La sua espressione mutò.

Fermandosi, fu lì lì per urlare qualche parola irata al marinaio, ma si controllò e, indicando la minestra versata, gli diede con il frustino un colpetto scherzoso sulla spalla, dicendo con una voce bassa e musicale che a tratti gli era tipica:

— Questa sì che è bella, ragazzo mio! I belli ne fanno di belle! — E con queste parole passò oltre. Non notato da Billy, in quanto fuori del suo campo visivo, fu il sorriso involontario, anzi la smorfia, che accompagnò le ambigue parole di Claggart. Aridamente gli piegò in basso gli angoli sottili della bella bocca. Ma cogliendo un intento scherzoso nell’osservazione che, detta da un superiore, doveva far ridere – con finta allegria – tutti si comportarono di conseguenza, e Billy, stuzzicato forse dall’allu­sione di essere lui il Bel Marinaio, si unì al buon umore. Quindi rivolto ai compagni di mensa, esclamò:

— Allora, chi dice che Pie’-di-porco mi sta addosso?

— E chi te l’ha detto, bellezza? — chiese un certo Donald un po’ sorpreso. Al che il gabbiere, con aria lievemente sciocca, ricordò che soltanto una persona, Abborda-nel-fumo, gli aveva insinuato la fumosa idea che il maestro d’armi gli fosse a modo suo ostile. E probabile che nel frattempo l’ufficiale, ripreso il cammino, per qualche istante abbia avuto un’espressione meno guardinga di quel sorriso amaro che sottrae il volto al dominio del cuore – un’espressione distorta forse, perché un tamburino che, saltellando in modo sbadato, veniva dalla direzione opposta e finì per dargli un lieve urto, rimise stranamente turbato dal suo aspetto. E la sua impressione non si attenuò, quando l’uffi­ciale, dandogli d’impeto una violenta sferzata con il frustino, proruppe con veemenza:

— Guarda dove vai!

 

 

11

 

Che cosa aveva il maestro d’armi? E qualunque cosa fosse, come poteva avere un rapporto diretto con Billy Budd, con il quale, prima dell’incidente della minestra versata, non aveva mai avuto particolari contatti né ufficiali né di altro tipo? Che cosa poteva aver a che fare quel turbamento con un uomo così poco incline a offendere come il “paciere” del mercantile, colui che, per usare le parole di Claggart, era “un simpatico, dolce giovanotto”? Sì, perché Pie’-di-porco, per dirla con il danese, doveva stargli addosso? Ma in fondo al cuore e non per nulla, come può indicare a chi è perspicace il recente incontro, addosso segretamente gli stava davvero.

Ora inventare qualcosa sulla vita privata di Claggart, qualcosa che coinvolga Billy Budd, e di cui questi sia all’oscuro, un episodio romantico che mostri come Claggart conoscesse il giovane marinaio prima di incontrarlo sulla settantaquattro – tutto questo, nient’affatto difficile da fare, potrebbe servire in modo più o meno interessante a rendere ragione dell’enigma celato in questo caso. Ma in realtà non c’era nulla del genere. Eppure la causa – l’unica plausibile alla quale ricorrere – è nel suo realismo tanto pregna di mistero – elemento essenziale nella narrativa di Ann Radcliffe – quanto lo è l’invenzione più ingegnosa escogitata dall’autrice dei Misteri di Udolfo Che cosa infatti è più misterioso dell’avversione spontanea e profonda suscitata in certi mortali eccezionali dal mero aspetto di un altro mortale, magari inoffensivo, se addirittura non è provocata da questa stessa inoffensività? Ora non esiste attrito di personalità difformi più stridente di quello che può nascere a bordo di una grande nave da guerra, con l’equipaggio al completo, in alto mare. Qui ogni giorno, praticamente tutti, a tutti i ranghi, vengono in contatto fra loro. Chi volesse evitare perfino la vista di un oggetto ripugnante dovrebbe fargli fate il salto di Giona o buttarsi in mare. Immaginate quale influenza finisca per avere tutto questo su qualche strano essere umano che non sia un santo! Ma per far comprendere adeguatamente Claggart a una natura normale non bastano questi accenni. Per passare da una natura normale a lui è necessario attraversare «lo spazio mortale che li divide». E questo si può fare meglio per via indiretta.

Molto tempo fa un onesto studioso, più vecchio di me, riferendosi a un uomo che, come lui, non è più di questo mondo, un uomo così inappuntabilmente rispettabile che mai nulla gli era stato rimproverato in modo aperto, sebbene fra i pochi corressero certi mormorii, mi disse:

— Sì, X non è una noce che si possa rompere con un colpetto di ventaglio. Voi sapete che non appartengo a nessuna religione costituita, e ancora meno a una filosofia eretta a sistema. Beh, nonostante ciò, a mio avviso, cercare di arrivare a X, entrare nel suo labirinto e uscirne con l’unico filo conduttore fornito dalla “conoscenza del mondo”, sarebbe quasi impossibile, almeno per me.

— Ma, — dissi io, — pur essendo per alcuni un singolare oggetto di studio, X è tuttavia umano, e certamente la conoscenza del mondo comporta la conoscenza della natura umana in quasi tutte le sue varietà.

— Sì, una conoscenza superficiale, utile ai fini normali. Ma per penetrare in profon­dità non sono sicuro che la conoscenza del mondo e la conoscenza della natura umana non siano due branche diverse del sapere, che, pur potendo convivere nel cuore di qualcuno, possano esistere l’una indipendentemente, o quasi, dall’altra. Sì, in un uomo normale, il continuo logorio con il mondo ottunde quel sottile intuito spirituale indispen­sabile alla comprensione dell’essenza di certi caratteri eccezionali, nel bene e nel male. In una questione di una certa importanza ho visto una ragazzina raggirarsi intorno al dito mignolo un vecchio avvocato. E non si trattava del rimbambimento di un’infatuazione senile. Niente del genere. Ma conosceva le leggi meglio di quanto non conoscesse il cuore di quella ragazzina. Coke e Blackstone non hanno gettato luce negli oscuri recessi dello spirito più dei profeti ebrei. E chi erano? Quasi tutti eremiti.

A quel tempo la mia inesperienza era tale da non farmi capire il senso di quel discorso. Forse lo capisco oggi. E invero se il lessico che si basa sulla Sacra Scrittura fosse ancora largamente noto, forse con minore difficoltà sarebbe possibile definire e denominare certi uomini fenomenali. Cosi come stanno le cose, è necessario invocare una qualche autorità immune dall’accusa di essere intrisa di elementi biblici.

In un elenco di definizioni, compreso nella traduzione autentica di Platone, un elenco attribuito a lui, se ne legge una: «Depravazione naturale: una depravazione secondo natura», definizione questa che, pur avendo il sapore del calvinismo, non dilata il dogma di Calvino fino a comprendere tutta l’umanità. Nelle intenzioni è evidentemente appli­cabile soltanto agli individui. Non molti sono gli esempi di questa depravazione forniti dalla forca e dal carcere.

Per trovare esempi notevoli che non siano fatti della volgare pasta del bruto, ma invariabilmente dominati dall’intellettualità, è sempre necessario cercare altrove.