Ma fra i sottufficiali ce n’era uno che, avendo molto a che fare con questa storia, è bene sia presentato subito. Mi cimenterò a farne il ritratto, ma non riuscirò mai a coglierlo in pieno. Era costui John Claggart, maestro d’armi. Tale titolo marinaro forse sembrerà ambiguo a gente di terra. In origine, non c’è dubbio, la funzione di quel sottufficiale era di istruire gli uomini nell’uso delle armi, la spada e la sciabola. Ma molto tempo prima, a seguito dei perfezionamenti delle armi da fuoco che resero meno frequenti gli scontri a corpo a corpo e diedero al nitrato e allo zolfo preminenza sull’acciaio, tale funzione ebbe a cessare, e il maestro d’armi di una grande nave da guerra era diventato una specie di capo di polizia con l’obbligo, fra le altre mansioni, di mantenere l’ordine negli affollati ponti inferiori.
Claggart era un uomo di circa trentacinque anni, piuttosto scarno e alto, ma di figura non brutta nel complesso.
Le mani erano troppo piccole e aggraziate per aver conosciuto il lavoro duro. Il volto era notevole, con un profilo nitido come nei medaglioni greci, tranne il mento sbarbato come quello di Tecumseh, dalla linea stranamente larga e protuberante, che rammentava le stampe del reverendo dottor Titus Oates, lo storico testimone, dalla parlata pretesca e strascicata, dei tempi di Carlo II e del presunto complotto papista. Era utile a Claggart nel servizio poter volgere intorno uno sguardo autoritario. La sua fronte dal punto di vista frenologico era del tipo che viene associato a un’intelligenza superiore alla media; raccolti sopra di essa, neri riccioli lucidi e serici risaltavano contro il pallore sottostante, un pallore che aveva una lieve sfumatura ambrata, affine alla tonalità che con il tempo acquistano gli antichi marmi. Questa carnagione, in singolare contrasto con i volti rossi o color bronzo intenso dei marinai e in parte il risultato di una vita che per lavoro si svolgeva al riparo dal sole, sebbene non proprio sgradevole, sembrava il sintomo di una qualche carenza o anomalia nella composizione del sangue. Ma in generale il suo aspetto e i suoi modi indicavano un’educazione e una carriera così incongrue con le sue funzioni, che, quando non vi era attivamente impegnato, lo si sarebbe detto un uomo di elevate qualità sociali e morali, il quale, per ragioni sue, mantenesse l’incognito. Nulla si sapeva della sua vita precedente. Forse era inglese, eppure indugiava nel suo modo di parlare un leggero accento che suggeriva come non fosse inglese di nascita, ma fosse stato naturalizzato tale nella prima infanzia. Fra i parrucconi dei ponti di batteria e del cassero di prua circolava la voce che fosse un chevalier arruolatosi volontario nella marina reale per espiare una misteriosa frode, per la quale era stato chiamato in giudizio davanti alla Corte Regia. Il fatto che nessuno potesse corroborare questa voce non impediva naturalmente che circolasse in sordina. Una diceria di tale tipo sul conto di questo o quel sottufficiale, una volta diffusasi dai ponti di batteria, non sarebbe sembrata, all’epoca della nostra storia, carente in credibilità alla ciurma di sapientoni incatramati di una nave da guerra. E invero un uomo con le qualità di Claggart che, senza precedente esperienza navale, entra in marina a un’età matura – come aveva fatto lui – e, necessariamente, viene assegnato all’inizio al grado più basso della gerarchia, un uomo inoltre che non faceva mai la minima allusione alla precedente vita sulla terraferma: ecco le circostanze che, in mancanza di informazioni precise sui suoi veri antecedenti, spalancavano ai malevoli un campo illimitato di congetture ostili.
Ma le dicerie che su di lui bisbigliavano i marinai durante i turni di guardia derivavano una vaga plausibilità dal fatto che da un po’ di tempo a quella parte la marina britannica, non potendo permettersi di essere schizzinosa nel rifornire i ruoli, disponeva notoriamente a bordo e a terra di squadre per l’arruolamento forzato. Non basta; non era più un segreto ben custodito neppure un’altra faccenda: la polizia di Londra, cioè, aveva piena facoltà di catturare gli individui sospetti di tempra robusta, i personaggi vagamente equivoci, e di spedirli con procedura sommaria nei cantieri o nella flotta. Senza contare che perfino fra i volontari ce n’erano di quelli che non lo avevano fatto per impulso patriottico o per il vago desiderio di sperimentare la vita di mare e l’avventura marziale. Debitori insolventi di piccolo cabotaggio, insieme a mele marce di tutte le specie, trovavano nella marina un rifugio conveniente e sicuro, sicuro perché, una volta arruolati a bordo di una nave di Sua Maestà, si trovavano in un santuario al pari del malfattore che nel Medioevo si rifugiava all’ombra dell’altare. Tali irregolarità sancite, che per ovvie ragioni il governo allora si guardava bene dal proclamare e che di conseguenza, riguardando la classe meno influente dell’umanità, sono quasi cadute in oblio, corroborano qualcosa della cui veridicità non mi faccio garante e che quindi ho qualche scrupolo nel riferire; qualcosa che ricordo di aver visto stampato, sebbene il libro non me lo ricordi, ma la stessa cosa mi venne personalmente raccontata più di quarant’anni fa da un vecchio pensionato in cappello a tricorno, un negro di Baltimora, un uomo che era stato a Trafalgar, con il quale ebbi un’interessantissima chiacchierata sulla terrazza di Greenwich. Ecco il senso: se una nave da guerra, costretta a prendere il mare d’urgenza, fosse stata a corto di uomini, la quota di braccia mancante, se non si fosse trovato altro mezzo migliore, si sarebbe ottenuta mediante precettazione direttamente dalle carceri. Per le ragioni già accennate non sarebbe forse facile oggi provare o confutare in modo diretto tale dichiarazione.
Ma se le diamo credito di verità, spiegherebbe – e bene – le difficoltà dell’Inghilterra allora di fronte alla minaccia di quelle guerre che, come uno stormo di arpie, si levarono stridule dalla polvere e dal fragore della Bastiglia caduta. È un’epoca che a quanti, come noi, guardano indietro e si limitano a leggerne sembra relativamente chiara. Ma ai nonni di quelli di noi che hanno la barba grigia, ai più riflessivi fra loro, il genio dei tempi aveva un aspetto simile allo Spirito del Capo di Camöens, una minaccia oscura, misteriosa e prodigiosa. Né andava immune dalle apprensioni l’America.
All’apice delle ineguagliate conquiste di Napoleone, ci furono americani che, avendo combattuto a Bunker Hill, auspicavano che l’Atlantico non si dimostrasse una barriera invalicabile alle estreme mire di quel portentoso francese scaturito dal caos rivoluzionario e apparentemente in grado di adempiere il giudizio annunciato nell’Apocalisse.
Ma meno credito si doveva dare alle chiacchiere su Claggart, sapendo che nessuno con quelle mansioni su una nave da guerra può sperare di essere popolare tra l’equipaggio. Per di più nel denigrare quanti sono loro invisi o non vanno loro a genio per questa o quella o nessuna ragione, i marinai si comportano in modo assai simile agli uomini di terra: sono inclini a esagerare o a romanzare.
Della carriera del maestro d’armi antecedente a quel servizio gli uomini della Bellipotent ne sapevano quanto ne sa un astronomo dell’itinerario di una cometa, prima di osservarla per la prima volta in cielo. Si è citato il verdetto di quegli impiccioni di mare soltanto per mostrare quale impressione morale facesse l’uomo su animi rudi e rozzi, che della malvagità umana avevano necessariamente una concezione delle più anguste, limitata alla volgare furfanteria: un ladro fra le amache durante la guardia notturna, oppure i ruffiani e i pescecani nei porti.
Non era tuttavia un pettegolezzo, ma un fatto che, entrando in marina, Claggart, pur assegnato in quanto recluta alla sezione meno nobile della ciurma di una nave da guerra e adibito ai lavori più umili, non vi fosse rimasto a lungo.
Le superiori capacità subito dimostrate, l’innata sobrietà, una deferenza ingraziante verso i superiori, oltre a un particolare istinto da furetto manifestato in una particolare occasione, tutto questo, coronato da un certo austero patriottismo, lo portò bruscamente al posto di maestro d’armi.
Agli ordini di questo capo di polizia marittimo c’erano i cosiddetti caporali di bordo: subordinati diretti e ossequiosi in una misura che, come si può notare in alcune imprese commerciali a terra, è quasi incompatibile con la globalità dell’autodeterminazione morale. La sua posizione gli consentiva di convogliare sotto il proprio controllo varie correnti di influssi sotterranei, in grado, se astutamente incanalate tramite i subalterni, di insinuare un misterioso malessere, se non peggio, in una qualsiasi comunità marinara.
9
La vita sulla coffa di trinchetto ben si addiceva a Billy Budd. Lì, quando non attivamente impegnati sui pennoni ancora più in alto, i gabbieri – scelti in quanto tali fra i più giovani e i più attivi – formavano una comunità aerea, e, standosene tranquillamente in ozio appoggiati contro i coltellacci arrotolati in cuscini, dipanavano storie come pigri dei, divertendosi spesso a quanto accadeva nel brulicante mondo dei ponti sottostanti.
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