Billy Budd, il marinaio

Herman Melville

 

(Una storia dal di dentro)

 

Titolo originale Billy Budd, Sailor: An Inside Narrative

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1924

Dedicato a

Jack Chase

inglese

Ovunque batta quel grande cuore

Qui sulla Terra o nel porto del Paradiso

 

Capocoffa di maestra

nell’anno 1843

sulla fregata americana

Stati Uniti

 

1

 

In tempi anteriori alla navigazione a vapore, od allora più sovente di adesso, a chi passeggiasse lungo le banchine di un qualsiasi grosso porto capitava di notare gruppi di marinai bronzei in franchigia a terra, uomini in tenuta da festa, della marina da guerra o mercantile. In certe occasioni li avrebbe visti procedere a fianco o, come guardie del corpo, addirittura circondare qualche individuo eccezionale, marinaio anche lui, che avanzava nel gruppo come Aldebaran tra le stelle meno fulgide della sua costellazione. Era questo straordinario personaggio il “Bel Marinaio” di tempi meno prosaici della marina militare o mercantile. Senza mostrar segno di vanità, anzi con la naturale imme­diatezza di una regalità innata, sembrava accettare l’omaggio spontaneo dei compagni.

Mi sovvengo di un notevole esempio. A Liverpool, ormai mezzo secolo fa, vidi all’ombra del grande muro sporco del Prince’s Dock (un ostacolo da tempo abbattuto) un marinaio semplice, così nero che avrebbe potuto essere un africano autentico, puro sangue di Cam. Una figura armoniosa di statura molto superiore alla media. Le cocche di una vivace sciarpa di seta, sciolta sul collo, danzavano sull’ebano del petto nudo; alle orecchie portava grossi anelli d’oro, un berretto scozzese con una banda pure scozzese dava risalto alla bella forma della testa.

Era un caldo pomeriggio di luglio, ed il suo bel volto, lucido di sudore, splendeva di gioia barbarica. Con battute gioviali a destra e a sinistra faceva balenare i denti candidi, mentre avanzava festoso in mezzo a un gruppo di compagni, un assembramento di tribù e colori di pelle che ben avrebbero figurato sfilando agli ordini di Anacharsis Cloots davanti alla tribuna della prima Assemblea francese, in rappresentanza della razza uma­na. Ad ogni spontaneo tributo reso dai passanti a quel dio nero – il tributo di un indugio, di uno sguardo e, meno di frequente, di un’esclamazione – il variopinto corteo mostrava di avere per colui che ne era la causa quello stesso orgoglio che i sacerdoti assiri avevano senza dubbio per il grande Toro scolpito, quando davanti vi si prosternavano i fedeli.

Ma riprendiamo.

Se anche in certi casi si esibiva a terra come una specie di Murat dei mari, il Bel Marinaio di quel periodo non aveva nulla dello snobbino Billy-va’-al-diavolo, un personaggio divertente ormai quasi estinto, che a volte si incontra, in versioni ancora più divertenti dell’originale, al timone di battelli sul tempestoso canale Erie o, più proba­bilmente, a fare lo sbruffone nelle bettole dell’alzaia. Immancabilmente esperto nel suo mestiere, era sempre anche un pugile e un lottatore, più o meno gagliardo. Aveva forza e bellezza. Giravano aneddoti sulle sue prodezze. A terra era il campione; a bordo il portavoce; sempre in prima linea, in ogni circostanza. Eccolo nella burrasca a far terzaruolo alle vele di gabbia, cavalcando l’estremità del pennone battuto dalla bufera, il piede nel cavallo fiammingo come in una staffa, le mani al matafione, quasi a reggere la briglia, nell’atteggiamento del giovane Alessandro che doma il fiero Bucefalo. Una figura superba, lanciata in alto dalle corna del Toro contro il cielo tempestoso, che gioio­samente incita con voce possente la strenua schiera lungo il pennone.

La natura morale di rado non era in sintonia con la struttura fisica. Difficilmente infatti, se non fossero state scandite dalla prima, l’avvenenza e la forza, sempre affasci­nanti quando confluiscono in un corpo maschile, avrebbero suscitato quell’omaggio schietto, che il Bel Marinaio, nelle varie versioni riceveva dai compagni meno dotati.

Un astro siffatto, almeno nell’aspetto ed anche un po’ nell’indole, seppure con significative varianti che emergeranno con il procedere della storia, era Billy Budd dagli occhi cerulei, o Baby Budd, come finì per essere chiamato, in modo più familiare, in circostanze che saranno a tempo debito indicate – ventun anni, gabbiere di parrocchetto della flotta britannica, sul finire dell’ultimo decennio del diciassettesimo secolo. Era entrato al servizio di Sua Maestà non molto prima che si verificassero i fatti della nostra storia, reclutato d’autorità nel Canale d’Irlanda, su un mercantile inglese diretto in patria e portato sulla Bellipotent – settantaquattro cannoni – di Sua Maestà diretta al largo; una nave questa che, cosa non insolita in quei tempi burrascosi, era stata costretta a mettersi in mare senza essere al completo dell’equipaggio. Diritto su Billy, alla prima occhiata dal barcarizzo, piombò l’ufficiale di reclutamento, tenente Ratcliffe, prima ancora che la ciurma del mercantile si fosse allineata sul cassero per sottoporsi al suo accurato vaglio. E lui solo fu scelto. Forse perché, una volta schierati, gli altri uomini sfiguravano al confronto con Billy, forse perché ebbe degli scrupoli, fatto sta che l’ufficiale si dichiarò soddisfatto di quella prima scelta d’impulso. Con sorpresa dell’equipaggio, ma con compiacimento del tenente, Billy non fece obiezioni. Ma invero, al pari della protesta del cardellino ficcato in gabbia, ogni obiezione sarebbe stata vana.

Notandone l’acquiescenza docile, quasi lieta si avrebbe voglia di dire, il capitano gli scoccò un’occhiata stupita di muto rimprovero. Era costui uno di quei mortali che si incontrano in ogni mestiere, anche il più umile, il tipo di persona che tutti concordano nel definire “un uomo perbene”. E – non è poi così strano come può sembrare –, pur essendo un aratore di acque procellose, da una vita intera abituato a lottare contro gli elementi indomiti, non c’era nulla che quell’animo onesto amasse di più della semplice pace e quiete. Per il resto era un uomo di cinquant’anni o giù di lì, con una tendenza alla pinguedine e un volto simpatico, senza basette, di un piacevole colorito, piuttosto pieno, con un’espressione di benevola intelligenza. Nelle giornate belle, con una bella brezza e tutto che filava liscio, una certa risonanza musicale nella voce sembrava esprimere in modo genuino e libero l’uomo autentico che era in lui. Molto prudente, molto coscien­zioso, non mancavano le occasioni in cui queste virtù gli causavano soverchio turba­mento.

Durante la traversata, finché la nave era in prossimità della terra, non c’era sonno per capitano Graveling. Si prendeva a cuore quelle gravi responsabilità che non tutti i capitani assumevano con impegno altrettanto serio.

Ora, mentre Billy Budd, giù nel castelletto di prua, era occupato a raccogliere la sua roba, l’ufficiale della Bellipotent, massiccio e rude, per nulla sconcertato dal fatto che il capitano Graveling avesse trascurato i consueti doveri dell’ospitalità in un’occasione così ingrata per lui – un’omissione imputabile soltanto alla preoccupazione – si invitò da sé senza cerimonie nella cabina e si offrì anche una borraccia dall’armadietto dei liquori, un ricettacolo che il suo occhio esperto individuò all’istante. Era infatti uno di quei lupi di mare che non si era mai visto ottundere l’istinto naturale verso il piacere dei sensi dall’asprezza e dalla perigliosità della vita marinara nelle grandi e lunghe guerre del tempo. Il suo dovere lo compiva sempre con scrupolo, ma il dovere è a volte un obbligo arido, ed egli era favorevole – non appena possibile – ad irrigare quel deserto con un intruglio fertilizzante di robusta acquavite.