Farlo non soltanto sarebbe stato vano quanto invocare il deserto, ma sarebbe anche stata un’audace trasgressione dei limiti della sua funzione, definita dalle leggi militari con la stessa precisione delle funzioni del nostromo o di qualsiasi altro ufficiale. Per dirla schietta, il cappellano è il ministro del principe della pace che serve nell’esercito del dio della guerra: Marte. In quanto tale, è incongruo, come lo sarebbe un moschetto sull’altare il giorno di Natale. Perché allora è lì? Perché indirettamente serve lo scopo attestato dal cannone; perché inoltre sancisce con la religione dei mansueti quanto in pratica abroga tutto ciò che non sia forza bruta.
25
La notte così luminosa sul ponte di coperta, ma ben diversa nei cavernosi ponti inferiori, tanto simili ai cunicoli sovrapposti di una miniera di carbone – la luminosa notte si dileguò. Ma come il profeta che, scomparendo in cielo sul suo carro, gettò il mantello a Eliseo, la notte nel ritirarsi cedette al giorno nascente la sua pallida veste. Un chiarore mite e timido apparve a oriente ove si stendeva un diafano vello di bianchi vapori striati. La luce a poco a poco si intensificò.
All’improvviso risuonarono gli otto rintocchi; cui rispose da prua un solo colpo forte e metallico. Erano le quattro del mattino. All’istante si sentirono i fischietti d’argento che convocavano tutti gli uomini per assistere alla punizione. Su, attraverso i grandi boccaporti bordati di rastrelliere di pesanti proiettili, sciamarono gli uomini di guardia nei ponti inferiori, disperdendosi con quelli già sul ponte nello spazio fra l’albero di maestra e l’albero di trinchetto, compreso quello occupato dalla capace lancia e dai neri boma accatastati su entrambi i lati, facendo così, barca e boma, un punto di osservazione per i ragazzi della santabarbara e i marinai più giovani. Un diverso gruppo comprendente una guardia di gabbieri si sporgeva dal parapetto di quel balcone sul mare, non piccolo in una nave da settantaquattro, guardando giù sulla folla sottostante. Uomo o ragazzo, nessuno parlava se non sussurrando, e ben pochi aprivano bocca. Il capitano Vere – la figura centrale fra gli ufficiali raccolti intorno a lui – stava ritto al margine del cassero di poppa con lo sguardo davanti a sé. Proprio sotto di lui sul ponte di comando era schierata la fanteria di marina, in modo analogo a quando era stata pronunciata la sentenza.
Nei tempi andati, in mare, l’esecuzione per capestro di un marinaio militare avveniva generalmente al pennone di trinchetto. In questo caso, per motivi speciali, fu scelto il pennone di maestra. Sotto il braccio di questo pennone venne subito condotto il prigioniero, assistito dal cappellano. Si notò allora, e in seguito fu fatto osservare, che in questa scena finale il brav’uomo diede mostra di non svolgere affatto, o quasi, il suo compito per abitudine. Ci fu uno scambio, ma l’autentico Vangelo non era tanto sulle sue labbra quanto nel suo aspetto e nel modo in cui si rivolgeva al condannato. Gli estremi preparativi nei confronti di quest’ultimo vennero rapidamente conclusi da due aiutanti del nostromo: incombeva l’esecuzione. Billy era in piedi con il volto rivolto a poppa. Nell’estremo momento le sue parole, le sue uniche parole, parole pronunciate in modo assolutamente fluido, furono queste:
— Dio benedica il capitano Vere!
Queste sillabe inattese che venivano da un uomo con l’infame cappio intorno al collo – la benedizione di un uomo giudicato criminale, diretta a poppa verso i palchi d’onore; queste sillabe pronunciate per giunta con il tono limpido e melodioso di un uccello canterino nell’atto di spiccare il volo da un ramoscello – ebbero un effetto straordinario, accentuato dalla rara bellezza fisica del marinaio, spiritualizzata ora dalle recenti esperienze così amaramente profonde.
Senza volere, per così dire, come se davvero l’equipaggio della nave non fosse che il veicolo di una corrente elettrica vocale, a una sola voce dal basso e dall’alto risuonò l’eco partecipe:
— Dio benedica il capitano Vere! — Eppure in quell’istante soltanto Billy doveva essere nei loro cuori, come lo era nei loro occhi.
A quelle parole e all’eco spontanea che le rimandò in un rimbombo, il capitano Vere – chissà se per stoico autocontrollo o per una momentanea paralisi prodotta dalla tensione emotiva – rimase rigidamente eretto come un moschetto nella rastrelliera dell’armaiolo.
La chiglia, risalendo piano dal regolare rollio sottovento, si stava riequilibrando, quando venne dato l’ultimo, tacito segnale concordato in precedenza. Nello stesso istante accadde che il vello di vapori che indugiava basso a oriente fosse trafitto da una luce morbida e gloriosa come il vello dell’Agnello di Dio contemplato in una visione mistica, e in quell’attimo, fissato dalla massa fitta dei visi rivolti in alto Billy ascese e, ascendendo, colse tutta la luce rosea dell’alba.
Nella figura legata, giunta all’estremità del pennone, con sorpresa di tutti non si vide un solo movimento, nessuno tranne quello creato dal rollio della chiglia, lento quando il tempo è sereno e così solenne in una grande nave poderosamente armata.
26
Quando, alcuni giorni dopo, in relazione alla singolarità appena ricordata, il commissario di bordo – un uomo piuttosto rubizzo e rotondo, più preciso come contabile che profondo come filosofo, seduto a mensa disse al chirurgo:
— Quale testimonianza del potere riposto nella forza di volontà! — quest’ultimo, un personaggio saturnino, sparuto e alto, in cui una discreta causticità si accompagnava a maniere più cortesi che cordiali, rispose:
— Con vostra licenza, signor commissario. In un’impiccagione scientificamente condotta – e per ordine speciale io stesso ho indicato come effettuare quella di Billy – ogni movimento del corpo, successivo alla sospensione completa, sta a indicare uno spasmo meccanico nel sistema muscolare. Perciò l’assenza di tali movimenti non è attribuibile alla forza di volontà, come la chiamate voi, più di quanto non lo sia alla forza dei cavalli a vapore, se mi consentite.
— Ma questo spasmo muscolare di cui parlate non è più o meno invariabile in questi casi?
— Certamente, signor commissario.
— Come allora, mio caro signore, spiegate quest’assenza nel caso in questione?
— Signor commissario, è chiaro che la vostra percezione della singolarità del caso non è pari alla mia. Voi ne date una spiegazione in termini di forza di volontà, come la chiamate – un termine che non è ancora entrato a far parte del linguaggio della scienza. Quanto a me, in base alle mie attuali conoscenze, non pretendo di spiegarla affatto. Se anche partissimo dall’ipotesi che al primo contatto con la drizza il cuore di Budd, teso per la straordinaria emozione giunta al culmine, si sia fermato di colpo, proprio come un orologio quando caricandolo sbadatamente lo forzate alla fine, spezzandone così la molla, anche in tale ipotesi, come si spiega il fenomeno che è seguito?
— Ammettete allora che l’assenza del movimento spasmodico sia stata eccezionale?
— È stata eccezionale, signor commissario, nel senso che si è trattato di un fenomeno di cui non è possibile individuare subito la causa.
— Ma ditemi, caro signore, — continuò l’altro con ostinazione, — la morte dell’uomo fu causata dal capestro, oppure si trattò di una specie di eutanasia?
— Eutanasia, signor commissario, è un po’ come la sua forza di volontà: dubito della sua autenticità come termine scientifico, se mi scusate di nuovo. È insieme fantasioso e metafisico... greco in una parola. Ma, — continuò cambiando improvvisamente tono, — c’è in infermeria un caso che non voglio lasciare ai miei assistenti.
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