Verso l’alto: - sebbene fosse seduto su di me, metà nano; metà talpa; storpio; storpiante; gocciante piombo nel cavo del mio orecchio, pensieri-gocce-di-piombo nel mio cervello.
- O Zarathustra, sussurrava beffardamente sillabando le parole, tu, pietra filosofale! Hai scagliato te stesso in alto, ma qualsiasi pietra scagliata deve - cadere!
O Zarathustra, pietra filosofale, pietra lanciata da fionda, tu che frantumi le stelle! Hai scagliato te stesso così in alto, - ma ogni pietra scagliata deve cadere!
Condannato a te stesso, alla lapidazione di te stesso: o Zarathustra, é vero: tu scagliasti la pietra lontano, - ma essa ricadrà su di
“te”! - .
Qui il nano tacque; e ciò durò a lungo. Il suo tacere però mi opprimeva; e l’essere in due in questo modo é, in verità, più solitudine che l’essere solo!
Salivo, - salivo, - sognavo, - pensavo: ma tutto mi opprimeva. Ero come un malato: stremato dal suo tormento atroce, sta per dormire, ma un sogno, più atroce ancora, lo ridesta.
Ma c’é qualcosa che io chiamo coraggio: questo finora ha sempre ammazzato per me ogni scoramento. Questo coraggio mi impose alfine di fermarmi e dire: - Nano! O tu! O io! -
Coraggio é infatti la mazza più micidiale, - coraggio che “assalti”: in ogni assalto infatti é squilla di fanfare.
Ma l’uomo é l’animale più coraggioso: perciò egli ha superato tutti gli altri animali. Allo squillar di fanfare egli ha superato anche tutte le sofferenze; la sofferenza dell’uomo é, però, la più profonda di tutte le sofferenze.
Il coraggio ammazza anche la vertigine in prossimità degli abissi: e dove mai l’uomo non si trova vicino ad abissi! Non é la vista già di per sé un - vedere abissi?
Coraggio é la mazza più micidiale: il coraggio ammazza anche la compassione. Ma la compassione é l’abisso più fondo: quanto l’uomo affonda la sua vista nella vita, altrettanto l’affonda nel dolore.
Coraggio é però la mazza più micidiale, coraggio che assalti: esso ammazza anche la morte, perché dice: - “Questo” fu la vita? Orsù! Da capo!”.
Ma in queste parole sono molte squillanti fanfare. Chi ha orecchi intenda (149).
2.
- Alt, nano! dissi. O io’ O tu! Ma di noi due il più forte son io -: tu non conosci il mio pensiero abissale! “Questo” - tu non potresti sopportarlo! - . -
Qui avvenne qualcosa che mi rese più leggero: il nano infatti mi saltò giù dalle spalle, incuriosito! Si accoccolò davanti a me, su di un sasso. Ma, proprio dove ci eravamo fermati, era una porta carraia.
- Guarda questa porta carraia! Nano! continuai: essa ha due volti. Due sentieri convengono qui: nessuno li ha mai percorsi fino alla fine.
Questa lunga via fino alla porta e all’indietro: dura un’eternità. E
quella lunga via fuori della porta e in avanti é un’altra eternità.
Si contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa l’un contro l’altro: e qui, a questa porta carraia, essi convengono. In alto sta scritto il nome della porta: ‘attimo’.
Ma, chi ne percorresse uno dei due - sempre più avanti e sempre più lontano: credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eterno? - . -
- Tutte le cose diritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità é ricurva, il tempo stesso é un circolo - .
- Tu, spirito di gravità! dissi io incollerito, non prendere la cosa troppo alla leggera! O ti lascio accovacciato dove ti trovi, sciancato
- e sono io che ti ho portato “in alto”!
Guarda, continuai, questo attimo! Da questa porta carraia che si chiama attimo, comincia “all’indietro” una via lunga, eterna: dietro di noi é un’eternità.
Ognuna delle cose che “possono” camminare, non dovrà forse avere già percorso una volta questa via? Non dovrà ognuna delle cose che
“possono” accadere, già essere accaduta, fatta, trascorsa una volta?
E se tutto é già esistito: che pensi, o nano, di questo attimo? Non deve anche questa porta carraia - esserci già stata?
E tutte le cose non sono forse annodate saldamente l’una all’altra, in modo tale che questo attimo trae dietro di sé tutte le cose avvenire?
“Dunque” - - anche se stesso?
Infatti, ognuna delle cose che “possono” camminare: anche in questa lunga via “al di fuori” - deve camminare ancora una volta!
E questo ragno che indugia strisciando al chiaro di luna, e persino questo chiaro di luna e io e tu bisbiglianti a questa porta, di cose eterne bisbiglianti - non dobbiamo tutti esserci stati un’altra volta?
(150).
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