Vedrà che le sarà molto utile».
«Servitor suo, signore, servitor suo», disse il vivandiere con un profondo inchino dietro il suo grembiule. «Spero che sarà di suo gusto qui, signore. Bel giardino... locali freschi... spero che rimarrà con noi per un po’... cercherò di renderglielo piacevole. Cosa vuole per pranzo oggi?»
«Preferisco non pranzare oggi», disse Bartleby voltandosi dall’altra parte. «Mi farebbe male, non sono abituato a pranzare». Così dicendo, si portò lentamente sul lato opposto del cortile e si mise davanti al muro cieco.
«Cosa vuoi dire?», disse il vivandiere rivolgendosi a me con sguardo attonito. «E un po’ tocco, vero? »
«Penso che sia un po’ dissennato», dissi con tristezza.
«Dissennato? Dissennato, dice? Beh, parola mia, ecco cosa pensavo: che quel suo amico lì era un falsario. Sempre pallidi e con l’aria da signori, quelli, i falsari. Mi fanno pena, signore, non posso farne a meno. Conosceva Monroe Edwards?», aggiunse in tono mesto e tacque. Quindi, appoggiando la mano sulla mia spalla con gesto accorato, sospirò: «È morto tisico a Sing-Sing. Così non conosceva Monroe?»
«No, non ho mai frequentato falsari. Ma non posso restare oltre. Abbia cura del mio amico laggiù. Non ci perderà. Arrivederla».
Alcuni giorni dopo, di nuovo ammesso alle Tombe, percorsi i corridoi alla ricerca di Bartleby, ma senza trovarlo.
«L’ho visto da poco uscire dalla sua cella», disse un secondino, «forse se n’è andato a gironzolare in cortile».
Mi avviai in quella direzione.
«Cerca l’uomo che non parla?», chiese un altro secondino superandomi. «È disteso laggiù... dorme nel cortile. Non sono neanche venti minuti che l’ho visto sdraiarsi».
Il cortile, tranquillissimo, era precluso ai detenuti comuni. Le mura intorno, straordinariamente spesse, lo isolavano da ogni suono esterno. Lo stile egizio del complesso mi incombeva addosso con il suo cupore. Ma sotto i piedi cresceva una soffice erbetta prigioniera. Il cuore delle piramidi eterne - sembrava - dove, all’interno, per qualche strano incantesimo, attraverso le fenditure, dai semi lasciati cadere dagli uccelli fosse germogliata l’erba.
Rannicchiato in una strana posa ai piedi del muro, con le ginocchia piegate, disteso sul fianco, la testa appoggiata sulle pietre fredde, vidi il devastato Bartleby. Non si muoveva nulla. Mi fermai, quindi mi accostai a lui, mi chinai e vidi che i suoi occhi opachi erano aperti; per il resto, sembrava immerso in un sonno profondo. Qualcosa mi spinse a toccarlo. Tastai la mano e un brivido pungente mi guizzò su per il braccio e giù per la schiena fino ai piedi.
Il faccione rotondo del vivandiere sbucò dietro di me.
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