CORIOLANO - Non suggellerò
col mostrarvele la lor conoscenza,
che del resto già avete.
Farò gran conto dei vostri suffragi,
e così non vi disturberò più(117).
I DUE CITTADINI - Gli dèi ti diano felicità,
te l’auguriamo molto cordialmente.
(Escono i due cittadini)
CORIOLANO - Che dolcezza di voti!...
Meglio morire, crepare di fame
che andare accattonando una mercede
che pur ci spetta, perché meritata.
Ed io dovrei restarmene qui, fermo,
in questa veste da sembrare un lupo,
a questuar dal primo Tizio e Caio
voti dei quali non c’è alcun bisogno?
Dicono che così vuole l’usanza.
Ma se dovessimo in tutte le cose
far quel che vuol l’usanza,
la polvere che copre il tempo andato
mai non sarebbe più spazzata via,
ed ammucchiando errore sopra errore
si formerebbe tale una montagna
di tutti errori, che la verità
sarebbe poi impedita a sovrastarla.
Ah, no! Piuttosto che starmene qui
a recitar la parte del buffone,
che l’alto ufficio e i relativi onori
vadano ad altri, più di me disposto
ad eseguire quel che vuol l’usanza.
Ma son già a mezza strada...
Ho sopportato la prima metà,
farò anche l’altra...(118)
Entrano il SESTO e SETTIMO CITTADINO
Ma ecco altri voti.
(Ai due)
I vostri voti, amici.
Pei vostri voti io ho combattuto.
Pei vostri voti ho vegliato la notte.
Pei vostri voti porto su di me
almeno due dozzine di ferite.
Pei vostri voti ho visto e raccontato(119)
diciotto fatti d’arme.
Pei vostri voti ho fatto tante cose
qual più qual meno, ma tutte importanti.
I vostri voti, sì, per esser console.
SESTO CITTADINO - S’è ben portato, e non gli può mancare
il voto d’ogni cittadino onesto.
SETTIMO CITT. - Sia console, perciò.
Gli diano gli dèi felicità
e faccian ch’egli voglia bene al popolo.
SESTO CITTADINO - E così sia! Che gli dèi ti proteggano,
nobile console!
(Escono)
CORIOLANO - Che fior di voti!
Entrano MENENIO, SICINIO e BRUTO
MENENIO - Sei stato qui per il tempo prescritto,
ed i Tribuni, col voto del popolo,
ora ti conferiscono il potere.
Resta che con le insegne della carica
tu ti presenti subito al Senato.
CORIOLANO - Allora è fatto?
SICINIO - Hai fatto la richiesta
secondo il rito: il popolo ti accetta
ed è già convocato in assemblea
per la ratifica.
CORIOLANO - Dove, al Senato?
SICINIO - Sì, Coriolano, là.
CORIOLANO - Posso togliermi allora questa veste?
SICINIO - Certo.
CORIOLANO - Allora non esito un istante,
così potrò riconoscer me stesso.
Poi andrò al Senato.
MENENIO - T’accompagno.
(Ai due tribuni)
Voi che fate, venite via con noi?
BRUTO - Restiamo qui ad attendere il popolo.
SICINIO - Ci rivediamo dopo.
(Escono Coriolano e Menenio)
Ce l’ha fatta.
È suo, e a giudicar dagli sguardi
ha il cuore in festa.
BRUTO - Ma con quale sdegno
portava indosso quell’umile veste!...
Che facciamo? Lo congediamo il popolo?
(Entrano parecchi CITTADINI)
SICINIO - Ebbene, miei compagni?
Avete dunque preferito lui(120)?
PRIMO CITTADINO - Abbiamo dato a lui il nostro voto.
BRUTO - Voglia il cielo che sappia meritarla
la vostra preferenza.
SECONDO CITT. – È quel che dico.
Perché a mio povero, modesto avviso,
quello mentre ci domandava il voto,
si beffava di noi.
TERZO CITTADINO - E come no!
Ci ha preso pei fondelli a tutto spiano!
PRIMO CITTADINO – È il suo modo di fare; quello. No,
lui non s’è fatto gioco di nessuno.
SECONDO CITT. - Qui non ci sei che tu a dir così,
fra tutti noi. Ci doveva mostrare
i segni delle sue benemerenze:
le ferite buscate per la patria...
SICINIO - Ma l’avrà fatto, spero, son sicuro.
TUTTI - Niente affatto! Nessuno qui le ha viste.
TERZO CITTADINO - Ha detto, sì, che aveva le ferite,
ma che poteva mostrarle in privato;
e col berretto in mano, ecco, così,
agitandolo in aria come a beffa,
“Vorrei - dice - esser console;
“e antica usanza senza i vostri voti
“me l’impedisce. I vostri voti, dunque”.
E quando glieli abbiamo assicurati,
lui: “Vi ringrazio del vostro favore,
“grazie dei vostri carissimi voti.
“Ora che avete espresso i vostri voti,
“con voi non ho più nulla da spartire”.
Non è questa una beffa?
SICINIO - Ma eravate incoscienti a non capirlo?
O, avendolo capito, tanto ingenui
da dargli il voto come dei bambocci?
BRUTO - Eppure v’avevamo ammaestrati
- e avreste ben potuto ricordarglielo -
che quando non aveva alcun potere,
piccolo servitore dello Stato,
vi si mostrò nemico e parlò sempre
contro i vostri diritti e privilegi
di cui godete in seno alla repubblica;
e adesso, giunto che fosse al potere
e a governar lo Stato,
se seguitasse ad essere lo stesso
il nemico giurato dei plebei
i vostri voti potrebbero essere
per tutti voi tante maledizioni.
E ancora questo dovevate dirgli:
che come le sue gesta valorose
gli meritavano una ricompensa
non inferiore a quella cui aspira,
così la sua generosa natura
dovrebbe spingerlo a pensare a voi,
che l’avete votato,
e volgere in affetto il malvolere,
facendolo patrono e amico vostro.
SICINIO - A parlargli così,
come, del resto, vi fu consigliato,
avreste scosso le sue fibre all’intimo
e saggiato il suo animo; e strappato
gli avreste forse una bella promessa,
da vincolarlo alla prima occasione;
oppure, al peggio, avreste esasperato
quel suo caratteraccio insofferente
incapace di assumersi un impegno
che lo leghi a qualsiasi adempimento;
e, fattegli così perder le staffe,
avreste poi potuto trar partito
dalla sua collera, per non eleggerlo.
BRUTO - Ma come avete fatto a non vedere
con che aria palese di disprezzo
vi domandava il voto,
mentre gli abbisognava il vostro appoggio?
E come avete fatto a non pensare
che quel disprezzo vi potrà recare
chi sa quale malanno,
ora ch’egli ha il potere di schiacciarci?
Diamine! Solo corpi e nessun cuore
tutti quanti? E avevate sol la lingua
per sbraitare, come avete fatto,
contro il buonsenso per cacciarlo via?
SICINIO - E dire che altre volte, nel passato,
avete pur rifiutato il consenso
a postulanti in cerca di suffragi;
ed ora regalate come niente
i vostri voti tanto ricercati
ad uno che nemmeno ve li ha chiesti
in buona forma, e per di più schernendovi?
TERZO CITTADINO - Comunque ancora non è confermato(121).
Possiamo sempre revocargli il voto.
SECONDO CITT. - E lo revocheremo! Io, per me,
posso accordare cinquecento voci
su questa nota(122).
PRIMO CITTADINO - Ed io due volte tante.
E tutti i loro amici in sovrappiù.
BRUTO - Presto, allora muovetevi di qui
e andate a dire a questi vostri amici
che hanno scelto per diventare console
uno che torrà loro ogni diritto,
e non darà lor voce
più che a quei cani bastonati apposta
per abbaiare, e a questo mantenuti.
SICINIO - Fateli riunire in assemblea,
e unanimi, su più serio giudizio,
revocate questo inconsulto voto.
Battete sul suo orgoglio
e sull’antico odio che ha per voi;
e non dimenticatevi, per giunta,
con quale aria sprezzante egli indossò
l’umile veste, e si schernì di voi
nell’atto stesso di chiedervi il voto.
Dite loro che è stato il vostro affetto,
memore dei servigi da lui resi,
a non farvi capire, in quel momento,
il suo comportamento provocante,
offensivo per voi, indecoroso,
volutamente da lui conformato
all’odio radicale che vi porta.
BRUTO - Gettate su di noi, vostri Tribuni,
tutta la colpa: che nulla abbiam fatto
- dite - perché non sorgessero ostacoli
alla sua elezione presso il popolo.
SICINIO - E che l’avete eletto
per conformarvi ad un nostro comando
più che per vostra vera convinzione;
che le vostre coscienze, in conseguenza,
preoccupate più di conformarsi
a ciò che ad esse era stato ordinato,
che a ciò che esse avrebbero dovuto,
v’hanno indotto ad esprimere quel voto
contro la vostra propria inclinazione.
Insomma, date a noi tutta la colpa.
BRUTO - Sì, non vi fate scrupolo per noi.
Dite che vi abbiam fatto su di lui,
per istruirvi sulla sua persona,
lunghi discorsi: come, ancora imberbe,
abbia iniziato a servire la patria,
e seguitato a farlo poi negli anni;
da qual nobile stirpe egli discenda,
la nobilissima gente “marciana”(123),
da cui discese pur quell’Anco Marcio
nipote di re Numa,
che regnò a Roma dopo il grande Ostilio;
donde provennero e Publio e Quinto
che con la costruzione di acquedotti
ci addussero la nostra acqua migliore;
e suo grande avo fu quel Censorino,
così meritamente nominato
per esser stato due volte censore,
per voto popolare.
SICINIO - Ed un tal uomo
discendente da sì nobile stirpe
e onusto per di più di tanti meriti
per ricoprire una sì alta carica,
siamo stati noi stessi, noi tribuni,
a segnalarlo alla vostra attenzione;
ma voi, dopo aver bene soppesato
il suo comportamento nel presente
a confronto con quello del passato,
avete tutti in lui riconosciuto
un vostro irriducibile nemico,
e gli avete pertanto revocato
un gradimento dato troppo in fretta.
BRUTO - E non sareste giunti mai a tanto
- battete sempre sopra questo tasto -
se non vi avessimo incitato noi.
TUTTI - Sì, sì, faremo come dite voi.
Ormai qui quasi tutti
si son pentiti della scelta fatta.
(Escono i cittadini)
BRUTO - Ora non c’è che da lasciarli fare.
Meglio rischiare adesso una sommossa,
piuttosto che tirarsi addosso il peggio,
che certamente verrà, se aspettiamo.
Se lui, per questo loro voltafaccia,
si facesse, con quella sua natura,
prendere dalla rabbia, attenti noi
a saper profittar dell’occasione
e trar vantaggio da questa sua collera.
SICINIO - Al Campidoglio. Troviamoci là
prima che vi affluisca tutto il popolo.
Dovrà apparire - come in parte è -
tutta e soltanto loro iniziativa,
cui noi ci siamo solo limitati
a fornire uno sprone dall’esterno.
(Escono)
ATTO TERZO
SCENA I - Roma, una strada
Fanfara. Entrano CORIOLANO, MENENIO, COMINIO, TITO LARZIO e SENATORI
CORIOLANO - (A Larzio)
Tullo Aufidio sicché è riuscito
a rimettere in piedi un nuovo esercito?
LARZIO - Sì, Coriolano, ed è questo il motivo
che ci ha deciso a negoziar l’accordo.
CORIOLANO - I Volsci son lì, dunque, come prima,
pronti a saltarci addosso
appena s’offra loro l’occasione.
COMINIO - Sono sfiancati, Console: è difficile
che rivedremo, noi di nostre età,
garrire ancora i lor vessilli al vento.
CORIOLANO - (A Larzio)
Tu Aufidio l’hai visto?
LARZIO - Venne da me sotto salvacondotto,
solo per dirmi peste e vituperio
contro i Volsci, che avevano ceduto
così vilmente la loro città.
S’è ritirato ad Anzio.
CORIOLANO - T’ha parlato di me?
LARZIO - Sì, Coriolano.
CORIOLANO - In che modo? Che ha detto?
LARZIO - Ha ricordato come si sia spesso
con te scontrato solo, spada a spada;
che per la tua persona nutre un odio
come per nessun altro al mondo; e inoltre
che sarebbe disposto - ha dichiarato -,
ad impegnarsi tutto che possiede,
così, senza speranza di riscatto,
pur di potersi dir tuo vincitore.
CORIOLANO - E vive ad Anzio, adesso?
LARZIO - Ad Anzio, sì.
CORIOLANO - Come vorrei che mi s’offrisse il destro
d’andare là a scovarlo dove sta,
e affrontare il suo odio faccia a faccia!
Ma ben tornato, Larzio.
Entrano i tribuni SICINIO e BRUTO
Ecco, guardate:
questi sono i Tribuni della plebe,
le lingue della sua volgare bocca.
Sento per loro un disprezzo istintivo
perché si bardano d’autorità
contro ogni nobile sopportazione.
SICINIO - (A Coriolano)
Fermo! Non andar oltre!
CORIOLANO - Che vuol dire?
BRUTO - Che è rischioso per te andar oltre. Fèrmati.
CORIOLANO - Che diavolo di voltafaccia è questo!
MENENIO - Che succede?
COMINIO - Non ha forse il consenso
dei nobili e del popolo?
BRUTO - Del popolo, Cominio, proprio no.
CORIOLANO - Son voti di fanciulli
allora quelli ch’essi m’hanno dato?
UN SENATORE - Tribuni, andiamo, fateci passare.
Coriolano deve recarsi al Foro.
BRUTO - Il popolo è in fermento. Non lo vuole.
SICINIO - Fermi, o qui si finisce in un tumulto.
CORIOLANO - Il vostro gregge, eh? E deve dunque
questa gentaglia aver diritto al voto,
se prima te lo danno,
e poi, subito dopo, lo rinnegano?
E voi, che state a fare?
Voi che siete la loro stessa bocca,
perché non governate i loro denti?
O siete stati voi ad aizzarli?
MENENIO - (A Coriolano)
Calma, sta’ calmo!
CORIOLANO - (Ai Senatori)
È tutta una manovra,
una combutta preparata ad arte,
per piegare la volontà dei nobili.
Se li lasciate fare,
rassegnatevi a vivere con gente
incapace così di governare,
come d’esser comunque governata.
BRUTO - Non parlar di combutta.
Il popolo vocifera di rabbia
perché ha capito che l’hai preso in giro;
e perché quando fu distribuito,
ultimamente, a loro il grano gratis,
fosti tu solo ad alzare la voce,
e a coprire d’insulti e vituperi
chiunque fosse dalla loro parte,
tacciandolo di basso opportunista,
adulatore, nemico dei nobili.
CORIOLANO - Ebbene? Questa è cosa risaputa.
BRUTO - Non tutti la sapevano, di loro.
CORIOLANO - E così hai pensato ad informarli.
BRUTO - Informarli, chi, io?
CORIOLANO - Non sei tu il tipo
ben tagliato per simili faccende?
BRUTO - Non meno bene che per far le tue
meglio che possa farle tu.
CORIOLANO - Ma certo!
Perché dovrei io diventare console?
Per tutti i fulmini, datemi il tempo
di diventare un nulla come te,
e fatemi tribuno, tuo collega!
SICINIO - Tu porti ancora addosso
troppo di quello che dispiace al popolo;
se ti preme raggiungere il tuo scopo,
devi chieder la strada, che hai smarrita,
con uno spirito più malleabile,
o non sarai giammai tanto virtuoso
da poter esser console,
e nemmeno da stare accanto a lui
(Indica Bruto)
come tribuno.
MENENIO - Calmi, state calmi!
COMINIO - Il popolo è ingannato, è subornato.
Questo ondeggiare tra il sì e il no
non è degno di Roma, e Coriolano
non merita davvero un’ostruzione
così disonorante posta ad arte
lungo il piano cammino del suo merito.
CORIOLANO - Venirmi adesso a parlare del grano!
Quello che ho detto allora lo ripeto!
MENENIO - Non adesso, però, per carità.
UN SENATORE - No, Marcio, non in tanta eccitazione.
CORIOLANO - Sì, invece, adesso! Sì, per la mia vita!
I miei nobili amici mi perdonino;
ma la fetida, bassa minuzzaglia
voltagabbana s’ha da render conto
ch’io non son uomo che sappia adulare,
si specchi in me, piuttosto, e in ciò che dico.
Lo ripeto: a cercar di assecondarla,
noi non facciamo che dare alimento
alla malerba della ribellione,
dell’insolenza, della sedizione
contro il Senato; per la qual zizzania
noi stessi abbiamo arato, seminato
e consentito che si propagasse
mescolandosi a noi, gente d’onore,
cui non manca virtù né autorità,
salvo quella ceduta a dei pezzenti.
MENENIO - Bene, ora basta.
UN SENATORE - Basta, ti preghiamo.
CORIOLANO - Basta? E perché? Com’io ho sparso sangue
per la mia patria senza aver paura,
così nessuna forza impedirà
ai miei polmoni di coniar parole,
fino a diventar marci,
contro questi pestiferi miasmi
di cui tutti temiamo d’infettarci
avendo tuttavia fatto del tutto
per buscarceli.
BRUTO - Tu parli del popolo
né più e né meno che se fossi un dio,
che sia pronto a punirlo, e non un uomo
affetto dalle stesse debolezze.
SICINIO - Ed è bene che il popolo lo sappia.
MENENIO - Sappia che cosa? Questa sua sfuriata?
CORIOLANO - Sfuriata!... Foss’io calmo,
per Giove!, come il sonno a mezzanotte,
sarei sempre di questa stessa idea!
SICINIO – È un’idea velenosa
che tale deve rimaner dov’è,
senza infettare gli altri intorno a sé.
CORIOLANO - “Deve”!... Sentitelo questo Tritone
dei lattarini(124)! Avete preso nota
di codesto suo “deve” perentorio?
COMINIO – È contro regola, senz’altro.
CORIOLANO - “Deve”!
O buoni ma incautissimi patrizi,
voi, gravi ed imprudenti Senatori,
voi che avete permesso qui a quest’Idra(125)
di scegliersi un suo proprio magistrato
che con questo suo “deve” perentorio,
qual rumoroso corno di quel mostro(126)
non si fa scrupolo di minacciare
d’esser capace di deviare altrove,
entro altra fossa, la vostra corrente,
e di far suo l’attuale suo letto!
Se è vero ch’ei possiede un tal potere,
s’inchini allora a lui la vostra ignavia;
ma se non l’ha, svegliate dal suo sonno
la vostra mite e rischiosa indulgenza.
Se saggezza è in voi, non comportatevi
come volgari sprovveduti sciocchi;
se saggezza non v’è,
fateli pur sedere accanto a voi.
Sarete voi la plebe,
ed essi i senatori; e tali sono,
già ora se, quando le loro voci
son mischiate alle vostre, il loro accento
è il tono che prevale nell’insieme.
Si scelgono il lor proprio magistrato,
e questo è uno che sbatte in faccia
il suo “deve”, quel suo “deve” plebeo,
contro un’assise che nemmen la Grecia
ebbe mai di più seria e veneranda.
Ma, tutto questo, per il sommo Giove!,
riduce i consoli a ben poca cosa!
E mi sanguina il cuore
a pensare che quando due poteri
sono in sella contemporaneamente,
sì che nessun dei due può prevalere,
nel loro vuoto può infilarsi il caos,
e far che si distruggano a vicenda!
COMINIO - Al Foro, dunque, andiamo.
CORIOLANO - Chiunque siano ch’abbian consigliato
di far distribuir gratuitamente
il grano dei depositi statali,
come s’è fatto qualche volta in Grecia...
MENENIO - Via, via, non ne parliamo più.
CORIOLANO - (Seguendo il suo discorso)
(... ma in Grecia
ben più ampi poteri aveva il popolo...),
io dico che costoro, chi essi siano,
hanno nutrito la disobbedienza,
cibato la rovina dello Stato.
BRUTO - E il popolo dovrebbe dare il voto
ad uno che si esprime in questi termini?
CORIOLANO - Al popolo dirò le mie ragioni,
che valgono ben più dei loro voti.
Essi sanno benissimo che il grano
non doveva servir da ricompensa,
essendo noto che per meritarlo
nessun servizio avevano essi reso.
Chiamati per la guerra,
in un momento in cui il cuore stesso
dello Stato correva gran pericolo,
ricusaron perfino di varcare
le porte di città; non si può dire
che sia stato codesto un tal servizio
da meritare loro il grano a ufo.
Né, partiti che furon per la guerra,
hanno parlato poi a lor favore
le sedizioni e gli ammutinamenti
in cui han fatto prova - oh, allora sì! -
di tutto il lor valore di guerrieri.
Così come plausibile motivo
non potevano certamente offrire
per così generosa elargizione
le assurde accuse da loro lanciate
contro il Senato, l’una dopo l’altra.
E adesso? Come questo milleteste
digerirà nel suo multiplo ventre
la cortesia che gli ha fatto il Senato?
Dai fatti si può già pronosticare
quali saranno le loro parole:
“L’abbiamo chiesto, siamo maggioranza,
e ci hanno accontentati, per paura”.
Così noi degradiamo i nostri seggi,
ed offriamo motivo alla marmaglia
di dir che quanto facciamo per loro
lo facciamo soltanto per paura;
il qual ragionamento, con il tempo,
scardinerà le porte del Senato,
e allor v’irromperanno le cornacchie
a dar di becco all’aquile(127).
MENENIO - Via, basta!
BRUTO - Basta ed avanza.
CORIOLANO - No, ce n’è di più!
E sia suggello a quanto sto per dire
tutto quello che al mondo c’è d’umano
e di divino sopra cui giurare.
Questo nostro bicipite potere
dove una delle teste, con ragione,
disdegna l’altra che, senza ragione
insulta, dove nobiltà di nascita
e titoli e saggezza di governo
non possono decidere un bel niente
senza aver ottenuto il “sì” o il “no”
dell’ignoranza di un’intera classe(128),
è costretto per forza a trascurare
i reali interessi dello Stato
per dare spazio a fanfaluche inutili;
talché, sbarrato qualsiasi proposito,
ne vien che nulla è fatto più a proposito.
Perciò vi supplico - se la paura
non ha offuscato in voi ogni saggezza(129) -
voi, cui le fondamenta dello Stato
stan troppo a cuore perché dubitiate
della necessità di migliorarle;
voi che a una vita lunga
preferite una vita dignitosa,
e siete pronti a medicine estreme
per un corpo malato,
destinato altrimenti a morte certa,
strappate via di colpo, di violenza,
questa lingua dal corpo dello Stato(130),
ch’essa non abbia più a leccar quel dolce
ch’è anche il suo veleno!
La vostra indecorosa umiliazione(131)
rende monco ogni sano giudicare,
priva lo Stato di quell’unità
che dovrebb’essere sempre la sua,
rendendolo impotente ad operare,
come vorrebbe, pel bene comune,
per colpa di un tal male, che lo domina.
BRUTO - Ha detto quanto basta(132).
SICINIO - Ha parlato da vero traditore,
e come tale ne dovrà rispondere.
CORIOLANO - Miserabile! La tua stessa bile
ti seppellisca!... Che può fare il popolo
con queste zucche vuote di tribuni?
Finché avranno costoro come guida,
si sentiranno tutti esonerati
dall’obbedire a maggior dignità.
A quella carica li hanno eletti
in un momento di piena rivolta,
quando non la giustizia
ma soltanto la forza era la legge(133).
I tempi son cambiati, per fortuna:
oggi si dica che dev’esser giusto
quello che è giusto, e si getti alle ortiche
il lor potere.
BRUTO - Questo è tradimento!
Flagrante!
SICINIO - Console costui? Giammai!
BRUTO - Gli Edili(134), oh! Venite!
Entra un EDILE
(Indicandogli Coriolano)
Sia arrestato!
SICINIO - (All’Edile)
Va’ e riunisci il popolo in comizio.
(Esce l’edile)
(A Coriolano)
Ed in nome del popolo,
io qui t’arresto come traditore,
sovvertitor di modi e di costumi,
e nemico del popolo romano!
T’ordino di obbedirmi
e di venire subito con me,
a risponder di quanto sei accusato.
CORIOLANO - (Respingendo con forza Sicinio)
Sta’ lontano da me, vecchio caprone!
SENATORI e PATRIZI - Ci facciamo garanti noi per lui.
COMINIO - (A Sicinio, che cerca d’impadronirsi di Coriolano)
Ehi, vecchio, giù le mani.
CORIOLANO - Via, carogna,
o ti sparpaglio l’ossa dai tuoi stracci!
Entrano i due EDILI con una folla di PLEBEI
SICINIO - Aiuto, cittadini!
MENENIO - Cittadini,
più rispetto, dall’una e l’altra parte!
SICINIO - (Indicando alla folla Coriolano)
Ecco colui che intende spodestarvi
d’ogni potere!
BRUTO - Arrestatelo, edili!
PLEBEI - Abbasso!
A morte!
UN SENATORE - L’armi! L’armi! L’armi!
(Zuffa generale attorno a Coriolano)
TUTTI A VICENDA - Senatori!
Patrizi!
Cittadini!
Sicinio!
Bruto!
Coriolano!...
MENENIO - Pace!!!!
Calmatevi un momento!... Che succede?
Non ho più fiato...
Ma qui si va diritti alla rovina!...
Non posso più parlare... Voi, tribuni,
parlate voi al popolo.
(A Coriolano)
Sta’ calmo.
Sicinio, parla tu.
SICINIO - Ascoltatemi, gente mia... Silenzio!
PLEBEI - Udiamo il nostro tribuno. Silenzio!
Fate silenzio!
Parla, parla, parla!
SICINIO - Le vostre libertà sono in pericolo.
Marcio, che avete appena eletto console,
vuol togliervele tutte.
MENENIO - No così!
Ma tu invece di spegnere la fiamma,
l’attizzi!
UN SENATORE - Demolisci la città,
in questo modo, tu la radi al suolo!
SICINIO - Che cos’è la città, se non il popolo?
PLEBEI - Giusto, Sicinio, la città è il popolo!
SICINIO - E noi, per loro unanime consenso,
siamo i loro legali difensori.
PLEBEI - E tali resterete!
MENENIO - Resteranno, sì, certo, resteranno.
COMINIO - Questa è la via per demolirla al suolo,
la città, e tirarne il tetto giù
fino alle fondamenta,
seppellendo tra ammassi di rovine
tutto quello che ancora ci rimane
d’ordinato.
SICINIO - Costui merita morte.
BRUTO - Qui è in gioco la nostra autorità,
o la perdiamo. Ed in nome del popolo,
nella cui potestà noi fummo eletti
a suoi legittimi rappresentanti,
noi dichiariamo qui che Caio Marcio
è meritevole di morte, subito.
SICINIO - (Agli Edili)
Arrestatelo dunque; che aspettate!
Lo si conduca alla Rupe Tarpea,
e che sia di lassù precipitato,
alla sua fine!
BRUTO - Prendetelo, Edili!
PLEBEI - Marcio, arrenditi!
MENENIO - Ancora una parola,
Tribuni, ve ne supplico.
EDILI - (Alla folla)
Silenzio!
MENENIO - (Ai Tribuni)
Siate per una volta
quelli che sempre volete apparire:
sinceri amici della vostra patria;
e procedete con ponderazione
a ciò che invece con tanta violenza,
a quanto vedo, intendete distruggere.
BRUTO - Menenio, questi tuoi gelidi modi,
che sembrano consigli di prudenza
son un veleno pericolosissimo
per un male violento come questo.
(Agli Edili)
Avanti, impadronitevi di lui,
ho detto, e conducetelo alla Rupe!
CORIOLANO - (Sguainando la daga)
No, morirò qui stesso.
Ci sarà pur qualcuno in mezzo a voi
che m’ha visto combattere. Beh, avanti,
venga a provare adesso su di sé
quel che m’ha visto fare.
MENENIO - Via quell’arma!
Tribuni, allontanatevi un momento.
BRUTO - (Agli Edili)
Afferratelo!
MENENIO - Aiuto a Marcio, aiuto!
Nobili, giovani, vecchi, aiutatelo!
PLEBEI - A morte!
A morte!
A morte!
(Mischia. I tribuni, gli edili e i plebei sono respinti ed escono)
MENENIO - (A Coriolano)
Va’, torna a casa, presto! Via da qui.
Altrimenti sarà rovina piena.
UN SENATORE - (A Coriolano)
Parti da qui.
CORIOLANO - Dobbiamo tener duro!
Siamo, amici e nemici, in pari numero.
MENENIO - S’ha da arrivare a questo?
UN SENATORE - Gli dèi non vogliano!
(A Coriolano)
Nobile amico,
ti prego, adesso tornatene a casa;
lascia a noi di curar questa faccenda.
MENENIO - Perché è una piaga che portiamo addosso
tutti quanti, e che tu non puoi curare.
Va’, ti scongiuro.
COMINIO - Vieni via con noi.
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