Muoviamoci.
Preparati a rispondere con calma,
ché quelli, a quanto sento, hanno approntato
contro di te accuse assai più gravi
di quelle che già porti sulle spalle.
CORIOLANO - “Con calma”, sì, è la parola d’ordine.
Andiamo pure. Risponderò loro
come mi detta il cuore,:
per quante accuse vorranno inventarsi.
MENENIO - Sì, ma garbatamente.
CORIOLANO - E come no!
Garbatamente, sì, garbatamente!
(Escono)
SCENA III - Roma, il Foro
Entrano BRUTO e SICINIO
BRUTO - Su questo punto attacchiamolo a fondo:
che la sua mira è il potere assoluto.
Se qui ci sfugge, dobbiamo incalzarlo
sul suo comportamento ostile al popolo,
e sul bottino tolto a quelli di Anzio,
che non è stato mai distribuito.
Entra un EDILE
Allora, viene?
EDILE – È qui che sta arrivando.
BRUTO - Chi l’accompagna?
EDILE - Il solito Menenio
e i patrizi che l’han sempre appoggiato.
SICINIO - Hai la lista completa
dei voti che gli abbiamo procurato,
suddivisi per singoli comizi?
EDILE - L’ho qui con me, completa.
SICINIO - Per tribù(152)?
EDILE - Sì.
SICINIO - Convochiamo allora in assemblea
la plebe, subito. E quando udranno
da me queste parole: “Così sia,
per il diritto e il potere del popolo”,
o si tratti di condannarlo a morte,
o a pagare un’ammenda, o all’esilio,
s’io grido: “Ammenda!”, ripetano: “Ammenda!”,
se grido: “Morte!”, ripetano: “Morte!”,
riaffermando con questa procedura
l’antico privilegio ed il potere
di giudicare nella giusta causa.
EDILE - Li informerò di queste tue istruzioni.
BRUTO - E che non cessino più di gridare,
ma reclamino, con maggior clamore
la pronta ed immediata esecuzione
di quanto sarà stato sentenziato.
EDILE - Perfettamente.
SICINIO - E vengano in gran numero,
e siano tutti pronti all’imbeccata
che noi daremo loro al punto giusto.
BRUTO - Va’, provvedi che tutto ciò sia fatto.
(Esce l’Edile)
(A Sicinio)
Portalo subito a perder la calma.
È uso a vincere e s’avvampa subito
se contraddetto: una volta scaldato,
non ha più freni alla moderazione,
spiattella tutto ciò che tiene in petto;
ed è a quel punto che ci porge il destro
di farsi rompere l’osso del collo.
Entrano CORIOLANO, MENENIO, COMINIO, con senatori e patrizi
SICINIO - Bene, arriva.
MENENIO - (Piano, a Coriolano)
Mi raccomando, calma.
CORIOLANO - Sì, calma, calma, come uno stalliere
che per i quattro soldi della paga
sopporta d’essere chiamato “bestia”!
(Forte)
Vogliano sempre i venerandi dèi
serbar sicura Roma e provvedere
che agli alti seggi della sua giustizia
seggan uomini degni!
Vogliano seminar tra noi l’amore,
affollar di pacifici cortei
i nostri templi, e non d’interne lotte
le nostre strade.
PRIMO SENATORE - Amèn.
MENENIO - Nobile augurio.
Rientra l’EDILE con la folla dei plebei
SICINIO - Venite pure avanti, cittadini.
EDILE - Ascoltate i Tribuni. Olà, silenzio!
CORIOLANO - Prima ascoltate me.
I DUE TRIBUNI - Va bene, parla.
(Alla folla)
Silenzio, voi, laggiù!
CORIOLANO - Ci saranno altre accuse aggiunte a queste,
oppure tutto si decide qui?
SICINIO - Io ti chiedo se intendi sottostare
a quel che il popolo andrà a votare,
riconoscere i suoi rappresentanti,
se accetterai di scontare la pena
prevista dalla legge per le colpe
che saranno a tuo carico provate.
CORIOLANO - Accetto.
MENENIO - Lo sentite, cittadini?
Ecco, dice che è pronto ad accettare!
A voi di valutare giustamente
tutti i servizi da lui resi in guerra;
considerate pure le ferite
che porta numerose sul suo corpo,
come tombe in un santo cimitero.
CORIOLANO - Solo graffi di spine,
cicatrici da ridere, nient’altro.
MENENIO - Considerate poi che nell’esprimersi,
se non parla come uno di città,
dovete in lui vedere il soldato.
Non prendete l’asprezza del suo dire
per malagrazia nei riguardi vostri,
ma, come dico, lo dovete prendere
come il parlare proprio d’un soldato
e non già d’uno che vi vuole male.
COMINIO - Bene, basta così.
CORIOLANO - Per qual motivo,
dopo che sono stato eletto console
con voto unanime,
devo sentirmi leso nell’onore
a tal punto, che, dopo appena un’ora,
volete ritrattare il vostro voto?
SICINIO - Rispondi a noi, piuttosto.
CORIOLANO - Già, tocca a me rispondere. Di’ pure.
SICINIO - Noi t’accusiamo d’aver macchinato
con l’intento di spazzar via da Roma
tutte le cariche costituite,
e di puntare, per traverse vie,
al potere assoluto: onde tu sei
traditore del popolo romano.
CORIOLANO - Che! Traditore, io?
MENENIO - No, no, sta’ calmo.
Ricorda la promessa...
CORIOLANO - Questo popolo,
che se lo inghiotta il più profondo inferno!
Io, traditore! Insolente tribuno!
Avessi tu stampata nei tuoi occhi
la morte ventimila volte, e in mano
ne avessi tu milioni, e ancora il doppio
su quella tua linguaccia di bugiardo,
ti griderò: “Tu menti!”
con quella stessa mia voce dell’animo
altrettanto spontanea come quella
con cui prego gli dèi:
SICINIO - (Alla folla)
Lo senti, popolo?
PLEBEI - Alla Rupe!
Alla Rupe quello là!
SICINIO - Basta così, non servono altre accuse!
Avete visto tutti quel che ha fatto,
udito che ha detto: ha malmenato
i vostri delegati, v’ha insultati,
ha resistito violento alla legge,
ed ha sfidato qui l’alto potere
di coloro che devon giudicarlo:
tutto questo è delitto capitale,
da meritar nient’altro che la morte.
BRUTO - Tuttavia, poiché ha ben servito
per il bene di Roma...
CORIOLANO - Che vuoi cianciare tu di ben servire?
BRUTO - Dico ciò che conosco.
CORIOLANO - Proprio tu!
MENENIO - (A Coriolano)
È così che mantieni la promessa
fatta a tua madre?
COMINIO - Sappi, amico, che...
CORIOLANO - Non voglio saper altro!
Mi condannino pure come vogliono:
ad essere buttato dalla Rupe,
ad andare in esilio vagabondo,
magari ad essere scuoiato vivo,
o a languire di fame in una cella
con un granello di frumento al giorno:
mai m’indurrò a comprare la pietà
al prezzo d’una sola parolina
d’adulazione, mai mi s’indurrà
a trattenere la mia repulsione
dall’ottener da loro qualche cosa,
bastasse pure dir solo “buongiorno”!
SICINIO - Attesoché in diverse occasioni
ha fatto tutto ch’era in suo potere
per mostrare il suo odio contro il popolo,
cercando ogni possibile espediente
per strappargli il potere;
ed anche in questa s’è mostrato ostile
non solo contro l’austera giustizia
ma contro chi la deve amministrare,
noi, in nome del popolo
e nella nostra veste di tribuni,
lo bandiamo da questo stesso istante
dalla nostra città, sotto minaccia
d’esser precipitato dalla Rupe,
se ancor varcasse le porte di Roma.
Così sentenzio, nel nome del popolo.
PLEBEI - E così sia! E così sia! Cacciamolo!
È bandito da Roma, e così sia!
COMINIO - Ch’io vi parli, miei mastri, amici miei...
Ascoltatemi. Sono stato console,
e sul mio corpo porto le ferite
che m’hanno fatto i nemici di Roma.
Io di questa mia patria ho caro il bene
con più tenero, più sacro rispetto,
più profondo della mia stessa vita,
dell’onore della mia cara sposa,
dei frutti del suo grembo,
e prezioso tesoro dei miei lombi.
Perciò s’io vi dicessi...
SICINIO - Che vuoi dire?
Sappiamo già dove vuoi arrivare.
BRUTO - Non c’è altro da dire,
se non che questi è bandito da Roma,
come nemico di Roma e del popolo.
E così sia.
PLEBEI - E così ha da essere!
CORIOLANO - Branco di miserabili cagnacci,
il cui fiato fetente io detesto
come l’aria d’una palude infetta,
i cui favori apprezzo
quanto il lezzo ammorbante l’atmosfera
delle carcasse d’uomini insepolti,
son io che vi bandisco ora da me!
E qui restate coi vostri orgasmi!
Che ogni minima voce(153) metta a tutti
in cuor la tremarella! Ed i nemici
col solo scuotere delle lor piume(154),
vi piombino nella disperazione.
Tenetevelo stretto un tal potere
di dare il bando a chi vi può difendere,
finché alla lunga la vostra insipienza,
che nulla impara finché non lo prova,
non risparmiando nemmeno voi stessi,
di voi stessi facendovi nemici,
non vi consegni, come prigionieri
i più disonorati, a una nazione,
che vi avrà vinti senza un solo colpo!
Così, sprezzando io la mia città
per causa vostra, le volto le spalle.
C’è un mondo pure altrove!
(Esce con Cominio, Menenio e gli altri patrizi)
EDILE - Il nemico del popolo è partito!
PLEBEI - Via il nostro nemico!
Al bando!
Evviva!
(Gridano tutti, gettando in aria i berretti)
SICINIO - Ora andate a vederlo
quand’esce dalla porta di città,
e con lo sguardo lo segua ciascuno
con lo stesso disprezzo
col quale egli ha guardato sempre voi.
Dategli la tortura che si merita.
Che una guardia ci scorti,
nel mentre attraversiamo la città.
PLEBEI - Alla porta! Alla porta! Andiamo, andiamo!
A vederlo mentre esce di città!
Gli dèi proteggano i nostri Tribuni!
Andiamo, andiamo tutti!
(Escono)
ATTO QUARTO
SCENA I - Roma, davanti a una porta della città(155)
Entrano CORIOLANO, VOLUMNIA, VIRGINIA, MENENIO, COMINIO e giovani patrizi
CORIOLANO - (Alla madre e alla moglie)
Basta, via, con le lacrime.
Un addio breve. Mi caccia a cornate
la mala bestia dalle molte teste(156)...
Madre, suvvia, fa’ cuore!
Dov’è dunque l’antico tuo coraggio?
M’hai sempre detto che gli estremi mali
sono le grandi prove dello spirito;
che le comuni avversità son cose
che anche la gente bassa sa patire;
che con calma di mare,
ogni naviglio, qual che sia la stazza,
si mostra in grado di tenere il mare;
che quanto più in profondo
si dirigono i colpi della sorte,
tanto più nobilmente i nostri sensi
devon sopportarne le ferite.
M’hai sempre caricato di precetti
che dovevano rendere invincibile
il cuore che li avesse assimilati(157)...
VIRGINIA - O cieli! O cieli!
CORIOLANO - No, ti prego, donna...
VOLUMNIA - La peste colga tutti i mestieranti
di Roma, e muoiano tutti i mestieri!
CORIOLANO - Via, via, che assente mi rimpiangeranno.
Su, su, madre, ritrova il vecchio spirito
di quando non facevi che ripetermi
- ricordi?(158) - che se fossi stata tu
la moglie d’Ercole, avresti fatto
sei delle sue fatiche, risparmiando
metà dei suoi sudori a tuo marito...
Cominio, non ti contristare. Adieu!
Addio, mia sposa, addio, madre mia!
Saprò cavarmela, malgrado tutto.
E tu, mio vecchio e fedele Menenio,
le tue lacrime sono più salate
delle lacrime d’occhi giovanili,
e son come veleno per i tuoi.
(A Cominio)
Mio caro generale,
t’ho visto spesso fermo ed impassibile
davanti a viste da impietrire il cuore:
fa’ tu capire a queste afflitte donne
che piangere per colpi inevitabili
è tanto stolto quanto è stolto il riderne.
Madre, sai bene che per te i miei rischi
sono stati la tua consolazione,
e sta’ certa che s’anche me ne vado solo,
solingo come un drago solitario
che fa temibile la sua palude
e del quale la gente parla tanto
quanto meno lo vede, questo figlio
farà qualcosa di straordinario;
se non riusciranno a catturarlo
col mezzo dell’inganno e dell’astuzia.
VOLUMNIA - Ma dove te ne andrai, figliolo mio?
Prendi almeno con te, per qualche tempo,
il buon Cominio. Decidi che fare,
non esporti alla cieca ad ogni evento
che ti si possa offrire sul cammino.
VIRGINIA - O dèi!...
COMINIO - Vengo con te per tutto un mese;
così potremo decidere insieme
dove fermarti sì che poi di te
possiamo aver notizia e tu di noi;
così se con il tempo fiorirà
l’occasione del tuo richiamo in patria,
non dovremo mandare per un uomo
alla ricerca in tutto il vasto mondo
e perdere il vantaggio del momento,
che sempre fatalmente si raffredda
nell’assenza di chi deve giovarsene.
CORIOLANO - Addio, Cominio. Sei carico d’anni,
e pesano ancor troppo su di te
le fatiche di guerra, per pensare
d’andare alla ventura per il mondo
con uno che ce la può far da sé(159).
Accompagnami solo per un pezzo
fuori le mura. Vieni, dolce sposa,
madre amatissima, amici miei
di nobil tempra; e appena sarò fuori
ditemi tutti addio con un sorriso.
Vi prego, andiamo. Avrete mie notizie
fintanto che avrò i piedi sulla terra;
e non saprete mai nulla di me
se non di quel che sono sempre stato.
MENENIO - Questo parlare è quanto di più nobile
può udire orecchio. Ebbene, niente lacrime!
Potessi scuotermi solo sett’anni
da queste stagionate braccia e gambe,
ti seguirei, per gli dèi, passo passo!
CORIOLANO - Qua la tua mano nella mia. Andiamo.
(Escono)
SCENA II - Roma, davanti a una porta della città
Entrano i due TRIBUNI con un EDILE
SICINIO - Rimandiamoli a casa. È andato via.
È inutile che procediamo oltre.
I nobili non l’han mandata giù.
Tutti dalla sua parte, abbiamo visto.
BRUTO - Ora, però, che abbiam mostrato i denti(160)
ci conviene mostrarci più dimessi
di quando tutto questo era da fare.
SICINIO - (All’Edile)
Mandali a casa. Di’ che il gran nemico
se n’è andato, e la loro antica forza
è sempre intatta.
BRUTO - (All’Edile)
Sì, mandali a casa.
Esce l’Edile
Ecco sua madre.
Entrano VOLUMNIA, VIRGINIA e MENENIO
SICINIO - Evitiamola. È meglio.
BRUTO - Perché?
SICINIO - La dicon furibonda pazza.
BRUTO - Ci hanno visti. Cammina, tira dritto.
VOLUMNIA - Oh, v’incontro a buon punto!
Tutte le più schifose pestilenze
tenute in serbo dagli dèi per gli uomini
possano ripagare il vostro zelo!
MENENIO - Non gridare così!
VOLUMNIA - Ancor più forte
mi sentiresti, se non fosse il pianto...
Anzi, mi sentirai lo stesso, adesso...
(A Bruto)
Che! Te ne vai?
VIRGINIA - (A Sicinio)
Resta qui anche tu...
Potessi dir lo stesso a mio marito!
SICINIO - (A Volumnia)
Diamine, siete diventate uomini(161)?
VOLUMNIA - Certo, imbecille, è forse una vergogna?
Stammi a sentire, pezzo di babbeo:
uomo non era forse il padre mio?
Tu invece no, tu sei solo la volpe
ch’è riuscita a cacciar via da Roma
un uomo che per Roma ha dispensato
più colpi che parole tu abbia detto.
SICINIO - O dèi beati!
VOLUMNIA - Sì, colpi più nobili
che tu sagge parole, e dispensati
per il bene di Roma.
Sai che ti dico?... Ma va’, va’... No, invece,
no, anzi resta... Vorrei che mio figlio
si trovasse in Arabia, spada in pugno,
a faccia a faccia con la tua tribù.
SICINIO - Ebbene, allora?
VIRGINIA - Allora sentiresti!
Porrebbe fine a tutta la tua schiatta.
VOLUMNIA - A tutta la tua razza di bastardi.
Quel gagliardo, con tutte le ferite
che si porta per Roma!
MENENIO - Via, sta’ calma.
SICINIO - Se avesse seguitato a comportarsi
verso la patria come da principio,
e non avesse spezzato lui stesso
il generoso nodo da lui stretto...
BRUTO - Ah, sì, magari avesse...
VOLUMNIA - “Ah, sì, magari”!
Ma se vi siete dati proprio voi
ad infiammar la folla! Voi, gattacci,
che siete in grado di stimare i meriti
non più di quanto io sappia scrutare
i misteri insondabili del cielo!
BRUTO - Andiamo, prego.
VOLUMNIA - Prego, andate, andate.
Avete fatto una bella prodezza.
Prima, però, sentite che vi dico:
di quanto s’erge in alto il Campidoglio
sopra il più misero tetto di Roma,
di tanto il figlio mio e di costei
sposo - di questa donna qui, vedete? -,
da voi bandito, vi sovrasta tutti.
BRUTO - Bene, bene, ma adesso vi lasciamo.
SICINIO - Perché star qui a sorbirci gli improperi
d’una che ha perso chiaramente il senno?
(Escono i due Tribuni)
VOLUMNIA - E v’accompagnino le mie preghiere.
Non avesser gli dèi altro da fare
che confermar le mie maledizioni!
Ah, potessi incontrarli, questi due,
anche una volta al giorno:
già basterebbe per sentirmi il cuore
sollevato dal peso che l’opprime.
MENENIO - Gli hai detto il fatto loro,
e, francamente, ne avevi ragione.
Non vorreste cenare insieme a me?
VOLUMNIA - È la rabbia il mio cibo. La mia cena
la farò su me stessa, divorandomi,
così mangiando morirò di fame.
(A Virginia)
Andiamo, cessa di piagnucolare,
e lamentati, come faccio io,
di rabbia, alla maniera di Giunone(162).
Andiamo.
(Escono Volumnia e Virginia)
MENENIO - Vituperio, vituperio!
(Esce)
SCENA III - La strada fra Roma e Anzio
Entrano NICANOR, soldato romano, e ADRIANO, soldato volsco, incontrandosi
NICANOR - Io ti conosco, amico;
ed anche tu devi conoscer me.
Se non mi sbaglio, ti chiami Adriano.
ADRIANO - Esattamente, amico; ma, in coscienza,
di te non mi ricordo.
NICANOR - Son romano,
ma uno che lavora, come te,
contro i Romani. Mi ravvisi adesso?
ADRIANO - Nicanor?...
NICANOR - Sì, amico, proprio lui.
ADRIANO - Più barba avevi, quando t’ho incontrato
l’ultima volta, ma la voce è quella.
Bene, che novità ci sono a Roma?
Ho qui un mandato del governo volsco
di ricercarti là; ma adesso tu
m’hai risparmiato un giorno di cammino.
NICANOR - Ci sono state a Roma insurrezioni
mai viste prima(163): il popolo in rivolta
contro il Senato, i nobili, i patrizi.
ADRIANO - “Ci sono state...”. Perché, son finite?
I nostri governanti non lo credono;
stanno facendo grandi apprestamenti
per la guerra, sperando di sorprenderli
nel pieno ardore delle lor discordie.
NICANOR - Beh, la grande fiammata ormai è spenta;
ma basta una scintilla a ravvivarla,
perché i nobili han preso così male
la cacciata del prode Coriolano,
da ritener matura l’occasione
per togliere alla plebe ogni potere
e strapparle per sempre i suoi tribuni.
C’è fuoco sotto cenere, ti dico,
e sta lì lì per divampar di nuovo.
ADRIANO - Coriolano bandito!
NICANOR - Sì, bandito.
ADRIANO - A Corioli farà molto piacere,
Nicanor, questa tua informazione.
NICANOR - Lo credo; è un buon momento, ora, per loro.
Ho sempre udito che il miglior momento
per sedurre la moglie di qualcuno
è quando ha litigato col marito.
Il vostro valoroso Tullo Aufidio
avrà modo di mettersi in gran luce
in questa guerra, il suo grande avversario,
Coriolano, trovandosi in disgrazia
col suo paese.
ADRIANO - Per forza di cose.
È stata veramente una fortuna
per me incontrarti, così, casualmente;
hai concluso così la mia missione,
e con piacere t’accompagno a casa.
NICANOR - Fino all’ora di cena avrò da dirti
molte cose stranissime da Roma,
e tutte vantaggiose ai suoi nemici.
Hai detto che hanno pronto già un esercito?
ADRIANO - E che fiore d’esercito! Magnifico!
I centurioni, con i loro uomini,
già arruolati, al soldo dello Stato,
equipaggiati e pronti a entrare in campo
in termine di un’ora.
NICANOR - Son contento di udire che son pronti,
perché ritengo d’esser proprio io
quello che li farà mettere in marcia
con la massima urgenza.
Bene incontrato, dunque, amico mio,
e molto lieto della compagnia.
ADRIANO - Tu mi rubi di bocca le parole,
amico; sono io che ho più ragione
di rallegrarmi.
NICANOR - Bene, incamminiamoci.
(Escono)
SCENA IV - Anzio, davanti alla casa di Aufidio
Entra CORIOLANO in abito dimesso, travestito e imbacuccato
CORIOLANO - Bella città quest’Anzio! E son io qui,
Anzio, che le tue donne ha reso vedove.
Ho udito gemere sotto i miei colpi
molti eredi di queste tue magioni
e cadere. Perciò non riconoscermi,
che le tue donne con i loro spiedi
ed i ragazzi con le lor sassate
non m’uccidano in un puerile scontro.
Entra un CITTADINO
Salve, amico.
CITTADINO - Salute a te.
CORIOLANO - Di grazia,
sapresti dirmi dove sta di casa
il grande Aufidio? Si trova qui ad Anzio?
CITTADINO - Sì, e banchetta a casa sua stasera
con i notabili della città.
CORIOLANO - Qual è la casa sua?
CITTADINO - Ce l’hai davanti.
CORIOLANO - Grazie, amico, salute.
(Esce il Cittadino)
O mondo, le tue scivolose curve!
Amici uniti da antica affezione,
da sembrare un sol cuore entro due petti,
da trascorrere insieme tutti i giorni
le ore, il letto, la mensa, il lavoro,
inseparabili nel loro affetto
come fossero stati due gemelli,
basta uno screzio, un dissenso da niente
per rompere in tremenda inimicizia.
Così ugualmente nemici giurati
cui l’ira e il furore dell’intrigo
tolsero il sonno a forza di pensare
come distruggersi l’uno con l’altro,
ecco che per un caso, una sciocchezza
che vale meno d’una coccia d’uovo,
possono diventare grandi amici
e unir le loro sorti. Così io:
detesto il luogo dove sono nato
e guardo con amore a una città
che mi è stata nemica...
1 comment