E perciò sono qui».
«Dopo molto tempo, permettimi di notarlo».
«Volevo in primo luogo dimenticare. Non ridere: l’avventura era stata incantevole, e ne custodisco ancora il tenero ricordo. E poi, io sono un pochino nevrastenico! La vita è tanto febbrile, oggi! Bisogna saper fare, in certi momenti, ciò che si chiama una cura d’isolamento. Questo luogo è sovrano per i regimi di questo genere. Vi si pratica la cura della Salute in tutto il suo rigore».
«Arsène Lupin», osservò Ganimard, «tu ti prendi gioco di me».
«Ganimard», affermò Lupin, «oggi è venerdì. Mercoledì prossimo, verrò a fumare il mio sigaro da te, rue Pergolèse, alle quattro del pomeriggio».
«Arsène Lupin, ti aspetto».
Si strinsero la mano come due buoni amici che si stimano nel loro giusto valore, e il vecchio poliziotto si diresse verso la porta.
«Ganimard!».
Questi tornò indietro.
«Che cosa c’è?»
«Ganimard, dimentichi il tuo orologio».
«Il mio orologio?»
«Sì, si è smarrito nella mia tasca».
Lo rese scusandosi.
«Scusami, una cattiva abitudine. Ma non è una buona ragione che ti privi del tuo perché mi hanno preso il mio. In quanto ho lì un cronometro di cui non posso lamentarmi e che soddisfa pienamente i miei bisogni».
Tirò fuori dal tiretto un grande orologio d’oro, spesso e prezioso, arricchito di una pesante catena.
«E questo, da quale tasca proviene?», chiese Ganimard.
Arsène Lupin esaminò svogliatamente le iniziali.
«J. B... Chi diavolo può essere costui?... Ah! Sì, ora ricordo, Jules Bouvier, il mio giudice istruttore, un uomo incantevole...».
3.
L’evasione di Arsène Lupin
Nel momento in cui Arsène Lupin, finito di mangiare, traeva dalla tasca un buon sigaro inanellato d’oro e l’esaminava con compiacimento, la porta della cella si aprì. Ebbe solo il tempo di gettarlo nel tiretto e di allontanarsi dal tavolo. La guardia entrò, era l’ora della passeggiata.
«Ti aspettavo, mio caro amico», esclamò Lupin, sempre di buonumore.
Uscirono. Erano appena scomparsi all’angolo del corridoio, che due uomini entrarono a loro volta nella cella e ne iniziarono l’esame minuzioso. Uno era l’ispettore Dieuzy, l’altro l’ispettore Folenfant.
Si voleva farla finita. Non c’era alcun dubbio: Arsène Lupin conservava delle intese con l’esterno e comunicava con i suoi affiliati. Il giorno precedente ancora, il «Grand Journal» pubblicava queste righe indirizzate al suo collaboratore giudiziario:
Signore,
in un articolo apparso oggi, lei si è espresso nei miei confronti in termini che nulla potrebbe giustificare. Alcuni giorni prima dell’apertura del mio processo, gliene chiederò conto.
Distinti saluti,
Arsène Lupin.
La scrittura era proprio quella di Arsène Lupin. Dunque, inviava delle lettere. Dunque ne riceveva. Dunque, era certo che stava preparando l’evasione da lui annunciata in una maniera tanto arrogante.
La situazione diventava intollerabile. D’accordo col giudice istruttore, il capo della Sicurezza, signor Dudouis, si recò lui stesso alla Santé per esporre al direttore della prigione le misure che conveniva prendere. E, sin dal suo arrivo, mandò due uomini nella cella del detenuto.
Sollevarono ogni lastra, smontarono il letto, fecero tutto ciò che era abituale fare in simili casi, e alla fine non scoprirono nulla. Stavano per rinunciare alle loro investigazioni, quando la guardia accorse in tutta fretta e disse loro:
«Il tiretto... Guardate il tiretto del tavolo. Quando sono entrato, m’è sembrato che lo spingesse».
Guardarono, e Dieuzy esclamò:
«Per Dio, questa volta lo teniamo, il cliente».
Folenfant lo fermò.
«Altolà, piccolo, il capo farà l’inventario».
«Eppure, questo sigaro di lusso...».
«Lascia l’avana e avvertiamo il capo».
Due minuti dopo, il signor Dudouis esplorava il tiretto. C’erano un fascio di articoli di giornale tratti dall’«Argus de la Presse» e che concernevano Arsène Lupin, poi un borsello da tabacco, una pipa, della carta velina, e infine due libri.
Ne lesse il titolo. Erano il Culto degli eroi, di Carlyle, edizione inglese, e un incantevole Manuale di Epitteto, a rilegatura antica, traduzione tedesca pubblicata a Leida nel 1634 per i tipi della Elzevir. Dopo averli sfogliati, constatò che tutte le pagine erano sfregiate, sottolineate, annotate. Erano segni convenzionali, oppure tracce che mostrano il fervore che si nutre per un libro?
«Vedremo questo in dettaglio», disse il signor Dudouis.
Esplorò il borsello da tabacco, la pipa.
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