Che volete, cagnacci,
cui non va bene né pace, né guerra,
perché l’una vi fa tanti conigli(16),
l’altra vi fa sfrontati e tracotanti?
E a fidarsi di voi,
non che scoprir che siete dei leoni,
ci si accorge che siete solo lepri,
oche, invece di volpi.
No, si può far meno fiducia in voi
che in un tizzone acceso in mezzo al ghiaccio,
che in un granello di grandine al sole.
Siete capaci d’innalzare al cielo
chi è punito per qualche sua magagna,
e insieme maledire la giustizia
che l’ha punito. Chi merita onore,
non può che meritare l’odio vostro;
le vostre simpatie per questo o quello
son come l’appetito di un malato
che va desiderando soprattutto
ciò che può solo peggiorargli il male.
Chi dipendesse dal vostro favore
è come se nuotasse avendo ai piedi
pinne di piombo, o avesse l’illusione
di segare una quercia con dei giunchi.
Fidare in voi?... Impiccatevi!
Voi mutate gabbana ogni minuto.
Siete pronti a dir nobile
chi poco prima coprivate d’odio,
e vile chi era prima il vostro eroe.
E adesso che v’ha preso,
d’andare urlando per le vie di Roma
contro il Senato che, grazie agli dèi,
riesce ancora a mantenervi a freno(17),
se no vi sbranereste l’un con l’altro?
(A Menenio)
Che van cercando?
MENENIO - Grano, al loro prezzo,
perché sostengono che la città
n’è ben fornita.
MARCIO - Alla forca! “Sostengono”!...
Siedono tutto il tempo accanto al fuoco,
e pretendono di sapere loro
tutto quel che succede in Campidoglio(18):
chi può andare più in alto, chi ci sta
con buone prospettive, chi declina;
parteggiano or per uno or per un altro,
s’inventano alleanze immaginarie,
innalzano alle stelle una fazione
e sotto le lor scarpe rattoppate
calpestano chi non va loro a genio.
Dicono che c’è grano in abbondanza!
Se i nobili mettessero da parte
per una volta la loro pietà
e lasciassero a me d’usar la spada,
ne farei un tal mucchio, fatti a pezzi,
di migliaia di questi miserabili
alto quanto gittar può la mia lancia(19).
MENENIO - Non c’è bisogno. Quelli che son qui
son già quasi convinti tutti quanti(20);
perché se pur son largamente privi
d’ogni criterio di moderatezza,
sono pure abbondantemente vili.
Dimmi piuttosto tu,
che cosa dice il resto della mandria(21).
MARCIO - Si son dissolti. Che crepino tutti!
Dicevan d’aver fame, e davan fiato
sospirando a sentenze come queste:
“La fame fa crepare anche le mura”;
“Pure i cani han diritto di mangiare”;
“Gli dèi non hanno dato il grano agli uomini
soltanto per i ricchi”... ed altre simili.
E con questi cascami di saggezza
esalavano il loro malcontento;
finché han trovato chi gli ha dato retta
ed ha esaudito una lor petizione...
una richiesta assurda,
da spezzare il più generoso cuore(22),
e spegnere sul volto del potere
ogni baldanza. E quelli tutti a urlare,
gettando i loro cappellacci in aria,
come se li volessero appiccare
ai corni della luna.
MENENIO - E che cos’è ch’è stato lor concesso?
MARCIO - Cinque tribuni, di lor propria scelta,
a difesa della plebea saggezza.
Uno dei cinque è Giunio Bruto, un altro
è Sicinio Voluto... e non so più(23).
Ma, sangue degli dèi, se stesse a me,
questa canaglia, prima di spuntarla
doveva scoperchiare tutta Roma!
Questi col tempo prenderan la mano
sul potere legittimo, e pian pian
accamperanno sempre altre pretese
come pretesto ad una insurrezione.
MENENIO - Certo, la cosa è sconcertante assai.
MARCIO - (Alla folla)
A casa, a casa, avanti, spazzatura!
Entra di corsa un MESSAGGERO
MESSAGGERO - Caio Marcio dov’è?
MARCIO - Qui. Che succede?
MESSAGGERO - Marcio, è giunta notizia
che i Volsci sono in armi.
MARCIO - Ne ho piacere.
Potremo sbarazzarci finalmente
di tanto nostro ammuffito superfluo(24).
Ma ecco i nostri più nobili anziani.
Entrano COMINIO, TITO LARZIO, con altri SENATORI, poi GIUNIO BRUTO e SICINIO VOLUTO
PRIMO SENATORE - Marcio, quel che ci hai detto ultimamente
è confermato: i Volsci sono in armi.
MARCIO - Ed hanno a capitano Tullo Aufidio,
uno che vi darà filo da torcere.
Peccherò, ma m’invidio il suo valore,
e se fossi altro da quello che sono,
vorrei essere lui, e nessun altro.
COMINIO - Vi siete già scontrati faccia a faccia.
MARCIO - Se la metà del mondo
si scontrasse con l’altra, e Tullo Aufidio
si venisse a trovar dalla mia parte,
io cambierei di fronte
per guerreggiar con lui solo. È un leone
a cui m’inorgoglisce dar la caccia(25).
PRIMO SENAT. - E allora, degno Marcio,
unisciti a Cominio in questa guerra.
COMINIO - Me l’hai promesso, Marcio.
MARCIO - E lo mantengo.
E mi vedrai ancora, Tito Larzio,
volteggiare la lama in faccia a Aufidio.
Che hai? Ti vedo alquanto titubante.
Ti tiri fuori?
LARZIO - No, Marcio, che dici?
Appoggiato magari a una stampella
e brandendo quell’altra come un’arma,
piuttosto che mancare a quest’impresa.
MENENIO - Eh, buon sangue romano...
PRIMO SENAT. - Allora tutti insieme in Campidoglio,
dove so che si trovano ad attenderci
i più degni ed illustri nostri amici.
LARZIO - (A Cominio)
Tu avanti a tutti.
(A Marcio)
E tu dopo di lui.
Noi seguiremo. A voi la precedenza.
COMINIO - (Prendendo sottobraccio Marcio e avviandosi)
Nobile Marcio!
(Alla folla)
A casa, via, sparite!
MARCIO - Ma no, lascia che vengano anche loro.
I Volsci han molto grano.
Portiamoli da loro, questi sorci,
a rosicchiare i lor granai, perbacco!
Ribelli rispettabili,
il valor vostro ha buone prospettive.
Seguiteci, vi prego.
(I popolani si disperdono)
(Gli altri escono tutti, meno SICINIO e BRUTO)
SICINIO - S’è visto mai un uomo più arrogante
di questo Marcio?
BRUTO - Non ce n’è l’uguale.
SICINIO - Quando ci elessero tribuni...
BRUTO - Già,
notasti pure tu le labbra, gli occhi(26)?
SICINIO - No, notai solo le sue insolenze.
BRUTO - Oh, quanto a quelle, se perde le staffe
non esita ad insolentir gli dèi.
SICINIO - O a schernire la vereconda luna(27).
BRUTO - Se questa guerra se lo divorasse!
È diventato troppo strafottente,
per essere altrettanto valoroso.
SICINIO - Uno con un carattere così,
se il successo gli fa montar la testa,
arriverà a sdegnare la sua ombra
e pestarla coi piedi a mezzogiorno.
Mi sorprende perciò che tanta boria
giunga a piegarsi tanto docilmente
da farsi comandare da Cominio.
BRUTO - La fama, cui palesemente aspira,
e che già gli ha concesso i suoi favori,
non c’è mezzo migliore per serbarla
intatta ed anche accrescerla
che operare in un posto dopo il primo;
così quando le cose vanno male,
sarà colpa del comandante in capo,
abbia pur egli fatto tutto il meglio
ch’è possibile a un uomo; ed a quel punto
gl’immancabili stupidi censori
si daranno a gridar di Caio Marcio:
“Ah, se l’avesse comandata lui
quest’impresa!”.
SICINIO - Se invece vanno bene,
la voce della pubblica opinione,
ch’è già così favorevole a Marcio,
defrauderà Cominio d’ogni merito.
BRUTO - E così la metà di tutti i meriti
che spettano a Cominio andranno a Marcio,
senza che questo li abbia meritati.
SICINIO - Ma muoviamoci. Andiamo un po’ a sentire
che cosa si decide per la guerra
e come intende lui, col suo carattere,
avventurarsi in questa impresa.
BRUTO - Andiamo.
(Escono)
SCENA II - Corioli, il Senato
Entra TULLO AUFIDIO con alcuni SENATORI
PRIMO SENATORE - Così, tu pensi, Aufidio,
che quei di Roma siano a conoscenza
dei nostri piani e delle nostre mosse?
AUFIDIO - E voi non lo pensate?
Ci fu mai decisione in questo Stato
ch’abbia potuto mandarsi ad effetto
prima che Roma se ne impadronisse?
Ho notizie di là abbastanza fresche,
meno di quattro giorni, che mi dicono...
Credo d’aver con me il dispaccio... Eccolo
(Legge)
“Hanno ammassato un poderoso esercito,
“ma non si sa per qual destinazione,
“se ad est oppure ad ovest...
“Nella città la carestia è grande,
“e nel popolo c’è molto fermento.
“Si dice che Cominio insieme a Marcio,
“il vecchio tuo nemico, odiato a Roma
“più che da te, e insieme a Tito Larzio,
“un romano di altissimo valore,
“saranno i comandanti designati
“di quest’azione, dovunque diretta.
“Molto probabilmente
“essa è contro di voi. State in allarme”.
PRIMO SENAT. - La nostra armata è in campo.
Eravamo sicuri che da Roma
ci sarebbe venuta la risposta(28)...
AUFIDIO - ... a giudicar non certo una follia
creder che i vostri piani di battaglia
avessero a tenersi sotto chiave
finché non fosse proprio necessario
ch’essi si rivelassero da soli(29);
invece, a quanto pare, erano noti
a Roma sin da quando si covavano.
Questa brutta scoperta
c’impone adesso d’abbassar la mira,
ch’era di prendere molte città
prima almeno che Roma
sapesse ch’eravamo scesi in guerra.
SECONDO SENAT. - Nobile Aufidio, assumi tu il comando,
raggiungi le tue truppe,
e lascia a noi di difender Corioli.
Se s’accampasser qui davanti a noi,
porta su le tue forze per cacciarli.
Ma penso ch’essi, lo vedrai tu stesso,
non si preparano contro di noi.
AUFIDIO - Ah, su ciò non illuderti.
Le mie notizie son di fonte certa.
Dirò di più, già alcuni scaglioni
del loro esercito stanno marciando,
e soltanto per questa direzione.
Mi congedo, signori.
Se Marcio ed io dovessimo incontrarci,
ci siamo già giurati di combattere
fin che un non soccomba.
TUTTI - Il ciel t’assista!
AUFIDIO - E protegga le vostre signorie.
PRIMO SENAT. - Addio!
SECONDO SENAT. - Addio!
TUTTI - Addio!
(Escono tutti, i Senatori da una parte, Aufidio dall’altra)
SCENA III - Roma, la casa di Caio Marcio
VOLUMNIA e VIRGINIA siedono intente a cucire
VOLUMNIA - Canta, figlia, ti prego,
o almeno mostrati un po’ meno triste!
Se Marcio invece d’essere mio figlio
fosse mio sposo, sarei più felice
di saperlo lontano a farsi onore,
che averlo a letto a gustarne gli amplessi,
per quanto amore egli potesse effondere.
Quand’era ancora un tenero fanciullo,
e l’unico rampollo del mio ventre,
e la sua fascinosa giovinezza
gli attirava gli sguardi della gente;
quando una madre, neppure se un re
l’avesse scongiurata un giorno intero,
se lo sarebbe fatto allontanare
dalla vista nemmeno per un’ora,
io, presaga da allora della gloria
cui uno come lui era votato
(ché se brama d’onor non lo animasse,
sarebbe stato nulla più che un quadro
da restare appiccato alla parete),
ero felice di lasciarlo andare
in cerca di pericolo,
dovunque egli potesse incontrar fama.
E lo mandai ad una cruda guerra,
dalla quale però fece ritorno
col capo cinto di foglie di quercia(30).
Ti dico, figlia, che di tanta gioia
non sussultai sentendo il primo annuncio
che avevo partorito un figlio maschio,
quanta fu a veder la prima volta
qual uomo vero egli s’era mostrato.
VIRGINIA - E se fosse caduto in quell’impresa,
madre, che avreste fatto?
VOLUMNIA - Avrei serbato al posto di mio figlio
la gloria del suo nome,
e in essa avrei ritrovato mio figlio.
Senti quel che ti dico, cuore in mano:
avessi pur dodici figli maschi,
tutti egualmente amati,
e nessuno di loro meno caro
del tuo e mio buon Marcio,
preferirei vederne morir undici
nobilmente, in difesa della patria,
che saperne uno solo
dissipare la vita nei piaceri,
lontano dalle fatiche di guerra.
Entra un’ANCELLA
ANCELLA - Padrona, è qui la nobile Valeria,
per farti visita.
VIRGINIA - Madre, ti supplico,
dammi licenza, vorrei ritirarmi.
VOLUMNIA - Niente affatto, non devi.
Mi par già di sentire qui, vicino,
il rullo dei tamburi del tuo sposo,
e di vederlo che trascina in terra,
presolo pei capelli, quell’Aufidio,
ed i Volsci fuggire innanzi a lui
come bambini alla vista dell’orso(31)...
E vederlo che pesta i piedi a terra,
così, e gridare: “Avanti, voi, vigliacchi!
Figli della paura, e non di Roma(32)!”
e asciugarsi la fronte insanguinata
con una mano inguantata di ferro,
ed avanzar pel campo di battaglia
simile a un mietitore
che s’imponga di mieter tutto il campo
per non perder la paga giornaliera.
VIRGINIA - La fronte insanguinata?... Oh, Giove, no!
VOLUMNIA - Via, sciocca! Il sangue s’addice ad un uomo
meglio dell’oro sopra il suo trofeo(33).
I seni d’Ecuba giovane sposa
che allattavano Ettore bambino
non erano più belli
della fronte di lui quando, sprezzante,
schizzava sangue per le greche spade.
(All’ancella)
Va’, di’ a Valeria che siamo qui pronte
a darle il benvenuto in casa nostra.
(Esce l’ancella)
VIRGINIA - Proteggano gli dèi il mio signore
dal terribile Aufidio.
VOLUMNIA - Sarà lui,
che schiaccerà del fero Aufidio il capo
col suo ginocchio e il collo col suo piede.
Rientra l’Ancella con VALERIA e un servo di questa
VALERIA - Buongiorno a voi, mie donne!
VOLUMNIA - Cara amica!
VIRGINIA - Son lieta di vederti.
VALERIA - Come state?
Brave massaie, vedo. Un bel lavoro:
che ricamate?...
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