«Oh che nero! Oh che inferno!» gridava il dottor Grigiolo. «Venga da questa parte, contessa, se vuol vedere!»
Un furioso colpo di vento irruppe dalla porta che mette in loggia, buttò le cortine all’aria, soffiò via giornali e carte, stridendo, dalle quattro cantoniere intorno al biliardo. Mentre Perlotti correva a chiudere, l’arciprete scappò fuori in furia.
«Arciprete, arciprete?» gridò Perlotti, passando la testa fra i due battenti. «È matto?»
«Mi cercheranno per benedire il tempo» rispose il prete con le mani al cappello e le falde dell’abito al vento.
Il temporale, venuto su dietro le montagne di ponente, aveva girato a mezzogiorno. Turchino cupo sopra le creste cineree del Rumano, minacciava lo scuro piede selvoso del monte, le povere case sparsevi, le praterie distese davanti alla villa Carrè, falciate di recente, dorate da un chiarore sinistro.
La contessa Tarquinia, il Perlotti, il barone di Santa Giulia, le signore, Grigiolo e i suoi amici erano tutti là nel braccio della crociera che guarda mezzogiorno.
«Tempo brutto» disse il dottor Picuti, notaio del paese.
«San Giovanni e San Pietro» osservò un altro «gran mercanti di grandine.»
Il conte Perlotti espresse, con grazia, il timore che quel povero arciprete non potesse arrivare a casa in tempo.
«Guardo il frumento, io» esclamò il grosso signor Checco Zirisèla che aveva il più bel podere della vallata e non andava a messa.
«Già! u frumento?» disse il barone.
«E l’uva, cazza! L’uva!» sussurrò la signora Zirisèla.
I preti non si erano mossi dal loro salotto, strepitavano peggio di prima, quasi per soverchiar la voce dei tuoni e del vento che ruggiva rabbioso intorno ai canti della casa, sbatteva, al secondo piano, usci ed imposte, schiacciava a terra le vegellie, i philadelphus frenetici del giardino.
Neppure la baronessa Elena, rimasta sola, parea commuoversi del temporale. Abbandonata la persona sulla spalliera del canapè, teneva il viso un po’ chino al petto e le braccia strette alla vita sottile, come se avesse freddo. Gli occhi grandi, neri, guardavan le vette dei giovani abeti del giardino, agitate senza posa; parevano, nella vitrea e grave immobilità loro, vedere tra quelle vette, nel cielo oscuro, qualche fantasma, qualche solenne parola di tristezza invisibile altrui. Improvvisamente una furia obliqua di piova strepitò sui vetri, sulla mura, nascose il cielo, le montagne e gli abeti, mise un baglior bianco a tutte le porte e le finestre della sala ombrosa.
S’udì la contessa Tarquinia dir forte:
«Daniele ha preso radice di sopra. Se permettono vado un momento a vedere cosa succede.»
Ella si accostò a sua figlia, le disse piano e lamentevolmente:
«Ti prego, sai, Elena, mi lasci proprio sempre sola, non mi aiuti niente. Perché tuo marito non ci soffre, anche!»
La baronessa alzò appena la testa, e rispose senza guardar sua madre:
«Mio marito non mi abbada.»
Ella aveva una voce un po’ grave ma dolcissima, un accento d’indifferenza molle, come di chi riposa ne’ propri pensieri e, richiamatone un momento, risponde distratto, a fior di labbro, per non guastarne la trama, per riposarvisi ancora.
«Giusto quello!» disse la contessa.
«Oh che contrattempo, Elena! C’è qui la mamma!» esclamò l’amabile Perlotti, comparendo alle spalle di quest’ultima. «Io che venivo a farvi la corte!»
La giovane signora alzò gli occhi al cielo.
«Va là, Elena, va là» insisteva sua madre.
«Poveretta, la si secca, e che torto!» osservò Perlotti carezzevole, quasi flebile.
«C’è bene Sofia di là» disse la baronessa.
«Mia moglie? Sì, ma non è mica padrona di casa, lei.»
«Neppur io.»
Con questa risposta data un po’ sdegnosamente, la baronessa Elena si alzò, e andò a raggiungere gli ospiti.
«Ho paura, cara Tarquinia, che vi tocchi alloggiarli tutti qui stanotte» disse Perlotti all’orecchio della contessa, appoggiando leggermente le mani alle braccia di lei, bella donna ancora e molto elegante.
«Signore, non ci mancherebbe altro! Mi sono tutti tanto cari, ma vengono un paio di volte alla stagione, e signor sì che hanno da capitare stasera!»
«Me mi metterete con quella biondina, quella Zireseta, Ziresèla, cos’è, quella biondina piccolina.»
«Scempio!» disse la contessa, voltando il viso ridente.
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