Decidi che fare,

non esporti alla cieca ad ogni evento

che ti si possa offrire sul cammino.

 

VIRGINIA - O dèi!...

 

COMINIO - Vengo con te per tutto un mese;

così potremo decidere insieme

dove fermarti sì che poi di te

possiamo aver notizia e tu di noi;

così se con il tempo fiorirà

l’occasione del tuo richiamo in patria,

non dovremo mandare per un uomo

alla ricerca in tutto il vasto mondo

e perdere il vantaggio del momento,

che sempre fatalmente si raffredda

nell’assenza di chi deve giovarsene.

 

CORIOLANO - Addio, Cominio. Sei carico d’anni,

e pesano ancor troppo su di te

le fatiche di guerra, per pensare

d’andare alla ventura per il mondo

con uno che ce la può far da sé(159).

Accompagnami solo per un pezzo

fuori le mura. Vieni, dolce sposa,

madre amatissima, amici miei

di nobil tempra; e appena sarò fuori

ditemi tutti addio con un sorriso.

Vi prego, andiamo. Avrete mie notizie

fintanto che avrò i piedi sulla terra;

e non saprete mai nulla di me

se non di quel che sono sempre stato.

 

MENENIO - Questo parlare è quanto di più nobile

può udire orecchio. Ebbene, niente lacrime!

Potessi scuotermi solo sett’anni

da queste stagionate braccia e gambe,

ti seguirei, per gli dèi, passo passo!

 

CORIOLANO - Qua la tua mano nella mia. Andiamo.

 

(Escono)

 

 

SCENA II - Roma, davanti a una porta della città

 

Entrano i due TRIBUNI con un EDILE

 

SICINIO - Rimandiamoli a casa. È andato via.

È inutile che procediamo oltre.

I nobili non l’han mandata giù.

Tutti dalla sua parte, abbiamo visto.

 

BRUTO - Ora, però, che abbiam mostrato i denti(160)

ci conviene mostrarci più dimessi

di quando tutto questo era da fare.

 

SICINIO - (All’Edile)

Mandali a casa. Di’ che il gran nemico

se n’è andato, e la loro antica forza

è sempre intatta.

 

BRUTO - (All’Edile)

Sì, mandali a casa.

 

Esce l’Edile

 

Ecco sua madre.

 

Entrano VOLUMNIA, VIRGINIA e MENENIO

 

SICINIO - Evitiamola. È meglio.

 

BRUTO - Perché?

 

SICINIO - La dicon furibonda pazza.

 

BRUTO - Ci hanno visti. Cammina, tira dritto.

 

VOLUMNIA - Oh, v’incontro a buon punto!

Tutte le più schifose pestilenze

tenute in serbo dagli dèi per gli uomini

possano ripagare il vostro zelo!

 

MENENIO - Non gridare così!

 

VOLUMNIA - Ancor più forte

mi sentiresti, se non fosse il pianto...

Anzi, mi sentirai lo stesso, adesso...

(A Bruto)

Che! Te ne vai?

 

VIRGINIA - (A Sicinio)

Resta qui anche tu...

Potessi dir lo stesso a mio marito!

 

SICINIO - (A Volumnia)

Diamine, siete diventate uomini(161)?

 

VOLUMNIA - Certo, imbecille, è forse una vergogna?

Stammi a sentire, pezzo di babbeo:

uomo non era forse il padre mio?

Tu invece no, tu sei solo la volpe

ch’è riuscita a cacciar via da Roma

un uomo che per Roma ha dispensato

più colpi che parole tu abbia detto.

 

SICINIO - O dèi beati!

 

VOLUMNIA - Sì, colpi più nobili

che tu sagge parole, e dispensati

per il bene di Roma.

Sai che ti dico?... Ma va’, va’... No, invece,

no, anzi resta... Vorrei che mio figlio

si trovasse in Arabia, spada in pugno,

a faccia a faccia con la tua tribù.

 

SICINIO - Ebbene, allora?

 

VIRGINIA - Allora sentiresti!

Porrebbe fine a tutta la tua schiatta.

 

VOLUMNIA - A tutta la tua razza di bastardi.

Quel gagliardo, con tutte le ferite

che si porta per Roma!

 

MENENIO - Via, sta’ calma.

 

SICINIO - Se avesse seguitato a comportarsi

verso la patria come da principio,

e non avesse spezzato lui stesso

il generoso nodo da lui stretto...

 

BRUTO - Ah, sì, magari avesse...

 

VOLUMNIA - “Ah, sì, magari”!

Ma se vi siete dati proprio voi

ad infiammar la folla! Voi, gattacci,

che siete in grado di stimare i meriti

non più di quanto io sappia scrutare

i misteri insondabili del cielo!

 

BRUTO - Andiamo, prego.

 

VOLUMNIA - Prego, andate, andate.

Avete fatto una bella prodezza.

Prima, però, sentite che vi dico:

di quanto s’erge in alto il Campidoglio

sopra il più misero tetto di Roma,

di tanto il figlio mio e di costei

sposo - di questa donna qui, vedete? -,

da voi bandito, vi sovrasta tutti.

 

BRUTO - Bene, bene, ma adesso vi lasciamo.

 

SICINIO - Perché star qui a sorbirci gli improperi

d’una che ha perso chiaramente il senno?

 

(Escono i due Tribuni)

 

VOLUMNIA - E v’accompagnino le mie preghiere.

Non avesser gli dèi altro da fare

che confermar le mie maledizioni!

Ah, potessi incontrarli, questi due,

anche una volta al giorno:

già basterebbe per sentirmi il cuore

sollevato dal peso che l’opprime.

 

MENENIO - Gli hai detto il fatto loro,

e, francamente, ne avevi ragione.

Non vorreste cenare insieme a me?

 

VOLUMNIA - È la rabbia il mio cibo. La mia cena

la farò su me stessa, divorandomi,

così mangiando morirò di fame.

(A Virginia)

Andiamo, cessa di piagnucolare,

e lamentati, come faccio io,

di rabbia, alla maniera di Giunone(162).

Andiamo.

 

(Escono Volumnia e Virginia)

 

MENENIO - Vituperio, vituperio!

 

(Esce)

 

 

SCENA III - La strada fra Roma e Anzio

 

Entrano NICANOR, soldato romano, e ADRIANO, soldato volsco, incontrandosi

 

NICANOR - Io ti conosco, amico;

ed anche tu devi conoscer me.

Se non mi sbaglio, ti chiami Adriano.

 

ADRIANO - Esattamente, amico; ma, in coscienza,

di te non mi ricordo.

 

NICANOR - Son romano,

ma uno che lavora, come te,

contro i Romani. Mi ravvisi adesso?

 

ADRIANO - Nicanor?...

 

NICANOR - Sì, amico, proprio lui.

 

ADRIANO - Più barba avevi, quando t’ho incontrato

l’ultima volta, ma la voce è quella.

Bene, che novità ci sono a Roma?

Ho qui un mandato del governo volsco

di ricercarti là; ma adesso tu

m’hai risparmiato un giorno di cammino.

 

NICANOR - Ci sono state a Roma insurrezioni

mai viste prima(163): il popolo in rivolta

contro il Senato, i nobili, i patrizi.

 

ADRIANO - “Ci sono state...”. Perché, son finite?

I nostri governanti non lo credono;

stanno facendo grandi apprestamenti

per la guerra, sperando di sorprenderli

nel pieno ardore delle lor discordie.

 

NICANOR - Beh, la grande fiammata ormai è spenta;

ma basta una scintilla a ravvivarla,

perché i nobili han preso così male

la cacciata del prode Coriolano,

da ritener matura l’occasione

per togliere alla plebe ogni potere

e strapparle per sempre i suoi tribuni.

C’è fuoco sotto cenere, ti dico,

e sta lì lì per divampar di nuovo.

 

ADRIANO - Coriolano bandito!

 

NICANOR - Sì, bandito.

 

ADRIANO - A Corioli farà molto piacere,

Nicanor, questa tua informazione.

 

NICANOR - Lo credo; è un buon momento, ora, per loro.

Ho sempre udito che il miglior momento

per sedurre la moglie di qualcuno

è quando ha litigato col marito.

Il vostro valoroso Tullo Aufidio

avrà modo di mettersi in gran luce

in questa guerra, il suo grande avversario,

Coriolano, trovandosi in disgrazia

col suo paese.

 

ADRIANO - Per forza di cose.

È stata veramente una fortuna

per me incontrarti, così, casualmente;

hai concluso così la mia missione,

e con piacere t’accompagno a casa.

 

NICANOR - Fino all’ora di cena avrò da dirti

molte cose stranissime da Roma,

e tutte vantaggiose ai suoi nemici.

Hai detto che hanno pronto già un esercito?

 

ADRIANO - E che fiore d’esercito! Magnifico!

I centurioni, con i loro uomini,

già arruolati, al soldo dello Stato,

equipaggiati e pronti a entrare in campo

in termine di un’ora.

 

NICANOR - Son contento di udire che son pronti,

perché ritengo d’esser proprio io

quello che li farà mettere in marcia

con la massima urgenza.

Bene incontrato, dunque, amico mio,

e molto lieto della compagnia.

 

ADRIANO - Tu mi rubi di bocca le parole,

amico; sono io che ho più ragione

di rallegrarmi.

 

NICANOR - Bene, incamminiamoci.

 

(Escono)

 

 

SCENA IV - Anzio, davanti alla casa di Aufidio

 

Entra CORIOLANO in abito dimesso, travestito e imbacuccato

 

CORIOLANO - Bella città quest’Anzio! E son io qui,

Anzio, che le tue donne ha reso vedove.

Ho udito gemere sotto i miei colpi

molti eredi di queste tue magioni

e cadere. Perciò non riconoscermi,

che le tue donne con i loro spiedi

ed i ragazzi con le lor sassate

non m’uccidano in un puerile scontro.

 

Entra un CITTADINO

 

Salve, amico.

 

CITTADINO - Salute a te.

 

CORIOLANO - Di grazia,

sapresti dirmi dove sta di casa

il grande Aufidio? Si trova qui ad Anzio?

 

CITTADINO - Sì, e banchetta a casa sua stasera

con i notabili della città.

 

CORIOLANO - Qual è la casa sua?

 

CITTADINO - Ce l’hai davanti.

 

CORIOLANO - Grazie, amico, salute.

 

(Esce il Cittadino)

 

O mondo, le tue scivolose curve!

Amici uniti da antica affezione,

da sembrare un sol cuore entro due petti,

da trascorrere insieme tutti i giorni

le ore, il letto, la mensa, il lavoro,

inseparabili nel loro affetto

come fossero stati due gemelli,

basta uno screzio, un dissenso da niente

per rompere in tremenda inimicizia.

Così ugualmente nemici giurati

cui l’ira e il furore dell’intrigo

tolsero il sonno a forza di pensare

come distruggersi l’uno con l’altro,

ecco che per un caso, una sciocchezza

che vale meno d’una coccia d’uovo,

possono diventare grandi amici

e unir le loro sorti. Così io:

detesto il luogo dove sono nato

e guardo con amore a una città

che mi è stata nemica... Beh, io entro.

Se m’uccide, si sarà solo preso

una giusta rivalsa. Se m’accetta,

mi metterò a servire il suo paese.

 

(Esce)

 

 

SCENA V - Anzio, l’interno della casa di Aufidio

 

Musica da dentro

 

Entra un SERVO, gridando, affaccendato e traversando la scena

 

PRIMO SERVO - Vino, vino!... Che razza di servizio!

Qui mi paiono tutti addormentati!

 

(Esce)

 

Entra un altro SERVO

 

SECONDO SERVO - (Chiamando)

Coto!... Ma dove s’è cacciato?... Coto!

Il padrone lo vuole.

 

Entra CORIOLANO

 

CORIOLANO - Bella casa...

Dal banchetto promana un buon odore;

ma io non sembro certo un convitato.

 

Rientra il PRIMO SERVO

 

PRIMO SERVO - Che vuoi, amico? Da che parte vieni?

Qui per te non c’è posto. Fila, prego.

 

(Esce)

 

CORIOLANO - Essendo Coriolano, non mi merito

da questa gente miglior trattamento(164).

 

Rientra il SECONDO SERVO

 

SECONDO SERVO - Da dove spunti, amico?... Ma il portiere

ce l’ha gli occhi, che lascia entrare qui

figuri come te? Va’ fuori, via!

 

CORIOLANO - Via tu, piuttosto.

 

SECONDO SERVO - Io? Aria, sparisci!

 

CORIOLANO - Ora cominci a infastidirmi.

 

SECONDO SERVO - Ah!

Ci fai pure il gradasso? Ora vedrai:

ti faccio dire io due paroline.

 

Entra un TERZO SERVO, insieme con il PRIMO

 

TERZO SERVO - Chi è costui?

 

PRIMO SERVO - Uno strano figuro

quale mai m’è caduto sotto gli occhi.

Non mi riesce di mandarlo via.

Fammi il favore, chiama tu il padrone.

 

TERZO SERVO - (A Coriolano)

Che ci fai qui, compare? Su, va’ fuori.

 

CORIOLANO - Lasciami solo starmene qui, in piedi.

Non ti farò alcun danno al focolare.

 

TERZO SERVO - Chi sei?

 

CORIOLANO - Un nobile.

 

TERZO SERVO - Sarai un nobile,

ma sei meravigliosamente povero.

 

CORIOLANO - È vero.

 

TERZO SERVO - E dunque, nobile spiantato,

ti prego, scegliti qualche altro posto.

Questo non è per te.