Sete di dominio: alla sua vista l’uomo striscia gobbo e servile e si fa più basso del serpente e del maiale: - finché da ultimo il grande disprezzo urla dalla sua bocca -,

sete di dominio: essa insegna la terribile dottrina del grande disprezzo, e proclama in viso a città e a imperi - tu devi scomparire -

- finché essi stessi gridano - “io” devo scomparire! - .

Sete di dominio: che però ascende coi suoi allettamenti fino ai puri e ai solitari e su fino a cime sufficienti a se stesse, accesa come un amore che sul cielo della terra dipinge seducente purpuree beatitudini.

Sete di dominio: ma chi potrebbe chiamarla “sete”, quando ciò che é in alto si abbassa a desiderare potenza! Davvero, nulla di malato e assetato é in questa brama che si abbassa!

Che la cima solitaria non rimanga in eterna solitudine e così si accontenti; che il monte scenda a valle, e il vento delle cime giù nelle bassure: -

Oh, chi potrebbe trovare il nome giusto di una virtù a battezzare questo anelito! ‘La virtù che dona’ (193) - all’innominabile dette un giorno Zarathustra questo nome.

E allora accadde pure - e in verità accadde per la prima volta! -, che la sua parola disse beato l‘“egoismo”, l’egoismo salutare e sano, che sgorga da un’anima possente: -

- da un’anima possente, cui appartiene un corpo elevato, bello vittorioso dispensatore di gioia, attorno al quale ogni cosa diventa uno specchio:

- il corpo flessuoso e suadente, pronto alla danza, di cui similitudine e compendio é l’anima lieta di se stessa. Questa letizia di sé nei corpi e nelle anime chiama se stessa: ‘virtù’.

Con le sue parole ‘buono e cattivo’, una tale letizia di sé ripara se stessa come con sacri boschetti; coi nomi della sua felicità, essa bandisce da sé ogni cosa spregevole.

Via da sé essa bandisce ogni cosa vile; essa dice: cattivo - “questo”

é vile! Spregevole le sembra colui che sta continuamente a preoccuparsi, a sospirare, a lamentarsi e anche colui che raccoglie i piccoli vantaggi.

Essa disprezza anche ogni lacrimosa saggezza: perché, davvero, vi é anche una saggezza che fiorisce al buio, la saggezza delle ombre notturne: la quale non fa che sospirare: - Tutto é vano! - (194).

La diffidenza pavida é per una tale letizia qualcosa di meschino, come pure chiunque voglia giuramenti invece di sguardi e di mani: anche ogni saggezza troppo diffidente, - perché questa é la specie delle anime vili.

Ancora più meschino é per lei colui che si affretta a compiacere come un cane, che subito giace supino, per umiltà; e vi é anche una saggezza, che é umile e canina e devota e rapida a compiacere.

Odioso poi e schifoso é per essa colui che mai si vuole difendere, chi inghiotte sputi velenosi e sguardi cattivi, essendo un troppo paziente, uno che tollera tutto e di tutto si appaga: questa infatti é la specie servile.

Che uno sia servile davanti a déi oppure alle pedate di un dio, che lo sia davanti agli uomini o davanti a stupide opinioni umane: su “tutta quanta” la specie servile sputa questo egoismo beato!

Cattivo: così esso chiama tutto quanto é accasciato e si affloscia servilmente, gli occhi che ammiccano impacciati, i cuori oppressi, e quella falsa specie indulgente che bacia con labbra spalancate e vili.

E pseudosaggezza: così esso chiama l’arguzia insipida dei servi e dei vecchi e dei fiacchi; ma specialmente tutta quanta la scellerata follia dei preti, farneticante di invenzioni!

Gli pseudosaggi, poi, tutti questi preti e uomini stanchi del mondo, la cui anima é di specie femminea e servile, - quanti brutti tiri ha sempre giocato il loro giuoco all’egoismo!

E proprio questo doveva essere virtù e chiamarsi virtù, giocare brutti tiri all’egoismo! E ‘senza io’, altruisti - questo desideravano d’essere essi stessi e con buone ragioni, questi vigliacchi stanchi del mondo, questi ragni con la croce sul dorso!

Ma per tutti quanti costoro verrà il giorno, la trasformazione, la spada del giudizio, “il grande meriggio”: allora molte cose diverranno manifeste! (195).

E colui che chiama sano e santo l’io e beato l’egoismo, in verità egli dirà anche ciò che sa, come un profeta: - “Ecco che viene, é vicino, il grande meriggio!” -

Così parlò Zarathustra.

DELLO SPIRITO DI GRAVITA’.

1.

La mia bocca - é del popolo: io parlo troppo rude e sincero per coniglietti dal serico pelo. E ancor più estranea suona la mia parola alle seppie imbrattacarte.

La mia mano - é la mano di un folle: guai ai tavoli e alle pareti e a tutte le cose che hanno posto per arabeschi di un folle, per scarabocchi di un folle!

Il mio piede - é un piede equino; con esso scalpito e trotto su per siepi e macigni, in lungo e largo per le praterie, e il correr lesto mi procura un piacere del diavolo.

Il mio stomaco - é uno stomaco d’aquila? Esso infatti ama più di ogni altra cosa carne d’agnello (196). Di sicuro é lo stomaco di un uccello.

Nutrito di cose innocenti, con poco, sempre pronto e impaziente di volare, di volar via - questa é la mia specie: come potrebbe non esservi qualcosa degli uccelli!

Tanto più che io sono nemico dello spirito di gravità, come lo sono gli uccelli: e ne sono nemico mortale, arcinemico, nemico da sempre! A quanti voli errabondi già non si é abbandonata la mia inimicizia!

Tutto questo io lo so già per prova, da cantarne una canzone - - che

“voglio” cantare: anche se sono solo nella casa vuota e devo cantarla per le mie sole orecchie.

Certo vi sono altri cantanti, ai quali solo un teatro pieno rende l’ugola tenera, la mano eloquente, l’occhio espressivo, il cuore desto: - io non somiglio a costoro.

2.

Colui che un giorno insegnerà il volo agli uomini, avrà spostato tutte le pietre di confine; esse tutte voleranno in aria per lui, ed egli darà un nuovo nome alla terra, battezzandola - ‘la leggera’.

Lo struzzo corre più veloce del più veloce dei cavalli, ma anche lui ficca ancora pesantemente la testa nella terra pesante: così pure l’uomo, che ancora non sa volare.

Pesante é per lui la terra e la vita; e così vuole che sia lo spirito di gravità! Ma chi vuol divenire leggero e un uccello, non può non amare se stesso: - questo é il mio insegnamento.

Certo, non dell’amore di infermi corrosi dal male: giacché presso costoro anche l’amore di sé emana cattivo odore!

Bisogna imparare ad amare se stessi - questa é la mia dottrina - di un amore sano e salutare: tanto da sopportare di rimanere presso se stessi e non andare vagando in giro.

Questo vagolare si battezza col nome di ‘amore del prossimo’: con questa parola finora sono state dette le maggiori menzogne e commesse le peggiori ipocrisie, e specialmente da parte di coloro che riuscivano pesanti al mondo tutto. E, in verità, quello di “imparare”

ad amare se stessi non é un comandamento per oggi e domani.