Cede o si foggia secondo il nostro imperioso volere ed è peggio ancora. Ma se invece in lei tale pensiero fosse ora altrettanto libero che da lui? Poteva essere che, come essa non l'indovinava in lui, così lui non lo scoprisse da lei. Sarebbe forse anche lui apparso a lei miserevolmente credulo e perciò gelido, inerte? Se egli avesse potuto istruire suo figlio ossia se suo figlio da lui avesse accettato qualche istruzione, egli, al momento in cui avesse preso moglie, gli avrebbe raccomandato: “Non istruire troppo tua moglie e non foggiarla a modo tuo, perché può avvenire ti riesca”.

Suo figlio l'avrebbe guardato con quel suo aspetto glaciale che poteva anche manifestare un rispetto e avrebbe pensato: “Presuntuosi questi vecchi. Credono tutti fatti come loro e a tutti raccomandano i purganti che fanno per loro”. Aveva già detto così una volta ed il male era che allora aveva avuto ragione. Allora e poi mai più, ma il vecchio aveva ragione di credere che la frase venisse ripetuta molto di spesso.

Ricadeva nel rancore! Non apparteneva a quel treno ed egli respinse i fantasmi della moglie e del figlio. Egli voleva fare la vita sua, cioè il suo viaggio.

Il treno si fermò ad una stazione non importante, di cui l'edificio doveva trovarsi dall'altra parte. Dalla parte sua, nell'erba, c'era una quantità di polli che continuavano a razzolare senza quasi accorgersi del treno che in questo momento s'era fermato accanto alla loro casa. “Come sono saggi costoro!” pensò il signor Aghios. “Questo treno a ore fisse appartiene alla loro vita. Penseranno sia sempre lo stesso.” Poi ricordò che neppure fra uomini ci si intendeva, se non ci si spiegava, com'era da lui e sua moglie, con quel pensiero libero e superbo, ma segreto che com'era da lui poteva essere anche da lei e, con grande piacere, si dedicò a studiare quello che i polli potevano pensare della loro relazione con l'uomo. Gli pareva che uno dei polli dall'erba gli gridasse: “Guai a noi se l'uomo non ci fosse”. E il pollo doveva essere certo della benevolenza del padrone, che gli procurava il buon becchime, che, quando ne era sgozzato, se ne andava da questo mondo con la convinzione che l'uomo suo amico doveva essere ammattito.

Ora s'accorse di stare più comodo. In quella piccola stazione il loro compartimento s'era addirittura vuotato e non vi restavano che in quattro. V'era sempre ancora il forte giovanotto pallido, che aveva approfittato di conciarsi nel cantuccio più lontano dal signor Aghios e sdraiarvisi allungando le gambe. Di faccia a costui c'era un signore che s'era procurato un giornale in cui ficcava il naso in modo che il signor Aghios non poteva vederlo in faccia. Proprio di fronte al signor Aghios era rimasto anche il grosso signore dagli occhiali di tante diottrie.

Mancava l'unica signora che c'era stata. Anch'essa era scesa a popolare la piccola stazione. Senza quel piedino che s'era tenuto alto in quell'adunanza, i quattro uomini rimasti avevano perduto ogni contatto fra di loro. Erano divenuti dei veri stranieri scialbi e muti.

Il signor Aghios per un istante guardò il suo vis-à-vis. Scoperse poi che anche dietro di costui c'era una lastra che copriva una fotografia e nella quale egli scorgeva la propria testa, chiara come in uno specchio. Si analizzò accuratamente. Irrimediabilmente vecchio con quella fronte troppo alta ed i mustacchi non curati, un po' troppo gonfi. I mustacchi erano la prerogativa degli animali che s'annidano nel buchi (così aveva detto quella canaglia di suo figlio); devono servire ad avvisarli quando il buco si restringe e arrestarli dal pericolo di strangolarsi. “Ho io l'aspetto di bestia?” si domandò il signor Aghios esaminando le proprie fattezze. E lui e la sua immagine si guardarono sospettosi. Questi, sì, ch'erano rapporti semplici! Era l'unico caso in cui guardando una fisonomia si sa con piena certezza quello ch'essa esprima. Eppure quella fisonomia conservava il suo aspetto di bestia mustacciata, avvilita allo scorgersi meno bella, mentre era vero che il signor Aghios si sentiva gonfiare il petto dalla superbia di aver scoperto in quel momento quale fosse l'unico rapporto intimo in tutta la grande vasta natura. Solamente dubitava! Anche quello mancava? E corrugò tutta la propria faccia: Un gesto di disprezzo alla propria fisonomia che gli fu prontamente restituito.

Il signore grosso lo guardava, anche lui diffidente, con gli occhi ingranditi dalla lente. “Io credo” disse levando il fazzoletto di tasca “d'essermi imbrattata la faccia con l'inchiostro della macchina da scrivere.” E arrossì.