C’è una legge, Issione.
Issione: Quale legge?
La Nube: Già lo sai. La tua sorte, il limite…
Issione: La mia sorte l’ho in pugno, Nefele. Che cosa è mutato?
Questi nuovi padroni posson forse impedirmi di scagliare un macigno per gioco? o di scendere nella pianura e spezzare la schiena a un nemico? Saranno loro più terribili della stanchezza e della morte?
La Nube: Non è questo, Issione. Tutto ciò lo puoi fare e altro ancora. Ma non puoi più mischiarti a noialtre, le ninfe delle polle e dei monti, alle figlie del vento, alle dee della terra. E’ mutato il destino.
Issione: Non puoi più… Che vuol dire, Nefele?
La Nube: Vuol dire che, volendo far questo, faresti invece delle cose terribili. Come chi, per carezzare un compagno, lo strozzasse o ne venisse strozzato.
Issione: Non capisco. Non verrai più sulla montagna? Hai paura di me?
La Nube: Verrò sulla montagna e dovunque. Tu non puoi farmi nulla, Issione. Non puoi far nulla contro l’acqua e contro il vento. Ma devi chinare la testa. Solamente così salverai la tua sorte.
Issione: Tu hai paura, Nefele.
La Nube: Ho paura. Ho veduto le cime dei monti. Ma non per me, Issione. Io non posso patire. Ho paura per voi che non siete che uomini. Questi monti che un tempo correvate da padroni, queste creature nostre e tue generate in libertà, ora tremano a un cenno.
Siamo tutti asserviti a una mano più forte. I figli dell’acqua e del vento, i centauri, si nascondono in fondo alle forre. Sanno di essere mostri.
Issione: Chi lo dice?
La Nube: Non sfidare la mano, Issione. E’ la sorte. Ne ho veduti di audaci più di loro e di te precipitare dalla rupe e non morire.
Capiscimi, Issione. La morte, ch’era il vostro coraggio, può esservi tolta come un bene.
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