Così passava la lor cauta vita

100 nell’odoroso tarmolo del ciocco:

e chi faceva nuove case ai nuovi,

e chi per tempo rimettea la roba,

e chi dentro allevava i dolci figli,

e chi portava i cari morti fuori.

105 E videro l’incendio ora e la fine

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 43

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i vegliatori: disse ognun la sua.

E disse il Biondo, domator del ferro,

cui la verde Corsonna ama, e gli scende

cantando per le selve allo stendino,

110 e per lui picchia non veduta il maglio:

“Vogliono dire ch’hanno tutti i ferri,

quanti con sé porta il bottaio, allora

ch’è preso a opra avanti la vendemmia:

l’aspro saracco, l’avido succhiello,

115 e tenaglie che azzeccano, e rugnare

di scabra raspa e scivolar di pialla.

Ché non hanno bottega: a giro vanno

come il nero magnano, quando passa

con quello scampanìo sopra il miccetto;

120 ossia concino, o fradicio ombrellaio,

voce del verno, la qual morde il cuore

a chi non fece le rimesse a tempo.

Né lëo lëo vanno, come loro.

Piglian le gambe e stradano, la vita,

125 come noi, strinta dal grembial di cuoio”.

E disse il Topo, portatore in collo,

primo, fuor che del Nero; sì, ma questi

porta più poco, e brontola incaschito:

— Carico piccolo è che scenta il bosco —:

130

“Vogliono dire ch’han la tiglia soda

più che nimo altri che di mattinata

porti in monte il cavestro e la bardella.

E hanno l’arte, perché intorno al peso

girano ora all’avanti ora all’indietro

135 or dalle parti, per entrarci sotto.

Se lo possono, via, telano; quando

non lo possono, vanno per aiuto;

e su e su, per una carraiuola:

come una nera fila di muletti

140 di solitari carbonai, su l’Alpe,

che in quel silenzio semina i tintinni

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 44

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de’ suoi sonagli. Alcuno ecco s’espone,

come anco noi, per ragionar con altri

che scende, e frescheggiare allo sciurino”.

145

E disse il Menno, vangatore a fondo,

a cui la terra, nell’aprir d’aprile,

rotta e domata ai piedi ansa e rifiata:

e’ la sogguarda curvo su l’astile:

“Ho inteso dire ch’hanno i suoi poderi,

150 come noi. Sotto le città ben fatte

coltano un campo sodo: che bel bello

si fa lo scasso, e qua si tira dentro,

là si leva la terra, e si tramuta

con le pale o valletti e cestinelle.

155 La pareggiano, seminano. Nasce

un’erba. Ed ecco poi vanno a pulirla,

levano il loglio, scerbano i vecciuli,

e scentano la sciàmina, cattiva,

e la gramigna, che riè cattiva,

160 e i paternostri, ch’è peggior di tutte.

A suo tempo si sega, lega, ammeta,

scuote, ventola, spula. Eccolo bello

nel bel soppiano dai due godi il grano”.

E disse il Bosco, buon pastor di monte,

165 ch’era ad albergo: egli da Pratuscello

mena il branco alla Pieve, a quei guamacci:

per là dicon guamacci: è il terzo fieno:

“Ho inteso dire ch’hanno le sue bestie:

quali, pecore, e quali, proprio bestie,

170 ossia da frutto, ovvero anche da groppa.

Ma piccoline e verdi queste, e quelle

con una lana molle come sputo:

pascono in cento un cuccolo di fiore.

E il pastore ha due verghe, esso, non una:

175 due, con nodetti, come canne; e molge

con esse: le vellìca, e dànno il latte;

o chiuse dentro, o fuori, per le prata:

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 45

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come noi, che si molge all’aria aperta,

nella statina, le serate lunghe:

180 quando su l’Alpe c’è con noi la luna

sola, che passa, e splende sui secchielli,

e il poggio rende un odorin che accora”.

E disse il Quarra, un capo, uno che molto

girò, portando santi e re sul capo,

185 di là dei monti e del sonante mare:

ora s’è fermo, e campa a campanello:

“Lessi in un libro, ch’hanno contadini

come noi; ma non come mezzaiuoli

timidi sol del Santo pescatore,

190 e che, d’ottobre, quando uno scasato

cerca podere, a lui dice il fringuello:

— Ce n’è, ce n’è, ce n’è, Francesco mio! —

Quelli no, sono negri. Alla lor terra

venne un lontano popolo guerriero,

195 che il largo fiume valicò sul ponte.

Fecero un ponte: l’uno chiappò l’altro

per le gambe, e così tremolò sopra

l’acqua una lunga tavola. Fu presa

la munita città, presi i fanciulli,

200 ch’or sono schiavi e fanno le faccende;

e il vincitore campa a campanello”.