacapi; suo fratello gli ha fatto anche la guerra, se pur non credo istigato da Antonio.

POMPEO - Non so, Menas, se piccoli contrasti possano aprir la strada a ben maggiori. Ma se quei due non avessero noi coalizzati contro, è assai probabile che si dilanierebbero a vicenda; ché motivi per sfoderar le spade ce n'hanno a iosa; e fino a che punto il timore di noi può cementare le loro divisioni e far risolvere tra loro le minori divergenze non lo sappiamo ancora con chiarezza. Sia come vuole il cielo! Vita o morte dipende dall'impiego che noi faremo delle nostre forze. Vieni, Menas, andiamo.

(Escono)

SCENA II - Roma. La casa di Lepido

Entrano LEPIDO e ENOBARBO

LEPIDO - Buon Enobarbo, sarebbe lodevole da parte tua, e ben ti si addirebbe, che esortassi il tuo comandante in capo ad un colloquio pacato e cortese.(33)

ENOBARBO - Lo esorterò a parlare da par suo: se Cesare dovesse provocarlo, che Antonio guardi Cesare dall'alto e gli parli tuonando, come un Marte. Per Giove, fossi Antonio, e avessi barba, stamane non me la sarei rasata!(34)

LEPIDO - Non è proprio il momento di dar sfogo a rancori personali.

ENOBARBO - Ogni momento è buono per le cose che nascono al momento.

LEPIDO - Già, ma le cose piccole devono cedere il passo alle grandi.

ENOBARBO - No, se le piccole vengono prima.

LEPIDO - È un parlar da fazioso, questo tuo; ma non soffiar sulla brace, ti prego. Ecco il nobile Antonio.

Entra ANTONIO con VENTIDIO

Ed ecco Cesare.

Entra, da parte opposta, OTTAVIO CESARE con MECENATE e AGRIPPA

ANTONIO - (A parte a Ventidio) Se riusciamo ad accordarci qui, addosso ai Parti, subito. Sta' con le orecchie aperte, ora, Ventidio!

OTTAVIO - (A parte a Mecenate) Non so. Chiedi ad Agrippa, Mecenate.

LEPIDO - Nobili amici, siamo qui riuniti per alta e importantissima cagione, facciamo dunque che non ci dividano cose di poco conto. Ciò che non va, lo si ascolti pazienti: alzar la voce in banali dissensi è come medicare una ferita con la morte. Perciò, degni colleghi, tanto più ardentemente vi scongiuro: discutete sui punti più dolenti nei termini più dolci, e alle parole mai s'unisca l'umore litigioso.

ANTONIO - Ben detto. Parlerei anch'io così ci trovassimo avanti ai nostri eserciti pronti a dare battaglia.

OTTAVIO - Sii ben tornato a Roma.

ANTONIO - Ti ringrazio.

OTTAVIO - Siedi.

ANTONIO - Siedi anche tu.

OTTAVIO - Va bene. Ordunque.... (Siedono)

ANTONIO - Sento dire che prendi a mal partito cose che non han nulla di cattivo, o, in ogni caso, che non ti riguardano.

OTTAVIO - Mi farei ridere alle spalle il mondo se per un niente, per una sciocchezza mi ritenessi offeso... Eppoi con te!(35) Ed ancor più se facessi il tuo nome anche una sola volta con disprezzo in affari che non mi riguardassero.

ANTONIO - Che poteva importarti, allora, Cesare, ch'io restassi in Egitto?

OTTAVIO - Non più di quanto a te, ch'eri in Egitto, importasse ch'io me ne stessi a Roma. Però se tu, in Egitto, ordivi trame contro il mio potere, la faccenda mi riguardava, eccome!

ANTONIO - Che vuoi dire con quell'"ordivi trame"?

OTTAVIO - Potrai capirne il senso se ti darai la pena di pensare a quanto qui è capitato a me. Tua moglie Fulvia e tuo fratello Lucio m'han mosso guerra, e la loro protesta si riversava tutta in tuo favore: la lor parola d'ordine eri tu.

ANTONIO - Ti sbagli; in questa azione mio fratello non ha mai accampato il nome mio: lo so dopo aver fatto le mie indagini e averlo appreso da fonti sicure, gente che ha tratto con te la sua spada.