Piuttosto é questa, di tutte le arti, la più sottile, ingegnosa, lontana e paziente.

Ciò che uno ha é, proprio per chi lo ha, molto ben nascosto; e tra tutte le miniere la propria é quella che viene scavata per ultima, - e questo é opera dello spirito di gravità.

Quasi ancora nella culla ci vengono date queste pesanti parole e valori: ‘bene’ e ‘male’ - così si chiama la dote che ci é assegnata.

Grazie ad essa ci vien perdonato di vivere. E si lasciano i bambini venire a sé (197) per vietare loro in tempo di amare se stessi: questo é opera dello spirito di gravità.

E noi - noi ci trasciniamo dietro, obbedienti, sulle spalle incallite e su per montagne impervie, ciò che ci é stato assegnato! E, se ci inzuppiamo di sudore, allora ci dicono: - Eh già, la vita é un grave fardello! - .

Invece é l’uomo che é per se stesso un grave fardello! E questo perché si trascina dietro sulle spalle troppe cose estranee. Simile al cammello, egli piega le ginocchia e si lascia caricare ben bene.

Specialmente l’uomo robusto e paziente, nel quale abita la venerazione: troppe parole e valori “estranei” e grevi ha caricato su di sé, - e ora la vita gli sembra un deserto! (198).

E in verità! Anche certe cose che sono “sue proprie” sono un grave fardello! E molto di ciò che risiede nell’intimo dell’uomo é simile all’ostrica: nauseante e viscido e difficilmente afferrabile -,

- tanto che é necessario un nobile guscio con nobile ornato per scusarlo. Ma anche quest’arte bisogna imparare: avere un guscio e una bella parvenza e una cecità intelligente! (199).

D’altra parte, la meschinità, la tristizia del guscio, il suo essere troppo guscio inganna su molte cose dell’uomo. Molta bontà e forza nascoste non vengono mai indovinate; i bocconi più prelibati non trovano chi li sappia gustare!

Le donne lo sanno, loro che sono il boccone più prelibato: un po’ più grasse, un po’ più magre - così poco basta a decidere la sorte!

L’uomo é difficile da scoprire, ed egli é per se stesso la più difficile delle scoperte; spesso lo spirito mente a proposito dell’anima. Anche questo é opera dello spirito di gravità.

Ma ha scoperto se stesso, colui che dice: questo é il “mio” bene e male: in questo modo ha fatto tacere il nano che scava come una talpa e dice: - buono per tutti, cattivo per tutti - .

In verità, io non posso soffrire nemmeno coloro per i quali ogni cosa é buona e questo é addirittura il migliore dei mondi. Io chiamo costoro i contenti di tutto.

L’essere contenti di tutto, in modo da avere gusto per tutte le cose: non é il migliore dei gusti! Io onoro le lingue e gli stomaci ritrosi e schifiltosi, che hanno imparato a dire ‘io’ e ‘sì’ e ‘no’.

Ma masticare e digerire tutto - questo é davvero da maiali! Dire sempre di ‘sì’ - questo solo l’asino l’ha imparato, e chi ha uno spirito come il suo!

Il giallo profondo e l’ardente rosso: così vuole il “mio” gusto, - a tutti i colori esso mescola il sangue. Ma chi dà il bianco alla sua casa, mi tradisce un’anima imbiancata (200).

Gli uni innamorati di mummie, gli altri di spettri; ambedue nemici in eguale misura di tutto quanto sia carne e sangue - oh, come sono ambedue contrari al mio gusto! Io, infatti, amo il sangue.

E io non voglio abitare e soggiornare là, dove ognuno sbava e sputa: questo é proprio il “mio” gusto, - preferirei piuttosto vivere tra ladri e spergiuri. Nessuno porta l’oro in bocca (201).

Ma ancor più ripugnanti mi sono tutti i leccapiatti; e la bestia più ripugnante che io mai abbia trovata, io l’ho battezzata parassita: non voleva amare, pur volendo vivere d’amore.

Disgraziati io dico tutti coloro che non hanno se non una scelta: diventare bestie malvagie o cattivi domatori: presso costoro io non alzerei le mie tende (202).

Disgraziati io dico anche coloro che debbono sempre “aspettare”, -

sono contrari al mio gusto tutti questi pubblicani e mercantucoli e re e altrettali custodi di paesi e di negozi.

In verità, anche io ho imparato a fondo l’arte di attendere, - ma soltanto di attendere “me stesso”. E sopra ogni altra cosa ho imparato a stare e andare e camminare e saltare e arrampicarmi e danzare.

Ma questa é la mia dottrina: chi vuole imparare un giorno a volare, deve prima di tutto imparare a stare e andare e camminare e arrampicarsi e danzare: - il volo non s’impara a volo!

Io ho imparato ad arrampicarmi con scale di corda fino a più di una finestra, a gamba lesta mi sono inerpicato su per alti alberi di nave: star seduto sugli alberi alti della nave della conoscenza, mi parve non piccola beatitudine, -

- palpitare come le fiammelle su alti alberi di nave: una piccola luce, é vero, purtuttavia un grande conforto per naviganti e naufraghi sperduti! (203) -

Per vie di molte specie e in molti modi, sono giunto alla mia verità; non fu una sola scala, quella su cui salii per giungere alla vetta, dove il mio occhio dilaga nelle mie remote lontananze.

E solo malvolentieri ho sempre chiesto le strade, - ciò é sempre stato contrario al mio gusto! Preferivo interrogare e tentare le strade da solo.