Forse che non gettava egli discredito sulla mia e la tua autorità, facendo quella guerra a mio dispetto, essendo la tua causa anche la mia? T'ho già chiarito ciò nelle mie lettere. Se hai voglia d'imbastire una querela, lo devi fare sopra un panno intero, non sopra questo.(36)
OTTAVIO - Ti elogi da solo, rinfacciandomi errori di giudizio; ma le tue scuse son solo rattoppi.(37)
ANTONIO - No, no, non è così: io son sicuro che non ti può sfuggir l'intima logica di questo semplice ragionamento: che io, pel fatto d'essere tuo socio nella causa cui egli era avverso, non potevo guardare a quella guerra con occhio compiacente, mettendo a rischio la mia stessa pace. Quanto a mia moglie, t'auguro di trovarne un'altra con il suo temperamento. Tu sei padrone d'un terzo del mondo, che puoi guidare con un morso lento,(38) ma una donna così, no certamente!
ENOBARBO - Ce le avessimo tutti mogli così! Allora sì che gli uomini potrebber guerreggiare con le donne!
ANTONIO - Ammetto, Cesare, con mio rammarico, ch'ella, d'indole indomita com'era, t'abbia potuto dare assai fastidi coi suoi molti garbugli, frutto di quella sua insofferenza; ma devi ammettere che quanto a me, nulla potevo fare, ad evitarli.
OTTAVIO - Mentre gozzovigliavi in Alessandria, io t'ho scritto, ma tu quella mia lettera, non che leggerla, l'hai cacciata in tasca, ed hai messo alla porta il mio corriere senza ammetterlo manco al tuo cospetto.
ANTONIO - Quello m'era piombato davanti, Cesare, prima d'esservi ammesso; avevo appena intrattenuto a cena tre re, e non ero certo più lo stesso ch'ero al mattino; ma il giorno seguente l'ho incontrato e gliel'ho spiegato io stesso; che è stato come avergli chiesto scusa. Non sia però quest'uomo motivo di discordia fra noi due; se vogliamo discutere, spazziamo via da noi quest'argomento.
OTTAVIO - Tu sei venuto meno, Marcantonio, a un impegno d'onore a giuramento, cosa che a me giammai potrai imputare.
LEPIDO - Calma, Cesare!
ANTONIO - No, lascialo dire! L'onore al quale egli ora accenna è sacro, ammesso ch'io vi sia venuto meno. Dicevi, dunque, Cesare, il mio impegno...
OTTAVIO - ... di prestarmi, quando io te lo chiedessi, armi ed aiuti. E tu me li hai negati.
ANTONIO - Trascurato di darteli, piuttosto; e in tempo in cui ore avvelenate m'avevano a tal punto frastornato da tôrmi la coscienza di me stesso. Ne farò ammenda a te, come so e posso. Ma la mia lealtà nei tuoi riguardi non dovrà sminuir la mia grandezza, né il mio potere dovrà risentirne. La verità, è che la guerra, qui, l'ha fomentata Fulvia, per farmi ritornare dall'Egitto ed io che ne son causa inconsapevole, non posso altro che farti le mie scuse, per quanto si confaccia all'onor mio di piegarsi, in un simile frangente.
LEPIDO - Questo è un nobile dire.
MECENATE - Piaccia ad entrambi di non più insistere sulle vostre reciproche querele; anzi, dimenticatele del tutto, ricordandovi che l'ora presente esige che tra voi vi sia concordia.
LEPIDO - Degnissime parole, Mecenate!
ENOBARBO - O, se per il momento, vi presterete affetto l'uno all'altro, potrete poi riprendervelo indietro quando non sentirete più parlare di Pompeo; ché avrete tutto il tempo allora, non avendo altro da fare, per riattaccare briga tra di voi.
ANTONIO - Tu sei solo un soldato, e fa' silenzio!
ENOBARBO - Ah, sì, la verità deve star zitta: me n'ero pressoché dimenticato!
ANTONIO - Fai torto a questo consesso, Enobarbo, dicendo questo; smetti di ciarlare!
ENOBARBO - Tirate avanti, allora: io starò qui vostra pietra pensante.(39)
OTTAVIO - Non mi dispiace tanto la sostanza del suo parlare, quanto la sua forma. Perché, come si fa a restare amici, se poi così diversa è, nell'azione, la nostra concezione delle cose?... Ma se sapessi che esistesse un cerchio che ci potesse avvincer saldamente, andrei a ricercarlo in capo al mondo.
AGRIPPA - Se mi permetti, Ottavio...
OTTAVIO - Parla, Agrippa...
AGRIPPA - Pensavo che, da parte di tua madre, tu hai un'ammirabile sorella, Ottavia...(40) e il grande Marcantonio è vedovo.
OTTAVIO - Per carità, non dire questo, Agrippa! Ti sentisse Cleopatra, un bel rabbuffo per questa tua distratta avventatezza te lo saresti proprio meritato!
ANTONIO - Io non ho moglie, infatti, Ottavio Cesare: fammi sentire quel che dice Agrippa.
AGRIPPA - Ecco: per mantenere tra voi due un vincolo perenne di amicizia, farvi fratelli, unire i vostri cuori con un nodo per sempre indissolubile, si prenda Antonio come moglie Ottavia, la cui bellezza esige, come sposo, il migliore degli uomini; così come le sue virtù e le grazie di cui s'adorna parlano di lei come di nessun'altra donna al mondo. Con questa unione, i piccoli contrasti che sembrano ora chissà quanto grandi, e tutte quelle grosse differenze che racchiudono in sé tanti pericoli si ridurrebbero a tante quisquilie; e le realtà diverrebbero favole, laddove adesso sono realtà anche le mezze favole.(41) Ella, difatti, nell'amarvi entrambi, vi attirerebbe l'uno verso l'altro, attirando altresì su entrambi voi l'amor di tutti gli altri.... Perdonatemi se v'ho detto questo, ma è un'idea che vado maturando, da gran tempo, per senso del dovere, e non già un pensiero estemporaneo.
ANTONIO - Cesare vorrà dir qualcosa in merito?
OTTAVIO - Non prima di sentire come Antonio reagisce a tutto quanto è stato detto.
ANTONIO - E s'io dicessi: "Agrippa, mi sta bene", quale potere ha Agrippa di far che questo sia tradotto in atto?
OTTAVIO - Il potere di Cesare, e il potere di Cesare su Ottavia.
ANTONIO - Non sia mai ch'io mi sogni di osteggiare un proposito tanto affascinante, espresso in termini così cortesi. Dammi la mano, e porta a compimento questa graziosa impresa; e d'ora innanzi un cuore di fratelli ci governi e sia guida alle nostre grandi imprese.
OTTAVIO - Ecco la mano. Ti do una sorella quale nessun fratello ha mai amato tanto teneramente; ed essa viva, perché restino uniti i nostri regni insieme ai nostri cuori, e mai s'affievoliscano gli affetti.
LEPIDO - Amen. Felicità!
ANTONIO - Non pensavo di dover trar la spada contro Pompeo, perché recentemente m'ha reso grandi e insoliti favori, e vorrà almeno ch'io gli renda grazie, se non voglio passare per ingrato. Subito dopo, gli lancio la sfida.
LEPIDO - Sì, però il tempo stringe. Occorre che ci diamo senza indugio a incalzare Pompeo, o sarà lui ad incalzarci.
ANTONIO - Perché, dove sta?
OTTAVIO - Verso Capo Miseno.
ANTONIO - Di che forze dispone in mare e in terra?
OTTAVIO - In terra, di un buon nerbo, sempre in crescita. Ma in mare ha l'assoluta padronanza.
ANTONIO - Già, questo è quello che si dice in giro. Vorrei che già ci fossimo scontrati. Affrettiamoci a farlo. Prima però che ci mettiamo in armi, converrà sistemare la faccenda di cui si discorreva poco fa.
OTTAVIO - Col più grande piacere, Marcantonio; e t'invito a incontrare mia sorella, presso la quale t'accompagno subito.
ANTONIO - Anche tu, Lepido, unisciti a noi; non ci privar della tua compagnia.
LEPIDO - Non c'è barba di male, caro Antonio, che potrebbe tenermi dal venire.
Squillo di tromba
(Escono Ottavio Cesare, Antonio e Lepido)
MECENATE - Amico, bentornato dall'Egitto.
ENOBARBO - Salute a te, nobile Mecenate, metà del cuor di Cesare! Salute Agrippa, illustre amico mio!
AGRIPPA - Salve, caro Enobarbo!
MECENATE - Abbiamo ben motivo di allegrarci che le cose si sian sì ben composte. Ve la siete spassata, eh?, in Egitto!
ENOBARBO - Oh, sì, signore: si dormiva il giorno in maniera indecente, e della notte si facea giorno a furia di trincare.(42)
MECENATE - Otto cinghiali arrosto, tutt'interi, e solo in dodici, per colazione. È vero?
ENOBARBO - Oh, ma questo era ancor niente: un moscerino al confronto di un'aquila! Banchetti abbiamo avuti ben più lauti, degni davvero di memoria storica.
MECENATE - E Cleopatra? Un trionfo di femmina, se è vero quello che si dice in giro.
ENOBARBO - È vero! Quando ha visto Marcantonio la prima volta, lungo il fiume Cidno,(43) gli ha tolto il cuore e se l'è messo in tasca.
AGRIPPA - Già, sul Cidno; fu là ch'egli le apparve, la prima volta, se chi me l'ha detto non se lo sia inventato.
ENOBARBO - Vi dirò. La galea su cui ella sedeva come un trono brunito ardea sull'acqua; la poppa era tutt'oro martellato, di porpora le vele, e un tal profumo ne esalavan per l'aria tutt'intorno, da far languir d'amore i venticelli; i remi eran d'argento, e tenevano il ritmo al suon di flauti, e l'acqua smossa li seguiva rapida come invaghita delle lor palate. Quanto alla sua persona, superava qualsiasi descrizione: era seduta sotto un baldacchino di seta, tutto trapuntato d'oro, e offuscava l'immagine di Venere, com'è rappresentata nei dipinti dove vediamo che la fantasia sopravanza di molto la natura: ai due lati paffuti fanciulletti, come tanti Cupidi sorridenti, agitavan flabelli variopinti, e pareva che il loro ventolio infiammasse le sue morbide guance, da loro stessi prima rinfrescate: un bellissimo fare e poi disfare.(44)
AGRIPPA - Oh, preziosa visione, per Antonio!
ENOBARBO - Le sue ancelle, come le Nereidi, altrettante sirene intorno a lei, la riguardavano fisso negli occhi, facendole ornamento cogli sguardi.(45) Alla sbarra, una specie di sirena, a governar la rotta; si vedevan le seriche sartie vibrar sotto il tentar di quelle mani morbide come fiori, ch'eseguivano l'agile manovra. Dal barco si spandeva tutt'intorno, a penetrare le vicine sponde, un arcano, ineffabile profumo.(46) Verso di lei aveva riversato la città tutta quanta la sua gente; e Antonio, in trono in piazza del mercato, restò lì solo, a fischiettare all'aria; che, se non fosse stato per il vuoto che avrebbe fatto, sarebbe volata anch'essa a contemplare Cleopatra, lasciando un vuoto alla stessa natura.(47)
AGRIPPA - Mirabile egiziana!
ENOBARBO - Quando approdò, Antonio mandò a lei per invitarla a cena; gli rispose che avrebbe preferito fosse lui a venire da lei, suo convitato, e lo pregava d'accettar l'invito; al che il galante Antonio, che mai donna sentì dire di no, fattosi far la barba dieci volte, si reca a quel festino, ed al suo solito paga col cuore quel che mangia l'occhio.
AGRIPPA - Regal baldracca!(48) Aveva già condotto prima di lui il grande Giulio Cesare a mettere a dormire la sua spada. Quello l'ha arata, e lei gli ha dato il frutto.(49)
ENOBARBO - L'ho veduta una volta saltellare su un sol piede per ben quaranta passi sulla pubblica via; parlava ansando senza fiato, e di questo mancamento fu capace di fare una tal grazia, da emanare, sfiatata ed ansimante, intorno a sé lo stesso grande fascino.
MECENATE - Ora Antonio dovrà piantarla in asso, e per sempre.
ENOBARBO - No, non lo farà mai! L'età non può appassirla, quella donna, né l'abitudine render stantìe le sue grazie, di varietà infinita.
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