Io non voglio rovinarla: venga a casa mia, ecco il mio indirizzo: venga domani e assieme andremo dai suoi superiori. - Va bene! Ma l'indomani né poi l'amico andò. Aveva paura. Aveva paura. Eppoi il tempo era orribile ed egli non si muoveva di là. Tossiva e un facchino gli portava di tanto in tanto un po' di latte caldo. Che tempo era? Che tempo!”, ripeté Giacinto, e sollevò il viso guardandosi attorno quasi per accertarsi che la notte era bella.

Efix ascoltava, col gomito sul ginocchio e il viso sulla mano, come i bambini intenti alle fiabe.

“Ma un giorno mi decisi e andai...”

Silenzio. Il viso dei due uomini si coprì d'ombra ed entrambi abbassarono gli occhi. La spalla di Giacinto tremava convulsa; ma egli la sollevò e la scosse come per liberarsi dal tremito, e riprese con voce più dura:

“Sì, ero io, tu avevi capito. Andai dal capitano. Non era in casa, ma la cameriera, una ragazza pallida che parlava sottovoce, mi fece aspettare in anticamera. La stanza era quasi buia, ma ricordo che quando un uscio s'apriva il pavimento rosso luccicava come lavato col sangue. Aspettai ore ed ore. Finalmente il capitano tornò; era con la moglie, grossa come lui, bonaria come lui. Sembravano due bambini enormi; ridevano rumorosamente. La signora aprì gli usci per vedermi bene: io tossivo e sbadigliavo. Si accorsero che avevo fame e m'invitarono ad entrare nella sala da pranzo. Io, ricordo, mi alzai, ma ricaddi seduto battendo la testa alla spalliera della cassapanca. Non ricordo altro. Quando rinvenni ero a letto, in casa loro. La cameriera mi portava una tazza di brodo su un vassoio d'argento e mi parlava con grande rispetto. Rimasi là più di un mese, Efix, capisci: quaranta giorni. Mi curarono, cercarono di rimettermi a posto; ma il posto era difficile trovarlo perché tutti ormai sapevano la mia storia. D'altronde anch'io volevo andarmene lontano, al di là del mare. Ciò che io ho sofferto durante quel tempo nessuno può saperlo: il capitano, sua moglie, la serva io li vedo sempre in sogno; li vedo anche nella realtà, anche adesso, lì, davanti a me. Essi erano buoni, ma io vorrei sprofondarmi per non vederli più. E il peggio è che non potevo andarmene da casa loro. Stavo lì, istupidito, seduto immobile ad ascoltare la signora che parlava parlava parlava, o in compagnia della serva che taceva: sedevo a tavola con loro, li sentivo scherzare, far progetti per me, come fossi un loro figliuolo, e tutto mi dava pena, mi umiliava, eppure non potevo andarmene. Finalmente un giorno la signora, vedendomi completamente guarito, mi domandò che intenzioni avevo. Io dissi che volevo venire qui dalle mie zie, di cui avevo parlato come di persone benestanti.