E dimmi una cosa, se è lecito: è vero che viene il figlio di Lia? Lo dicevano stamattina lì in bottega. ”

Siccome il Milese s'era avvicinato alla porta e rideva per qualche cosa che don Predu gli diceva sottovoce, Efix esclamò con dignità:

“È vero! Io sto qui appunto in paese perché devo comprare un cavallo per lui”.

“Un cavallo di canna?”, domandò allora don Predu, ridendo goffamente. “Ah, ecco perché ti ho visto uscire dalla tana di Kallina.”

“A lei che importa? A lei non abbiamo domandato mai niente!”

“Sfido, babbeo! Non vi darei mai niente! Un buon consiglio però, sì! Lasciate quel ragazzo dov'è!”

Ma Efix era uscito dalla bottega a testa alta, con la berretta sotto il braccio, e si allontanava senza rispondere.

 

 

Capitolo terzo

 

Invano però nei giorni seguenti e per intere settimane le dame Pintor aspettarono il nipote.

Donna Ester fece il pane apposta, un pane bianco e sottile come ostia, quale si fa solo per le feste, e di nascosto dalle sorelle comprò anche un cestino di biscotti. Dopo tutto era un ospite, che arrivava, e l'ospitalità è sacra. Donna Ruth a sua volta sognava ogni notte l'arrivo del nipote, e ogni giorno verso le tre, ora dell'arrivo della diligenza, spiava dal portone. Ma l'ora passava e tutto restava immoto intorno.

Ai primi di maggio donna Noemi rimase sola in casa perché le sorelle andarono alla festa di Nostra Signora del Rimedio, come usavano tutti gli anni, da tempo immemorabile, per penitenza, - dicevano - ma anche un poco per divertimento.

Noemi non amava né l'una né l'altro, eppure, mentre sedeva all'ombra calda della casa, in quel lungo pomeriggio luminoso, seguiva col pensiero nostalgico il viaggio delle sorelle. Rivedeva la chiesetta grigia e rotonda simile a un gran nido capovolto in mezzo all'erba del vasto cortile, la cinta di capanne in muratura entro cui si pigiava tutto un popolo variopinto e pittoresco come una tribù di zingari, il rozzo belvedere a colonne, sopra la capanna destinata al prete, e lo sfondo azzurro, gli alberi mormoranti, il mare che luccicava laggiù fra le dune argentee. Pensando a queste dolci cose, Noemi sentiva voglia di piangere, ma si morsicava le labbra, vergognosa davanti a se stessa della sua debolezza.

Tutti gli anni la primavera le dava questo senso d'inquietudine: i sogni della vita rifiorivano in lei, come le rose fra le pietre dell'antico cimitero; ma ella capiva che era un periodo di crisi, un po' di debolezza destinata a cessare coi primi calori estivi, e lasciava che la sua fantasia viaggiasse, spinta dalla stessa calma sonnolenta che stagnava attorno, sul cortile rosso di papaveri, sul Monte ombreggiato dal passaggio di qualche nuvola, sull'intero villaggio metà dei cui abitanti era alla festa.

Eccola dunque col pensiero laggiù.

Le par d'essere ancora fanciulla, arrampicata sul belvedere del prete, in una sera di maggio. Una grande luna di rame sorge dal mare, e tutto il mondo pare d'oro e di perla. La fisarmonica riempie coi suoi gridi lamentosi il cortile illuminato da un fuoco d'alaterni il cui chiarore rossastro fa spiccare sul grigio del muro la figura svelta e bruna del suonatore, i visi violacei delle donne e dei ragazzi che ballano il ballo sardo. Le ombre si muovono fantastiche sull'erba calpestata e sui muri della chiesa; brillano i bottoni d'oro, i galloni argentei dei costumi, i tasti della fisarmonica: il resto si perde nella penombra perlacea della notte lunare. Noemi ricordava di non aver mai preso parte diretta alla festa, mentre le sorelle maggiori ridevano e si divertivano, e Lia accovacciata come una lepre in un angolo erboso del cortile forse fin da quel tempo meditava la fuga.

La festa durava nove giorni di cui gli ultimi tre diventavano un ballo tondo continuo accompagnato da suoni e canti: Noemi stava sempre sul belvedere, tra gli avanzi del banchetto; intorno a lei scintillavano le bottiglie vuote, i piatti rotti, qualche mela d'un verde ghiacciato, un vassoio e un cucchiaino dimenticati; anche le stelle oscillavano sopra il cortile come scosse dal ritmo della danza. No, ella non ballava, non rideva, ma le bastava veder la gente a divertirsi perché sperava di poter anche lei prender parte alla festa della vita.

Ma gli anni eran passati e la festa della vita s'era svolta lontana dal paesetto, e per poterne prender parte sua sorella Lia era fuggita da casa...

Lei, Noemi, era rimasta sul balcone cadente della vecchia dimora come un tempo sul belvedere del prete.

 

Verso il tramonto qualcuno batté al portone ch'ella teneva sempre chiuso.

Era la vecchia Pottoi che veniva per domandarle se occorrevano i suoi servizi; benché Noemi non la invitasse a restare sedette per terra, con le spalle al muro, sciogliendosi il fazzoletto sul collo ingemmato, e cominciò a parlare con nostalgia della festa.

“Tutti son laggiù; anche i miei nipotini, Nostra Signora li aiuti. Ah, tutti son laggiù e han fresco, perché vedono il mare...”

“E perché non siete andata anche voi?”

“E la casa, missignoria? Per quanto povera, una casa non deve esser mai abbandonata del tutto: altrimenti ci si installa il folletto. I vecchi rimangono, i giovani vanno!”

Sospirò, curvando il viso per guardarsi e aggiustarsi i coralli sul petto, e raccontò di quando anche lei andava alla festa con suo marito, sua figlia, le buone vicine. Poi sollevò gli occhi e guardò verso l'antico cimitero.

“Di questi giorni mi par di rivedere tutti i morti risuscitati. Tutti andavano a divertirsi, laggiù. Mi sembra di rivedere la madre di vossignoria, donna Maria Cristina, seduta sulla panca all'angolo del grande cortile. Sembrava una regina, con la gonna gialla e lo scialle nero ricamato. E le donne di tanti paesi le stavano sedute intorno come serve... Essa mi diceva: Pottoi, vieni, assaggia questo caffè; cosa ti pare, è buono? - Sì, così umile era. Ah, per questo non amo neppure tornare laggiù; mi pare che ci ho lasciato qualche cosa e che non la ritroverei più...”

Noemi assentì vivacemente, con la testa reclinata sul lavoro; la voce della vecchia le sembrava l'eco del suo passato.

“E don Zame, missignoria? Era l'anima della festa. Gridava, spesso, sembrava la burrasca, ma in fondo era buono. L'arcobaleno c'è sempre, dietro la tempesta. Ah, sì, proprio in questi giorni, quando sto seduta giù a filare, mi sembra di sentire un passo di cavallo... Eccolo, è lui che va alla festa, sul suo cavallo nero, con le bisacce piene... Passa e mi saluta: Pottoi, vieni in groppa? Su, mala fata!”

Ella rifaceva commossa la voce del nobile morto; poi, a un tratto, seguendo i suoi pensieri, domandò:

“E questo don Giacintino non arriva più?”.

Noemi s'irrigidì, perché non permetteva a nessuno di immischiarsi nei fatti di casa sua.

“Se verrà ch'egli sia il benvenuto”, rispose fredda; ma andata via la vecchia riprese il filo dei suoi pensieri. Riviveva talmente nel passato che il presente non la interessava quasi più.

A misura che l'ombra calda della casa copriva il cortile e l'odore dell'euforbia arrivava dalla pianura, ricordava più intensamente la fuga di Lia. Ecco, è un tramonto come questo: il Monte bianco e verde incombe sulla casa, il cielo è tutto d'oro. Lia sta su nelle camere di sopra e vi si aggira silenziosa; s'affaccia al balcone, pallida, vestita di nero, coi capelli scuri che par riflettano un po' l'azzurro dorato del cielo; guarda laggiù verso il castello, poi d'improvviso solleva le palpebre pesanti e si scuote tutta agitando le braccia.