La civiltà, soprattutto se austera, è propizia a questa depravazione, che si ammanta di rispettabilità. Possiede certe virtù negative che fanno da silente ausilio. Non permette al vino di incrinare la vigilanza. Non si esagera dicendo che è senza vizi e peccati veniali. Li vieta il fenomenale orgoglio di questi individui. Non è mai una depravazione mercenaria o avara; in breve non ha nulla di sordido o di sensuale. È seria, ma senza acredine. Pur non lusingando l’umanità, non ne parla mai male.
Ma ecco quello che negli esempi eminenti indica una natura eccezionale: sebbene l’umore sereno e il portamento discreto stiano a indicare una mente soggetta in modo particolare alla legge della ragione, nel cuore nondimeno un uomo siffatto sembra insorgere contro questa legge, sottrarsene del tutto, aver ben poco a che fare con essa, se non per usarla come uno strumento ambivalente per realizzare l’irrazionale. Vale a dire: al conseguimento di uno scopo che nella sua sfrenata atrocità sconfina nella follia, egli si accinge con fredda lucidità e solida sagacia. Sono uomini pazzi, del tipo più pericoloso, perché la loro follia non è costante, ma saltuaria, evocata da qualche oggetto speciale; è protettivamente segreta, il che vuol dire che è tenuta sotto controllo, sicché, per giunta, quando è più attiva, non è per la mente comune distinguibile dalla sanità, viste le ragioni indicate sopra: qualunque sia lo scopo – e lo scopo non è mai dichiarato – il metodo e il procedimento esteriore sono sempre perfettamente razionali.
Ora qualcosa del genere era Claggart: in lui covava l’ossessione di una natura malvagia, non generata da una educazione pervertita da libri corruttori, da una vita licenziosa, ma insita e innata in lui, insomma «una depravazione secondo natura».
Oscure parole sono queste, dirà qualcuno. Ma perché? Forse perché questi individui in qualche modo rammentano vagamente «il mistero dell’iniquità», secondo la frase della Sacra Scrittura? Se è così; è una reminiscenza lungi dall’essere voluta, perché ben poco raccomanderà queste pagine a molti lettori di oggi.
Ha imposto questo capitolo il senso di una storia che gravita sulla natura segreta del maestro d’armi. Con l’aggiunta di uno o due accenni a proposito dell’incidente della mensa, la narrazione che verrà ripresa dovrà rivendicare da sé, come può, la propria credibilità.
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Che la figura di Claggart non fosse imperfetta e che il volto, ad eccezione del mento, fosse ben modellato, è già stato detto. Di queste doti non sembrava inconsapevole, perché non solo era vestito con proprietà, ma anche con accuratezza. L’aspetto di Billy Budd, però, era eroico, e se il suo volto non aveva l’aria intellettuale del pallido Claggart, era tuttavia illuminato, al pari di quello, da una luce interiore, che però scaturiva da una diversa fonte. Il fuoco del cuore rendeva luminoso l’incarnato bronzeo delle guance.
Visto il netto contrasto tra i due, è assai probabile che, quando il maestro d’armi nell’ultima scena narrata applicò al marinaio il proverbio «I belli ne fanno di belle», si sia lasciato scappare un accenno ironico, non colto dai giovani marinai che l’avevano sentito, sul motivo che fin dall’inizio lo aveva spinto contro Billy, cioè la sua notevole bellezza fisica.
Ora invidia e avversione, passioni irriconciliabili secondo ragione, possono tuttavia scaturire congiunte come Chang ed Eng in un’unica nascita. L’invidia è dunque un tale mostro? Sebbene molti uomini sotto accusa si siano dichiarati colpevoli di orribili azioni nella speranza di vedersi mitigare la pena, è mai accaduto che qualcuno confessasse seriamente di essere invidioso? Vi è in essa qualcosa che, a giudizio universale, viene percepito come più vergognoso perfino di un crimine efferato. E non soltanto tutti la sconfessano, ma le persone migliori sono inclini all’incredulità, quando viene imputata sul serio a un uomo intelligente. Ma siccome l’invidia alberga nel cuore, non nel cervello, nessun grado di intelligenza offre garanzia contro di essa. Ma l’invidia di Claggart non era una forma volgare di tale passione. E neppure, investendo Billy Budd, aveva quella vena di gelosia apprensiva che sconvolgeva il volto di Saul intento a rimuginare turbato sul bel giovane David. L’invidia di Claggart colpiva più a fondo. Se con occhio torvo guardava il bell’aspetto, la gioiosa salute, la schietta esuberanza della giovinezza di Billy Budd, era perché tali qualità si accompagnavano a una natura che, come percepiva magneticamente Claggart, nella sua semplicità non aveva mai voluto il male, né sperimentato il morso reattivo di quel serpente. Per lui era lo spirito che albergava in Billy e faceva capolino dagli occhi color cielo come da finestre, era la sua ineffabilità a creare la fossetta nella guancia colorita, a rendere flessibili le giunture, a danzare nei riccioli d’oro facendone il Bel Marinaio per eccellenza. A eccezione soltanto di un’altra persona, il maestro d’armi era forse l’unico uomo a bordo intellettualmente capace di apprezzare in modo adeguato il fenomeno morale rappresentato da Billy Budd. E questa intuizione soltanto intensificava la sua passione che, assumendo multiformi aspetti dentro di lui, a volte prendeva quello del cinico disprezzo, il disprezzo per l’innocenza – non essere altro che innocente! Eppure da un punto di vista estetico ne vedeva il fascino, il temperamento coraggioso, libero e spontaneo, e volentieri l’avrebbe condiviso, ma ne disperava.
Impotente ad annullare dentro di sé la forza primordiale del male, ma abile a nasconderla con prontezza, consapevole del bene ma incapace di attingervi, una natura come quella di Claggart, sovraccarica di energia come quasi sempre sono tali nature, che cosa poteva fare se non ripiegarsi su se stessa e, come lo scorpione del quale soltanto il Creatore è responsabile, porre fino in fondo la parte che gli era stata assegnata?
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La passione, la passione anche più profonda, non ha bisogno di un palcoscenico grandioso per interpretare la sua parte. La si rappresenta in basso fra gli spettatori delle ultime file, fra i mendicanti e i pezzenti. E le circostanze che la scatenano, per quanto squallide e banali, non danno la misura del suo potere. In questo caso il palcoscenico è un ponte di batteria appena ripulito, e la causa esterna scatenante è la zuppa rovesciata da un marinaio su una nave da guerra.
Ora quando il maestro d’armi si accorse da dove veniva quel rivolo grasso che gli scorreva davanti ai piedi, senz’altro lo prese – forse con intenzione, in certa misura – non per il semplice incidente che fuor di dubbio era, ma come lo sfogo perfido di un sentimento spontaneo in Billy, che più o meno contraccambiava la sua ostilità. Una sciocca manifestazione, avrà pensato, e assai innocua, simile al vano calcio di una giovenca, che non sarebbe però così innocuo, se la giovenca fosse uno stallone ferrato. E così accadde che nel fiele dell’invidia Claggart instillasse il vetriolo del disprezzo.
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