Ma costui era lo stesso pazzo che il popolo chiamava la ‘scimmia di Zarathustra’: egli infatti aveva ricopiato qualcosa della costruzione e del tono dei suoi discorsi e volentieri prendeva in prestito dal tesoro della sua saggezza. E il pazzo fece a Zarathustra questo discorso:
- Oh, Zarathustra, qui é la grande città: qui nulla hai da cercare e tutto da perdere.
Perché sei voluto passare a guado attraverso questa melma? Abbi compassione dei tuoi piedi! Sputa piuttosto sulla porta della città e
- torna indietro!
Qui é l’inferno per pensieri da eremita: qui i grandi pensieri vengono bolliti vivi e cotti a pezzi.
Qui marciscono tutti i grandi sentimenti: qui soltanto sentimentucci scheletriti possono far rumore coi loro ossicini!
Non senti già l’odore dei macelli e delle bettole dello spirito? Non esala questa città miasmi di spirito macellato?
Non vedi le anime penzolare come stracci sudici e stracchi? - E di questi stracci fanno anche giornali!
Non senti come lo spirito qui sia diventato giuoco di parole? Un liquame schifoso di parole ne vien fuori! - E con questo liquame di parole essi fanno giornali.
Essi si pungolano a vicenda, né sanno verso dove. Essi si riscaldano a vicenda, né sanno perché (173). Essi fanno fracasso con la loro latta, fan tintinnare il loro oro.
Essi sono freddi e cercano calore in liquidi distillati; sono accaldati e cercano refrigerio presso spiriti raggelati; tutti sono infermi e appestati di opinioni pubbliche.
Tutti i piaceri e i vizi qui sono di casa; ma vi sono anche dei virtuosi, c’é qui molta virtù volenterosamente impiegata: -
Molta virtù volenterosa con dita da scrivano e col didietro indurito per lunghe sedute d’attesa, benedetta da piccole stelle da portare sul petto e da figliole impagliate e senza fianchi.
C’é anche molta pietà devota e molta credula piaggeria e adulazione davanti al dio degli eserciti (174).
‘Dall’alto’ goccia qui la saliva benigna che dispensa le stelle; verso l’alto anela qui ogni petto, cui non sia appuntata una stella.
La luna ha il suo alone, che é il suo corteggio, e la Corte ha le sue informi creature lunari: ma il popolo accattone, la volenterosa virtù degli accattoni volge la sua preghiera a tutto quanto proviene da Corte.
- Io servo, tu servi, noi serviamo - (175) - così prega ogni virtù volenterosa, rivolta in alto verso il sovrano: perché alla fine la stella al merito si appunti sul petto intisichito!
Ma la luna gira intorno a tutto quanto é terrestre: così pure il sovrano gira intorno alla più terrestre delle cose -: che é l’oro dei mercanti.
Il dio degli eserciti non é il dio delle sbarre d’oro; il sovrano propone, ma il mercante - dispone!
Per tutto che in te é luce vigore bontà, Zarathustra! Sputa su questa città di mercanti e torna indietro!
Qui il sangue scorre sempre marcio e tiepido e schiumoso per tutte le vene: sputa sulla grande città che é la grande cloaca dove tutta la feccia si raduna schiumeggiante!
Sputa sulla città dalle anime spiaccicate e dai petti intisichiti, dagli occhi aguzzi, dalle dita viscide -
- sulla città degli importuni, degli sfrontati, degli strilloni e scribacchini, degli ambiziosi in fregola: -
- dove tutto ciò che é fradicio, scellerato, lubrico, buio, infrollito, ulceroso, sotterraneo conviene insieme in un’unica piaga:
-
- sputa sulla grande città e torna indietro! - - -
Ma qui Zarathustra interruppe il pazzo furioso e gli tappò la bocca.
- Finiscila! gridò Zarathustra, é un pezzo che il tuo parlare e la tua specie eccitano il mio schifo!
Perché hai abitato così a lungo presso la palude, tanto da diventare tu stesso rana e rospo?
Non scorre anche nelle tue vene un sangue di palude, marcio tiepido schiumoso, sì che hai imparato a gracidare e ingiuriare a questo modo?
Perché non sei andato nella foresta? O hai arato la terra? Forse che il mare non é pieno di verdi isole?
Io disprezzo il tuo disprezzare; e perché hai messo in guardia me e non te stesso?
Soltanto dall’amore deve volare a me il mio disprezzo, come un uccello ammonitore: ma non dalla palude! -
Ti chiamano la mia scimmia, pazzo furioso: ma io ti chiamo il mio maiale grugnente, - col tuo grugnito rovini anche il mio elogio della follia.
Che cosa ti ha indotto a grugnire? Che nessuno ti abbia mai “adulato”
abbastanza: - per questo ti sei messo presso questo sozzume, per aver motivo di molti grugniti, -
- per aver motivo di molta “vendetta”! Vendetta infatti é tutto il tuo inveire, pazzo vanesio: così ti ho smascherato!
Ma le tue folli parole “mi” arrecano danno, persino quando hai ragione! E se la parola di Zarathustra “avesse” anche cento volte ragione: tu con la mia parola non potresti che “far” sempre - torto! -
Così parlò Zarathustra; poi contemplò la grande città, sospirò e tacque a lungo (176). Infine parlò così:
Anche questa grande città mi ripugna (177) e non solo questo pagliaccio. Qui e lì non c’é nulla da migliorare né da peggiorare.
Guai a questa grande città! - E io vorrei già vedere la colonna di fuoco, in cui sarà incendiata!
Perché tali colonne di fuoco (178) debbono precedere il grande meriggio. Ma tutto ciò ha il suo tempo e il suo destino.
Ma a te, pazzo, do questo insegnamento per congedo: dove non é più possibile amare, bisogna - “passare oltre”! -
Così parlò Zarathustra e passò oltre il pazzo e la grande città.
DEGLI APOSTATI.
1.
Ahimé, tutto quanto stava verde e in mille colori, or non é molto, su questo prato, giace ora grigio e appassito? E quanto miele di speranza non portai di qui ai miei alveari!
Questi giovani cuori sono già tutti invecchiati - anzi neppure vecchi!
ma stanchi, volgari, comodi - essi dicono - noi siamo di nuovo devoti - .
Or non é molto li vidi ancora sciamare al mattino su piedi coraggiosi: ma i loro piedi della conoscenza si stancarono, e ora calunniano anche il loro coraggio mattinale!
In verità, qualcuno tra loro sollevò un tempo la gamba come uno che danza, e gli ammiccava il riso della mia saggezza: - ma tornò in sé.
Così l’ho visto poco fa, ingobbito, strisciare verso la croce.
Un tempo sciamavano come moscerini e giovani poeti attorno alla luce e alla libertà. Appena un po’ più vecchi, un po’ più freddi: e già si sono rifugiati nella penombra a borbottare dietro la stufa.
Forse si sentirono mancar d’animo, perché la solitudine mi ingoiò come una balena? (179). Forse il loro orecchio attese a lungo con desiderio me e i miei squilli di tromba, i proclami dei miei araldi?
- Ahimé! Sono sempre soltanto pochi quelli il cui cuore ha il lungo coraggio e la baldanza; e a questi anche lo spirito rimane paziente.
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