Eccoli, son tutti lì; c'è don Zame inginocchiato sul banco di famiglia e più in là donna Lia pallida nel suo scialle nero come la figura su nel quadro antico che tutte le donne guardano ogni tanto e che pare affacciata davvero a un balcone nero cadente. E la figura della Maddalena, che dicono dipinta dal vero: l'amore, la tristezza, il rimorso e la speranza le ridono e le piangon negli occhi profondi e nella bocca amara...
Efix la guarda e sente, come sempre davanti a questa figura che s'affaccia dall'oscurità di un passato senza limiti, un capogiro come se fosse egli stesso sospeso in un vuoto nero misterioso... Gli sembra di ricordare una vita anteriore, remotissima. Gli sembra che tutto intorno a lui si animi, ma d'una vita fantastica di leggenda; i morti risuscitano, il Cristo che sta dietro la tenda giallastra dell'altare, e che solo due volte all'anno viene mostrato al popolo, scende dal suo nascondiglio e cammina: anche Lui è magro, pallido, silenzioso: cammina e il popolo lo segue, e in mezzo al popolo è lui, Efix, che va, va, col fiore in mano, col cuore agitato da un sussulto di tenerezza... Le donne cantano, gli uccelli cantano; donna Ester sgambetta accanto al servo, col dito fuori dell'incrociatura dello scialle. La processione esce fuori dal paese, e il paese è tutto fiorito di melograni e di vitalbe; le case son nuove, il portone della famiglia Pintor è nuovo, di noce, lucido, il balcone è intatto... Tutto è nuovo, tutto è bello. Donna Maria Cristina è viva e s'affaccia al balcone ove sono stese le coperte di seta. Donna Noemi è giovanissima, è fidanzata a don Predu, e don Zame, che segue anche lui la processione, finge d'esser come sempre corrucciato, ma è molto contento...
Ma il canto delle donne cessò e alcune s'alzarono per andarsene. Efix, che aveva appoggiato la testa alla colonna del pulpito, si scosse dal suo sogno e seguì donna Ester che usciva per tornarsene a casa.
Il sole alto sferzava adesso il paesetto più che mai desolato nella luce abbagliante del mattino già caldo: le donne uscite di chiesa sparvero qua e là, tacite come fantasmi, e tutto fu di nuovo solitudine e silenzio intorno alla casa delle dame Pintor. Donna Ester s'avvicinò, al pozzo per coprire con un'assicella una piantina di garofani, salì svelta le scale, chiuse porte e finestre. Al suo passare il ballatoio scricchiolava e dal muro e dal legno corroso pioveva una polverina grigia come cenere.
Efix aspettò ch'ella scendesse. Seduto al sole sugli scalini, con la berretta ripiegata per farsi un po' d'ombra sul viso, appuntava col suo coltello a serramanico un piuolo che donna Ruth desiderava piantare sotto il portico; ma lo scintillare della lama al sole gli faceva male agli occhi e la violacciocca già appassita tremolava sul suo ginocchio. Egli sentiva le idee confuse e pensava alla febbre che lo aveva tormentato l'anno scorso.
“Già di ritorno quella diavola?”
Donna Ester ridiscese, con un vasetto di sughero in mano: egli si tirò in là per lasciarla passare e sollevò il viso ombreggiato dalla berretta.
“Padrona mia, non esce più?”
“E dove vuoi che vada, a quest'ora? Nessuno mi ha invitato a pranzo!”
“Vorrei dirle una cosa. È contenta?”
“Di che, anima mia?”
Ella lo trattava maternamente, senza famigliarità però; lo aveva sempre considerato un uomo semplice.
“Che... che sieno tutte d'accordo per la venuta di don Giacintino?”
“Son contenta, sì. Doveva esser così.”
“È un bravo ragazzo. Farà fortuna. Bisogna comprargli un cavallo. Però...”
“Però?”
“Non bisognerà dargli molta libertà, in principio. I ragazzi son ragazzi... Io ricordo quando ero ragazzo, se uno mi permetteva di stringergli il dito mignolo io gli torcevo tutta la mano. Eppoi gli uomini della razza Pintor, lei lo sa... donna Ester... sono superbi...”
“Se mio nipote arriverà, Efix, io gli dirò come all'ospite: siediti, sei come in casa tua. Ma egli capirà che qui lui è ospite...”
Allora Efix si alzò, scuotendosi dalle brache la segatura del piuolo. Tutto andava bene, eppure un senso di inquietudine lo agitava: aveva da dire ancora una cosa ma non osava.
Seguì passo passo la donna, si tolse la berretta per piantar con più forza il piuolo, attese di nuovo pazientemente finché donna Ester tornò per attinger acqua.
“Dia! Dia a me”, disse togliendole di mano la secchia, e mentre tirava su l'acqua guardava dentro il pozzo, per non guardare in viso la padrona, poiché si vergognava di chiederle i denari che ella gli doveva.
“Donna Ester, non vedo più i fasci di canne. Le ha poi vendute?”
“Sì, le ho vendute in parte a un Nuorese, in parte le ho adoperate per accomodare il tetto, e così ho pagato anche il muratore. Sai che l'ultimo giorno di quaresima il vento portò via le tegole.”
Egli non insisté dunque. Ci son tanti modi di aggiustar le cose, senza mortificar la gente a cui si vuol bene! Andò quindi da Kallina l'usuraia, fermandosi a salutare la nonna del ragazzo rimasto a guardia del poderetto.
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