Coriolano

WILLIAM SHAKESPEARE

 

 

 

 

 

CORIOLANO

 

Tragedia in 5 atti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Traduzione e note di Goffredo Raponi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Titolo originale: “THE TRAGEDY OF CORIOLANUS”

 

NOTE PRELIMINARI

 

 

 

 

 

1) Il testo inglese adottato per la traduzione è quello del prof. Peter Alexander (William Shakespeare - “The complete Works”, Collins., London & Glasgow, 1960), con qualche variante suggerita da altri testi, specialmente quello prodotto dal Furnivall per la “Early English Text Society”, l’“Arden Shakespeare” e l’ultima edizione dell’“Oxford Shakespeare” curata da G. Taylor e G. Wells per la “Claredon Press”, New York (USA), 1994.

 

2) Alcune didascalie sono state aggiunte dal traduttore di sua iniziativa, per la migliore comprensione dell’azione scenica alla lettura, cui questa traduzione è essenzialmente intesa.

 

3) All’inizio di ciascuna scena i personaggi sono introdotti con il rituale “Entra” o “Entrano”, che ripete l’“Enter” del testo; giova avvertire però che tale dizione non implica che i personaggi debbano “entrare” in scena al levarsi del sipario; è spesso possibile che essi vi si trovino già, in un qualunque atteggiamento. La reciproca vale per le dizioni “Exit” - “Exeunt”, “Esce”, “Escono”.

 

4) Il metro è l’endecasillabo sciolto, intercalato da settenari, come l’abbia richiesto al traduttore lo scorrere della verseggiatura.

 

5) Trattandosi della Roma di Coriolano, la forma del “tu” (i Romani non ne conoscevano altra) è sembrata imperativa, ad onta del dialogante alternarsi dello “you” e del “thou” dell’inglese.

 

6) La divisione in atti e scene, com’è noto, non si trova nell’in-folio; essa è stata elaborata, spesso anche con l’elenco dei personaggi, da vari curatori nel tempo, a cominciare da Nicolas Rowe (1700). Li si riproduce come figurano nella citata edizione dell’Alexander.

CORIOLANO

 

Nota introduttiva

 

 

 

 

Plutarco, dalle cui “Vite parallele” Shakespeare trae essenzialmente la trama della sua tragedia, associa Coriolano con Alcibiade, come esempio di due grandi condottieri e uomini politici venuti in contrasto con la loro patria e scesi contro di essa in guerra alla testa di eserciti nemici. I due sono contemporanei: Alcibiade vive nell’Atene di Pericle (V sec. a.C.), già matura repubblica demo-aristocratica; Coriolano nella giovane immatura repubblica di una Roma che si è appena liberata della tirannia dei re etruschi.

Ma il parallelismo tra i due è per contrasto; perché Alcibiade cerca, contro l’aristocrazia di cui è parte (è il nipote di Pericle), e che gli dà l’ostracismo, il favore del popolo(1); Coriolano, all’opposto, nel suo orgoglio di aristocratico rozzo e impolitico, disprezza la massa plebea ed è da questa prima eletto poi privato del consolato e bandito da Roma.

L’orgoglio di Coriolano e il suo conflitto con l’intima nobiltà dell’uomo è il “leitmotiv” del dramma shakespeariano; ad esso fa da sfondo una Roma la cui politica interna è caratterizzata dalle lotte di classe fra patrizi e plebei, quella esterna dalle prime guerre di espansione. I nemici più vicini sono i Volsci, che abitano le terre del sud del Lazio, comprese le città di Anzio e Corioli.

La superbia è il peggiore dei vizi, il massimo dei peccati capitali della dottrina cristiana; tradotta nella persona di un eroe della Roma pagana essa acquista la dimensione di un vizio legato ad una virtù: nobiltà e onore. Le parole “nobility” e “honour”, come osserva il Melchiori(2), con i loro derivati nominali e verbali ricorrono ben 137 volte nel testo della tragedia.

Questo conflitto, come una fatale condanna, nega a Coriolano la capacità di convivere con gli oppositori, l’inclinazione al possibilismo che è la massima dote del politico, e sarà, nel mondo politico nel quale egli si muove, la sua tragica fine.

Il linguaggio di Coriolano, a differenza di quello raffinato e colto di Alcibiade, è sempre rude, quasi urlato, di rissa; e ad accentuarne la rudezza Shakespeare crea, in contrapposto, di sua fantasia, il personaggio di Menenio Agrippa, un modello di scaltrezza politica - questo sì - simile ad Alcibiade, che parla studiando l’avversario(3), per saggiarne i punti deboli e, prima assecondandolo poi demolendolo, averne ragione.

Ma Coriolano non è solo questo. All’intolleranza faziosa egli aggiunge l’incostanza del carattere, l’ignoranza di sé. Questo lo porta ad ingannarsi non solo sulla realtà politica che lo circonda, ma sulla sua stessa immagine; si trova così, quasi senza volerlo, sottomesso alla volontà della madre, Volumnia. Questa è la figura di matrona romana nelle cui parole par quasi di sentire un’eco ante litteram del Machiavelli: “Chi diventa principe col favore dei grandi deve anzitutto guadagnarsi il favore del popolo, farsi “gran simulatore e dissimulatore”.

Coriolano, a differenza di Alcibiade, è il contrario di tutto questo.


PERSONAGGI

 

 

 

CAIO MARCIO, detto poi “Coriolano”

 

TITO LARZIO

COMINIO, generali romani nella guerra contro i Volsci

 

MENENIO AGRIPPA, amico di Coriolano

 

SICINIO VELUTO

GIUNIO BRUTO, tribuni della plebe

 

 

IL PICCOLO MARCIO, figliolo di Coriolano

 

Un araldo romano

 

NICANOR, romano al servizio dei Volsci

 

TULLO AUFIDIO, generale dei Volsci

 

Un luogotenente di Aufidio

 

ADRIANO, volsco

 

Un cittadino di Anzio

 

Due sentinelle volsche

 

VOLUMNIA, madre di Coriolano

 

VIRGINIA, sposa di Coriolano

 

VALERIA, amica di Virginia

 

Una dama di compagnia di Virginia

 

Senatori romani e volsci

 

Patrizi, edili, littori, soldati, cittadini, messaggeri

 

Servi di Aufidio ed altri dei vari seguiti

 

Cospiratori del partito di Aufidio

 

 

SCENA: parte a Roma e nei dintorni di Roma;

parte a Corioli e dintorni; parte ad Anzio.

ATTO PRIMO

 

 

 

SCENA I - Roma, una strada

 

Entra un gruppo di POPOLANI in rivolta, con mazze, randelli e altri ordigni

 

PRIMO CITTADINO - (Agli altri)

Prima d’andare avanti, m’ascoltate!

 

TUTTI - Parla, parla.

 

PRIMO CITT. - Decisi allora: morti,

piuttosto che affamati!

 

TUTTI - Decisi sì!

- Decisi!

 

PRIMO CITT. - Primo: ciascuno sa che Caio Marcio

è il principale nemico del popolo.

 

TUTTI – È Caio Marcio! Lo sappiamo tutti.

 

PRIMO CITT. - Uccidiamolo, allora,

e avremo il grano al prezzo nostro! Chiaro?

 

TUTTI - Chiaro. Basta parole. Andiamo ai fatti!

 

SECONDO CITT. - Una parola, buoni cittadini.

 

PRIMO CITT. - “Buoni” dillo ai patrizi!

Noi per loro non siamo che gentaccia!

Il sovrappiù che avanza a lorsignori

già ci procurerebbe alcun sollievo;

quello che avanza dalla loro tavola,

dico, che fosse appena digeribile;

potremmo almeno farci l’illusione

che ci aiutino per umanità;

ma pensano che già costiamo troppo(4).

La macilenza che ci affligge tutti,

a specchio della nostra povertà,

è per loro un inventario ad uomo

per esibire la loro abbondanza.

La nostra sofferenza è il lor guadagno.

Vendichiamoci con le nostre picche

prima che diventiamo dei rastrelli,(5)

ché se parlo così,

sanno gli dèi ch’è per fame di pane,

e non punto per sete di vendetta!

 

SECONDO CITT. - E vorresti che noi si procedesse

prima di tutti contro Caio Marcio?

 

PRIMO CITT. - Contro di lui per primo;

è un vero cane, quello, per il popolo.

 

SECONDO CITT. - Hai ben considerato, tuttavia,

quali servigi egli ha reso alla patria?

 

PRIMO CITT. - Certamente, e sarei anche contento

di dargliene pubblicamente merito;

ma di ciò lui si paga da se stesso

con la sua boria.

 

SECONDO CITT. - Via, non dirne male.

 

PRIMO CITT.