E qui la China, madre d’otto figli

già sbozzolati, accoccò il filo al fuso,

mise il fuso sul legoro, le tiglie

205 si strusciò dalla bocca arida; e disse:

“Io l’ho vedute, come fanno ai figli

le madri, ossia le balie. Hanno figlioli

quasi fasciati dentro un bozzolino.

Lo sa la mamma che lì dentro è chiuso

210 il lor begetto, ch’è cicchin cicchino,

e dorme, e gli fa freddo e gli fa caldo.

Lasciano all’altre le faccende, ed esse

altro non fanno che portare il loro

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 46

ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli

Giovanni Pascoli Canti di Castelvecchio – Canti di Castelvecchio Q

furigello ora all’ombra ed ora all’aspro,

215 in collo, come noi; ch’è da vedere

come via via lo tengono pulito,

come lo fanno dolco con lo sputo;

e infine con la bocca aprono il guscio,

come a dire, le fasce; e il figliolino

220 n’esce, che va da sé, ma gronchio gronchio”.

Così parlando, essi bevean l’arzillo

vino, dell’anno. E mille madri in fuga

correan pei muschi della scorza arsita,

coi figli, e c’era d’ogni intorno il fuoco;

225 e il fuoco le sorbiva con un breve

crepito, né quel crepito giungeva

al nostro udito, più che l’erme vette

d’Appennino e le aguzze Alpi apuane,

assise in cerchio, con l’aeree grotte

230 intronate dal cupo urlo del vento,

odano lo stridor d’un focherello

ch’arde laggiù laggiù forse un villaggio

con le sue selve; un punto, un punto rosso

or sì or no. Né pur vedea la gente

235 là, che moriva, i mostri dalla ferrea

voce e le gigantesse filatrici:

i mostri che reggean concavi laghi

di sangue ardente, mentre le compagne

con moto eterno, tra un fischiar di nembi,

240 mordean le bigie nuvole del cielo.

Ma non vedeva il popolo morente

gli dei seduti intorno alla sua morte,

fatti di lunga oscurità: vedeva,

forse in cima all’immensa ombra del nulla,

245 su, su, su, donde rimbombava il tuono

della lor voce, nelle occhiute fronti,

da un’aurora notturna illuminate,

guizzare i lampi e scintillar le stelle.

E lo Zi Meo parlò. Disse: “Formiche!

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 47

ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli

Giovanni Pascoli Canti di Castelvecchio – Canti di Castelvecchio Q

250 L’altr’anno seminai l’erba lupina.

Venne la pioggia: non ne nacque un filo.

Vennero i soli: il campo parea sodo.

Un giorno che v’andai, vidi sul ciglio

del poggio un mucchiarello alto di chicchi.

255 Guardai per tutto. Ad ogni poco c’era

un mucchiarello. Erano i semi, i semi

d’erba lupina. Avean rumato poco?

Non un chicco, ch’è un chicco, era rimasto!

Aveano fatto, le formiche, appietto!

260 E ben sì che v’avevo anco passato

l’erpice a molti denti, e su la staggia,

per tutte bene pianeggiar le porche,

mi facev’ir di qua di là, come uno

fa, nel passaggio, in mezzo all’Oceàno”.

CANTO SECONDO

Ed il ciocco arse, e fu bevuto il vino

arzillo, tutto. Io salutai la veglia

cupo ronzante, e me ne andai: non solo:

m’accompagnava lo Zi Meo salcigno.

5

Era novembre. Già dormiva ognuno,

sopra le nuove spoglie di granturco.

Non c’era un lume. Ma brillava il cielo

d’un infinito riscintillamento.

E la Terra fuggiva in una corsa

10

vertiginosa per la molle strada,

e rotolava tutta in sé rattratta

per la puntura dell’eterno assillo.

E rotolando per fuggir lo strale

d’acuto fuoco che le ruma in cuore,

15

ella esalava per lo spazio freddo

ansimando il suo grave alito azzurro.

Così, nel denso fiato della corsa

ella vedeva l’iridi degli astri

sguazzare, e nella cava ombra del Cosmo

Op.