Così prevengono ognuno, facendogli del bene. Ma questa é “viltà”: sebbene si chiami ‘virtù’. -
E se si decidono a parlare ruvidamente, queste persone piccole: io non riesco a percepire nel loro parlare se non la loro raucedine, - basta infatti una qualsiasi corrente d’aria a renderli rauchi.
Essi sono intelligenti, le loro virtù hanno dita svelte. Ma gli mancano i pugni, le loro dita non sanno nascondersi dietro i pugni.
Virtù é per loro ciò che rende modesti e mansueti: a questo modo trasformarono il lupo in cane, e l’uomo stesso nel migliore animale domestico dell’uomo.
- La sedia nostra noi la mettiamo al “centro” - questo mi dice il loro sorriso compiaciuto - equidistante da gladiatori morenti e da giocondi maiali - . Ma questa é - “mediocrità”: sebbene si chiami moderazione. -
3.
Io passo in mezzo a questa gente e lascio cadere qualche parola: ma essi né sanno prendere né trattenere.
Si meravigliano ch’io non sia venuto (164) a imprecare contro i piaceri e i vizi; e, invero, io non sono neppure venuto a mettere in guardia contro i borsaioli!
Si meravigliano ch’io non sia disposto a rendere più arguta e acuta la loro intelligenza: come se non avessero ancora abbastanza persone scaltre in mezzo a loro, la cui voce graffia ai miei orecchi come il gesso sulla lavagna!
E se io grido: - Maledite tutti i vili demoni dentro di voi, che vorrebbero guaiolare e giungere le mani e adorare - : essi allora gridano: - Zarathustra é senza Dio - (165)..
E specialmente lo gridano i loro maestri di rassegnazione -; ma proprio a costoro mi piace gridare negli orecchi: Sì! Io “sono”
Zarathustra, il senza Dio!
Questi maestri di rassegnazione! Essi si insinuano come pidocchi dovunque é meschinità e malattia e rogna: e solo il mio schifo mi impedisce di schiacciarli.
Orsù! Questa é la mia predica per i “loro” orecchi: io sono Zarathustra il senza Dio, che dice: - chi é più di me senza Dio, onde io possa godere dei suoi insegnamenti? - .
Io sono Zarathustra, il senza Dio: dove troverò i miei pari? E tutti coloro sono miei pari, i quali dànno a se stessi la loro volontà (166) e respingono ogni rassegnazione.
Io sono Zarathustra, il senza Dio: io riesco a cuocere nella mia pentola qualunque casualità. E solo quando sia cotta a puntino, io le do il benvenuto, in quanto “mia” vivanda.
E, in verità, molte casualità vennero a me con aria imperiosa: ma ancor più imperiosamente parlò loro la mia “volontà”, - ed ecco che la casualità si inginocchiava implorante -
- implorando per trovare asilo e un cuore in me, e dicendo suadenti lusinghe: - guarda, dunque, Zarathustra, così può venire solo un amico al suo amico! - . -
Ma a che parlo, quando nessuno ha i “miei” orecchi! E perciò voglio proclamarlo, gridando ai quattro venti:
Voi state diventando sempre più piccoli, voi gente piccola! Voi state andando in bricioli, voi che vivete comodi! Voi finirete per andare in rovina -
- per le vostre virtù piccole, per le vostre numerose meschine omissioni, per le vostre molte rassegnazioni meschine!
Troppo riguardoso, troppo condiscendente: così é il vostro terreno!
Ma, per diventare “grande”, un albero vuol gettare le sue radici dure attorno a dure rupi!
Anche ciò che voi omettete, tesse alla tela di tutto il futuro degli uomini; anche il vostro nulla é una ragnatela e un ragno che vive del sangue del futuro.
E quando voi prendete, questo é come rubare, voi, piccoli virtuosi; ma perfino in mezzo ai furfanti il linguaggio dell‘“onore” é: - si deve rubare solo là dove depredare é impossibile - .
‘Si dà’ - questa é anche la dottrina della rassegnazione. Ma io vi dico, o comodi: si “prende”, e prenderà sempre di più, a voi!
Ah, se vi liberaste da ogni volere “a metà” e diventaste decisi alla pigrizia come all’azione!
Ah, se capiste la mia “parola”: - fate pure ciò che volete, - ma siate prima di tutto di quelli che “sanno volere”! - .
- Amate pure il vostro prossimo come voi stessi (167), - ma siate prima di tutto di quelli che “amano se stessi” -
- amano di grande amore e, di disprezzo grande, amano! - .
Così parla Zarathustra, il senza Dio. -
Ma a che parlo, quando nessuno ha i “miei” orecchi! Per me il tempo é qui un’ora indietro.
In mezzo a questa gente io sono il precursore di me stesso, il mio stesso canto del gallo per vicoli bui.
Ma la “loro” ora verrà! E anche la mia verrà! Di ora in ora essi diventano più piccoli, più poveri, più infecondi, - povera erba!
povero terreno!
E “presto” staranno là com’erba e stoppie risecchite (168), davvero!
stanchi di se stessi e, più ancora che all’acqua, anelanti al “fuoco”!
Oh, ora benedetta del fulmine! Oh, segreto del primo meriggio! - Un giorno li trasformerò in fuochi contagiosi e in araldi dalle lingue di fuoco: -
- un giorno essi dovranno annunciare con lingue di fuoco: ei viene, egli é vicino, “il grande meriggio”!
Così parlò Zarathustra.
SUL MONTE DEGLI OLIVI (169).
L’inverno, un ospite ingrato, mi siede accanto, in casa; le mie mani son bluastre per la stretta di mano della sua amicizia.
Io lo onoro, questo ospite ingrato, ma volentieri lo lascio seduto solo. Volentieri io me ne vado via; e, se si corre bene, gli si può sfuggire!
Con piedi caldi e caldi pensieri io corro là, dove il vento si ferma,
- nell’angolo di sole sul mio monte degli olivi.
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