- Io ti dico che tutto che di buono

ha fatto è stato per un solo fine;

anche se a certe tenere animucce

può piacere di dire che l’ha fatto

pel suo paese, in verità l’ha fatto

per piacere a sua madre, ed anche, in parte,

per soddisfare la propria ambizione,

ché ce n’ha tanta per quanto ha coraggio.

 

SECONDO CITT. - Tu gli addebiti a colpa

qualcosa contro cui lui non può niente,

perché fa parte della sua natura.

Non puoi dire però che sia corrotto.

 

PRIMO CITT. - Questo no, ma di accuse su di lui

ne posso partorire a volontà(6).

Di difetti ce n’ha di sopravanzo,

da stancare ad enumerarli tutti!

 

(Clamori all’interno)

Ma che son queste grida?...

L’altra parte della città è in rivolta,

e noi ce ne restiamo qui a cianciare?

Al Campidoglio, tutti!

 

TUTTI - Andiamo!

Andiamo!

 

PRIMO CITT. - Un momento! Chi è che viene qui?

 

Entra MENENIO AGRIPPA

 

SECONDO CITT. - Il buon Menenio Agrippa, un galantuomo,

uno che sempre volle bene al popolo.

 

PRIMO CITT. - Una persona onesta.

Fossero tutti gli altri come lui!

 

MENENIO - Ehi, cittadini, che intendete fare,

dove volete andare,

così armati di mazze e di randelli?

 

PRIMO CITT. - Il motivo lo sa bene il Senato.

È da due settimane

che sanno quello che vogliamo fare.

Ora glielo mostriamo con i fatti.

Loro dicono che noi postulanti

abbiamo il fiato forte: ora sapranno

che abbiamo forti pure mani e braccia(7).

 

MENENIO - Evvia, signori, buoni amici miei,

onesti miei concittadini, diamine!,

volete rovinarvi?

 

PRIMO CITT. - Rovinati

già siamo, amico; più non è possibile.

 

MENENIO - Ed io vi dico invece, brava gente,

che i patrizi si curano di voi

col più caritatevole riguardo.

Quanto a quel che vi manca,

ciò che soffrite in questa carestia,

alzare contro lo Stato romano

le vostre mazze, è come alzarle in aria

con l’intenzione di colpire il cielo:

esso seguiterà per la sua strada,

spezzando mille, diecimila ostacoli

più forti che non possa mai sembrare

quello di questa vostra opposizione.

Quanto alla carestia, sono gli dèi

che l’han voluta, non punto i patrizi,

e davanti agli dèi sono i ginocchi,

non le braccia, che possono soccorrervi.

Ahimè, che voi vi fate trascinare

dalla disgrazia dove altri malanni

v’aspettano, a calunniar così

e maledir come nemici gli uomini

che reggono il timone dello Stato

e di voi son pensosi, come padri.

 

PRIMO CITT. - Di noi pensosi, quelli? Figuriamoci!

Mai se ne son curati fino ad oggi.

Ecco, ci lasciano morir di fame,

e i magazzini son pieni di grano;

sfornano editti per punir l’usura

e favoriscon solo gli strozzini;

abrogano ogni giorno sane leggi

promulgate a suo tempo contro i ricchi

ed ogni giorno sfornano decreti

sempre più duri per impastoiare

ed affamare la povera gente.

Se non saran le guerre,

saranno loro a sterminarci tutti.

Ecco qual è l’amore che ci portano.

 

MENENIO - Dovete ammettere che a dir così

siete mostruosamente in malafede,

o si dovrà accusarvi di follia.

Vi voglio raccontare una storiella

su misura(8). L’avrete già sentita,

ma poiché ben s’adatta al mio proposito,

m’avventuro a ridurla un po’ più trita.

 

PRIMO CITT. - Beh, sentiamola un po’. Ma non pensare

di far sparire con un raccontino

il nostro obbrobrio. Dilla, se ti piace.

 

MENENIO - Successe un tempo che tutte le membra

del corpo si levarono in rivolta

contro lo stomaco, così accusandolo:

restarsene esso solo, in mezzo al corpo,

a ingozzarsi di cibo tutto il tempo

come un gorgo, infingardo ed inattivo,

senza divider mai con l’altre parti

il lavoro comune, mentre quelle

eran continuamente ad esso intente,

ad udire, a pensare, a impartir ordini,

a camminare, a percepir coi sensi,

sì che aiutandosi l’una con l’altra,

provvedevano insieme agli appetiti

e ai bisogni comuni a tutto il corpo.

Lo stomaco rispose...

 

PRIMO CITT. - Beh, sentiamo,

quale fu la risposta dello stomaco?

 

MENENIO - Stavo appunto per dirtelo. Lo stomaco,

mostrando loro un certo sorrisetto

che non gli venne affatto dai polmoni(9)

ma proprio qui, così...(10) perché, vedete,

se posso farlo parlare, lo stomaco,

posso ben farlo egualmente sorridere,

provocatoriamente replicò

alle parti che s’eran ribellate

invidiose ch’ei solo ricevesse,

esattamente come adesso voi

che criticate i nostri senatori

perché non sono quali siete voi.

 

PRIMO CITT. - La risposta del tuo stomaco... Beh?

La testa, sede di regal diadema,

l’occhio, vigil guardiano,

il cuore, consigliere,

il braccio, nostro difensore armato,

la gamba, nostro caval di battaglia,

la lingua, nostro araldo trombettiere,

con tutte l’altre nostre munizioni

e piccoli ausiliari di difesa

di questa nostra fabbrica,

se questi, tutti insieme...

 

MENENIO - Ebbene, che?...

(Tra sé)

Parola mia, costui si parla addosso(11)!

(Forte)

Ebbene, allora? Avanti, su, che cosa?

 

PRIMO CITT. - ... dovessero venir prevaricati

dal cormorano stomaco(12),

ch’è la fogna del corpo(13)...

 

MENENIO - Ebbene allora?

 

PRIMO CITT. - Allora, insomma, se questi che ho detto

si lamentavano, che mai rispondere

poteva il ventre?

 

MENENIO - Te lo dico io,

se mi concedi un poco di pazienza,

anche se, come vedo, ce n’hai poca.

 

PRIMO CITT. - Eh, quanto la fai lunga!

 

MENENIO - Stammi bene a sentire, buon amico...

Dunque lo stomaco, con gran sussiego,

pesando le parole, in tutta calma,

al contrario dei suoi accusatori,

dice: “Miei cari consociati, è vero

ch’io ricevo per primo tutto il cibo

da cui traete voi sostentamento;

ma è giusto e logico che sia così(14)

dal momento ch’io sono il magazzino

e l’officina di lavorazione

di tutto il corpo. E se ci riflettete,

io lo rimando poi regolarmente,

pei canali del sangue,

fino al palazzo della corte, al cuore,

al suo trono, il cervello,

e, attraverso i tortuosi labirinti

e le diverse stanze di servizio

della persona, i più robusti muscoli,

e le più capillari delle vene

ricevono da me regolarmente

la naturale dose d’alimento

onde ciascuno trae la propria vita.

Ed anche se voi tutti presi insieme...”

- attenti, amici, adesso, attenti bene,

a ciò che dice il ventre...

 

PRIMO CITT. - Sì, ma sbrigati.

 

MENENIO - “... anche se non potete, lì per lì,

vedere ciò che fornisco a ciascuno,

cionondimeno alla resa dei conti

il mio bilancio è a posto,

perché tutti ricevono da me

il fior fiore di tutto,

laddove a me non resta che la crusca”.

Beh, che ne dite?

 

PRIMO CITT. - Una risposta l’era,

questa; ma come può adattarsi a noi?

 

MENENIO - Fate conto che siano i senatori

di Roma questo stomaco, e voialtri

le membra ammutinate.

Perché considerate in generale

le lor delibere e le lor premure,

digerite a dovere entro di voi

quanto concerne il pubblico benessere,

e troverete che dei benefici

che tutti riceviamo dallo Stato

non ce n’è che non vengano da loro,

e nessuno da voi.

 

(Al Primo Cittadino)

Beh, che ne pensi,

tu che sei, come mi sembri, l’alluce

del piede di codesto assembramento?

 

PRIMO CITT. - Io, alluce? Perché?

 

MENENIO - Perché sei tra i più bassi, i più schifosi,

i più morti di fame

di codesta saggissima rivolta,

e vai avanti a tutti, tu, cagnaccio

che sei del peggior sangue quanto a correre,

e ti dài arie da caporione

sol per trarne vantaggio personale!

Impugnateli pure i vostri arnesi,

i nodosi randelli ed i batacchi:

Roma ed i sorci della sua cloaca

stan per darsi battaglia,

chi sa quale dei due avrà la peggio(15)!

 

Entra CAIO MARCIO

 

MENENIO - Salute a te, nobile Marcio.

 

MARCIO - Grazie!

(Al popolo)

Che vi succede, torpida canaglia,

che a furia di grattarvi notte e giorno

la scabbia della vostra ostinazione

siete ridotti a una putrida rogna?

 

PRIMO CITT. - Sempre buone parole da te, Marcio!

 

MARCIO - Buone parole, ad uno come te,

chiunque le dicesse,

sarebbe un basso e immondo adulatore.