Doveva essere un timido.
“Oh! no!” esclamò confuso il vecchio, che guardò la macchia bluastra dagli occhiali sotto gli occhi del suo interlocutore “Io guardavo me stesso in quella lastra. Ho uno strano aspetto io, in viaggio.” E guardando meglio le guancie accuratamente rasate del grosso uomo, offuscate dal pelo denso della barba, aggiunse mentendo: “Non v'è traccia di macchie sulla sua faccia”.
Mentiva. Bastava indirizzarsi fra uomini una sola parola per correre il rischio di dover dire una menzogna. Si era nella verità fra sconosciuti soltanto. La macchia bluastra, non raggiungibile dal fazzoletto, perché vagante secondo le rifrazioni della luce, c'era su quella faccia, ma non bisognava parlarne. Perciò anche in viaggio si perdeva la propria libertà. Come di tutte le cose, anche del viaggio la parte più bella era l’inizio. Partendo si correva via immediatamente liberi dal groviglio di affari e affarucci che gremivano la vita. Per un istante si respirava liberi. Non si serviva da puntello a nessuno e nessuno più vi puntellava. Ma però con la prima parola gentile non meritata (la macchia su quella faccia c'era!) avveniva la ricostruzione del puntello che impacciava i movimenti. Si dava e si domandava l'appoggio. “Nessuno mi dirà ch'io abbia parlato così per far piacere a quel coso grosso. Parlai così perché sto meglio se dico cose gentili ”.
Il coso grosso disse anche lui una cosa gentile: “Io non so perché ella dica di avere un aspetto strano. Non vedo in verità. Davvero non vedo!”. Scandiva con pedanteria le sillabe. Era un altro puntello che si cacciava sotto la spalla del signor Aghios. Però aveva sofferto quando la buona creanza l'aveva obbligato di costruire lui l'appoggio all'altro dicendo una menzogna. Ora invece si sentiva sollevato dalla gentilezza che riceveva. Rientrava con un sospiro di sollievo nel consorzio umano, non accorgendosi che anche quel puntello poggiava su una menzogna di cui non sentiva dolore, non avendo potuto inventarla lui. Eppure avrebbe dovuto ricordare che poco prima la propria faccia gli era apparsa strana, anzi, bestiale, con quei mustacchi grossi.
Ringraziò e avrebbe volentieri attaccato conversazione con chi gli aveva regalato un complimento. Ma non trovò l'argomento. Le prime parole che avevano scambiate vertevano su una parte del loro corpo. Continuando così si correva il rischio di somigliare ai cani.
Il signor Aghios guardò con desiderio verso il corridoio ch'era tuttavia affollato e ove si fumava, ciarlava e rideva. Avrebbe scommesso che la sua bella fanciulla dagli occhi azzurri c'era sempre ancora; altrimenti non ci sarebbe stata tanta gioia e gli uomini sarebbero venuti a sedere nel compartimento semivuoto. Per poltroneria, malgrado il desiderio, non si mosse. Nel momento di stornare l'occhio dalla porta s'avvide che un'animata conversazione s'era sviluppata nell'altro canto della vettura. Uno dei giovini, quello ammalato, si teneva penosamente teso verso il suo interlocutore per arrivare a sentirlo e aveva nella sua faccia emaciata tutta l'espressione di persona che viene costretta ad una fatica spiacevole.
L'altro invece doveva gustare molto l'occasione di tenere una predica. Era un ragazzo circa dell'età del figlio del signor Aghios.
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