Or ora é cominciata l’ultima mia solitudine.

Ah, il mare nero e mesto sotto di me! Ah, la gravida irrequietezza della notte! Ah, destino e mare! A voi ora devo discendere, “in basso”!

Il monte dalla cima più alta e la più lunga delle mie peregrinazioni mi attendono: per questo debbo, prima ancora, discendere più in basso di quanto non sia mai disceso:

- più a fondo nel dolore di quanto non sia mai disceso, fin dentro il suo flutto più nero! Così vuole il mio destino: orsù! Io sono pronto!

Donde vengono le montagne più alte? chiedevo in passato. E allora imparai che esse vengono dal mare.

Questa testimonianza sta scritta nelle loro rocce e nelle pareti delle loro cime. Dall’abisso più fondo, la vetta più alta deve giungere alla sua altezza.

Così parlò Zarathustra sulla cima del monte, dov’era freddo; ma quando fu giunto in vicinanza del mare e alla fine si trovò solo in mezzo agli scogli, il cammino fatto l’aveva reso stanco e ancor più melanconico di prima.

Tutto dorme ora, disse; anche il mare dorme. Ebbro di sonno e straniato, il suo occhio si posa su di me. Ma il suo respiro é caldo, lo sento. E sento anche che il mare sogna. E sognando si gira e rigira su cuscini scabri.

Ascolta! Come sospira per ricordi cattivi! O per cattive attese?

Ah, con te divido la mestizia, mostro tenebroso, e per tua colpa sono in collera con me stesso.

Ah, perché la mia mano non ha forza abbastanza! Davvero ti libererei volentieri dai tuoi sogni cattivi! -

E nel dire queste cose, Zarathustra prese a ridere di se stesso con amara melanconia: - Ma, come, Zarathustra! vuoi metterti anche a consolare il mare con il tuo canto?

Ah, Zarathustra, folle ricco d’amore, ebbro di confidenza! Ma tu sei sempre stato così; sempre ti sei avvicinato con fiducia a tutte le cose paurose.

Non c’é mostro che non ti sia venuta la voglia di accarezzare. Un soffio di caldo respiro, un po’ di morbido vello sugli artigli -: e subito eri pronto ad amare e ad attirare a te.

L‘“amore” é il pericolo per il più solo tra gli uomini, l’amore verso qualsiasi cosa, “purché vivente”! La mia follia e la mia modestia in amore sono davvero risibili! - . -

Così parlò Zarathustra e rise una seconda volta: ma qui gli vennero in mente gli amici abbandonati -, e quasi avesse loro fatto torto coi suoi pensieri, si incollerì per questi suoi pensieri. E subito dopo accadde che colui che aveva riso si mettesse a piangere: - di collera e di nostalgia, piangeva amaramente (147) Zarathustra.

LA VISIONE E L’ENIGMA.

1.

Quando tra i marinai si diffuse la voce che Zarathustra era sulla nave

- con lui infatti era salito a bordo un uomo che veniva dalle isole Beate - nacque grande curiosità e attesa. Ma Zarathustra tacque per due giorni, freddo e sordo di melanconia, sì da non rispondere né agli sguardi né alle domande. Alla sera del secondo giorno, però, egli riaprì le sue orecchie, sebbene tacesse ancora: si potevano infatti udire molte cose insolite e pericolose su questa nave, che veniva da lontano e andava ancor più lontano. Zarathustra, a sua volta, era un amico di tutti quelli che fanno lunghi viaggi e a cui non piace vivere senza pericolo. Ed ecco che, a forza di ascoltare, gli si sciolse la lingua e si ruppe il ghiaccio intorno al suo cuore - allora cominciò a parlare così:

A voi, temerari della ricerca e del tentativo, e a chiunque si sia mai imbarcato con ingegnose vele su mari terribili, -

a voi, ebbri di enigmi e lieti alla luce del crepuscolo, a voi, le cui anime suoni di flauto inducono a perdersi in baratri labirintici:

- giacché voi non volete con mano codarda seguir tentoni un filo (148); e dove siete in grado di “indovinare” vi é in odio il “dedurre”

-

a voi soli racconterò l’enigma che io “vidi”, - la visione del più solitario tra gli uomini.

Cupamente andavo, or non é molto, nel crepuscolo livido di morte, -

cupo, duro, le labbra serrate. Non soltanto un sole mi era tramontato.

Un sentiero, in salita dispettosa tra sfasciume di pietre, maligno, solitario, cui non si addicevano più né erbe né cespugli: un sentiero di montagna digrignava sotto il dispetto del mio piede.

Muto, incedendo sul ghignante crepitio della ghiaia, calpestando il pietrisco, che lo faceva sdrucciolare: così il mio piede si faceva strada verso l’alto.

Verso l’alto: - a dispetto dello spirito che lo traeva in basso, in basso verso abissi, lo spirito di gravità, il mio demonio e nemico capitale.