Era, in generale, sgombro di amache a tutte le ore della giornata; gli uomini dell’equipaggio, infatti, dondolavano nel ponte inferiore e nel ponte delle cuccette. Quest’ultimo non era soltanto un dormitorio, ma anche il posto dove erano stivati i sacchi dei marinai ed era fiancheggiato sui due lati da grossi bauli e dispense mobili per le numerose mense degli uomini.

A dritta del ponte superiore di batteria della Bellipotent ecco Billy Budd, piantonato dalla sentinella, prono, in ceppi, in una delle nicchie formate dai cannoni regolarmente spaziati fra loro, che compongono le batterie sui due lati.

Erano tutti pezzi del più grosso calibro all’epoca. Montati su pesanti affusti di legno, erano fissati da ingombranti finimenti di funi e robusti paranchi laterali per farli scorrere fuori. Cannoni e affusti, insieme con i lunghi calcatoi e le più corte aste per gli inneschi agganciate in alto con funi erano – come è consuetudine – dipinti di nero, e le pesanti imbracature di canapa, incatramata nello stesso colore, indossavano la stessa livrea dei becchini. In contrasto con la tonalità funerea dell’ambiente l’aspetto esteriore del marinaio prono, con la casacca e i pantaloni di tela bianca, entrambi più o meno sporchi, era un vago barlume nel fioco chiarore della nicchia, simile a una chiazza di neve scolorita, che all’inizio di aprile indugi sulla nera imboccatura di una caverna montana. In realtà indossa già il sudario, ovvero le vesti che avranno quella funzione. Sulla sua testa, rischiarandolo appena, due lanterne da battaglia oscillano appese a due massicci bagli del ponte sovrastante. Alimentate con l’olio provvisto dai fornitori militari (i cui guadagni, onesti o no, sono in tutti i paesi un acconto sul raccolto della morte), con le loro tremule chiazze di luce giallognola imbrattano il pallido chiarore lunare, che quasi invano cerca di entrare attraverso i portelli spalancati dai quali spuntano i cannoni coperti. Altre lanterne, a intervalli, servono soltanto a rivelare un po’ le nicchie più oscure che, simili ai piccoli confessionali e alle cappelle laterali di una cattedrale, si diramano dall’ampia fuga della fioca navata fra le due batterie di quell’andana coperta.

Tale era il ponte dove giaceva ora il Bel Marinaio. Attraverso il colorito roseo della sua carnagione non poteva trapelare il pallore. Ci sarebbero voluti giorni di isolamento dai venti e dal sole per cancellare quel colore. Ma sulla punta degli zigomi, lo scheletro cominciava ad affiorare delicatamente sotto il colorito caldo della pelle. In un cuore fervido e schivo certe brevi esperienze divorano il tessuto umano, come in una stiva un fuoco segreto consuma una balla di cotone.

Ma ora, mentre giaceva fra due cannoni come stretto nella morsa del destino, l’agonia di Billy, causata in gran parte dalla nuova esperienza del male – che si incarna e opera in certi uomini – vissuta da un cuore giovane e generoso, la tensione di quell’agonia si era placata. Non era sopravvissuta al contatto salutare del colloquio segreto con il capitano Vere. Giaceva immobile quasi fosse in stato di trance, con quell’aria adolescente già notata, che gli conferiva un’espressione simile al volto di un bimbo che dorme nella culla, quando di notte il caldo bagliore dei tizzoni nella quiete della stanza scherza sulle fossette, che a tratti si formano misteriosamente sulle guance, guizzando e svanendo in silenzio. Di tanto in tanto, infatti, nel quieto torpore dell’uomo in ceppi, una tranquilla luce serena, evocata da qualche vago ricordo e sogno, si diffondeva sul suo volto e dileguava soltanto per riaffiorare ancora.

Venne il cappellano e lo trovò così. Non cogliendo segno che egli si fosse accorto della sua presenza, rimase a osservarlo attento per un po’, quindi scivolando di lato, si ritrasse per il momento, consapevole che forse neppure lui, ministro di Cristo ma stipendiato da Marte, aveva da elargire una consolazione che avrebbe potuto tradursi in una pace superiore a quella sotto i suoi occhi. Ma ritornò durante le ore piccole. E il prigioniero, ora vigile a quanto lo circondava, lo vide avvicinarsi e con garbo, quasi con animo lieto, gli diede il benvenuto. Con scarso risultato tuttavia, nel colloquio che seguì, il buon uomo cercò di far capire a Billy Budd la sacralità di dover morire e morire all’alba.

Vero, Billy stesso parlava della propria morte come di un fatto imminente, ma lo faceva un po’ come fanno i bambini che parlano della morte in modo generale, e fra gli altri passatempi giocano al funerale con catafalco e persone in lutto.

Non che, al pari dei bambini, Billy fosse incapace di concepire che cosa sia la morte. No, ma era del tutto scevro dalla paura irrazionale della morte, una paura prevalente nelle comunità altamente civili rispetto a quelle cosiddette barbare che, sotto tutti i punti di vista, sono più prossime alla natura intatta. E, come detto altrove, Billy era un barbaro sostanzialmente – non meno, nonostante gli abiti, dei suoi connazionali britannici prigionieri fatti marciare a Roma – trofei viventi – nel trionfo di Germanico. Allo stesso modo, in epoca successiva, riferendosi ad altri barbari, giovani probabilmente, scelti fra i primi convertiti britannici al Cristianesimo, cosiddetti tali almeno, portati a Roma (come oggi potrebbero essere condotti a Londra i convertiti di isole minori sperdute nei mari), il papa del tempo, ammirandone la strana bellezza della figura, così diversa dallo stampo italiano – la carnagione chiara e rosata, i riccioli biondi – esclamò:

— Angli, — (intendendo inglesi, che è il termine moderno), — Angli li chiamate? Forse perché somigliano tanto agli angeli?

Se ciò fosse accaduto in età più tarda, si sarebbe pensato che il papa avesse in mente i serafini di fra’ Angelico, alcuni dei quali, intenti a cogliere mele nel giardino delle Esperidi, hanno la carnagione delicatamente rosata delle più belle ragazze inglesi.

Se inutilmente il buon cappellano cercò di infondere nel giovane barbaro idee di morte affini a quelle evocate dal teschio, dalla meridiana e dalle ossa in croce incise sulle vecchie lapidi, altrettanto vani furono in apparenza i suoi sforzi per trasmettergli l’idea della salvezza e di un Salvatore. Billy ascoltava, non tanto per timore panico o riverenza, quanto forse per una certa cortesia naturale, considerando dentro di sé, senza dubbio, tutti quei discorsi alla stessa stregua in cui molti uomini di mare simili a lui prendono i discorsi astratti e insoliti rispetto a quelli normali del loro mondo prosaico. E questa maniera marinara di accogliere le dissertazioni clericali non è del tutto dissimile da come, tanto tempo fa, furono accolte le prime nozioni del Cristianesimo nelle isole tropicali dai cosiddetti selvaggi superiori – un tahitiano, diciamo, dell’epoca del capitano Cook o di poco posteriore. Per cortesia naturale accettava, ma non se ne appropriava. Sembrava un dono posato sul palmo di una mano tesa intorno al quale non si stringono le dita.

Ma il cappellano della Bellipotent era un uomo discreto che aveva il buon senso del cuore buono. Così non insistette nella sua vocazione. Per volere del capitano Vere, un tenente lo aveva informato di quasi tutto ciò che riguardava Billy, e poiché sentiva che per presentarsi al Giudizio l’innocenza andava meglio della religione, con riluttanza si ritirò, non senza prima compiere, spinto dall’emozione, un gesto abbastanza strano in un inglese, e ancora più strano, nelle attuali circostanze, in un prete regolare. Chinandosi su di lui, baciò sulla bella guancia il suo simile, un criminale secondo la legge marziale, un uomo che, giunto al limitare della morte, egli si sentiva impotente a convertire a un dogma, pur non temendo, nonostante ciò, per il suo futuro.

Nessuna meraviglia che, pur conoscendo la sostanziale innocenza del giovane marinaio, il degno uomo non abbia alzato un dito per allontanare la condanna di quel martire della disciplina marziale.