Don Giovanni in Sicilia

Vitaliano Brancati

DON GIOVANNI IN SICILIA

 

Fabbri, Bompiani, Sonzogno, Etas

1943 - Milano

 

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1.

Giovanni Percolla aveva quarant’anni, e viveva da dieci anni in compagnia di tre sorelle, la più giovane delle quali diceva di esser “vedova di guerra”. Non si sa come, nel momento in cui pronunciava questa frase, ella si trovava con una matita e un foglio in mano, e subito si poneva a scrivere dei numeri, accompagnandosi con queste parole:

“Quando io ero in età da marito, scoppiò la grande guerra. Ci furono seicentomila morti e trecentomila invalidi. Alle ragazze di quel tempo, venne a mancare un milione di probabilità per sposarsi. Eh, un milione è un milione! Non credo di ragionare da folle se penso che uno di quei morti avrebbe potuto essere mio marito!”

“Giusto!” diceva l’altra sorella. “Giusto! Eri molto graziosa al tempo della guerra!”

Si chiamavano Rosa, Barbara e Lucia, e si amavano teneramente, sino al punto che ciascuna, incapace dì pensare la più piccola bugia per sé, mentiva volentieri per far piacere all’altra.

“Eh, tu, Rosa, saresti ora moglie di un colonnello!” ripeteva Barbara. E questo perché, una sera del ’15, rincasando tutt’e tre per una stradetta buia, pare che fossero seguite da una figura alta che mandava un suono di speroni e di sciabola.

“No, il capitano andava per i fatti suoi!” si schermiva Rosa.

“Amor mio,” incalzava Barbara, “quando si va per i fatti propri, non si dice ‘Signorina, domani parto, posso mandarvi una lettera?’”

“Ma forse lo diceva a te!” “No, no, no; no, no, no!” “Lo avrà detto a Lucia!”

“Figlia di Dio!” esclamava Lucia, “Barbara forse non lo ricorda, perché entrò con te nel portoncino, ma io, che mi fermai per raccattare la chiave, sentii distintamente come un sospiro che diceva ‘Signorina Rosa!’

“Può darsi, può darsi!… Dio mio, quanta gente non ritornò, di quelli che facevano chiasso nei caffè e guardavano in su, passando sotto i balconi!”

Questi discorsi non si tenevano mai alla presenza di Giovanni. Quand’egli varcava la soglia dell’edificio, la portinaia scuoteva il campanello della finestra e annunciava: “Il signore sale per le scale!” La cameriera si trascinava alla porta, gridando dietro di sé: “Il signorino Giovanni!” e le tre sorelle si mettevano a correre da tutte le parti con un rumore di piatti smossi, imposte sbattute, zolfanelli strofinati e cassettoni richiusi.

“Sei sudato?” domandava Barbara, stendendo davanti a sé una maglia dalle maniche lunghe.

“Mah, forse!” diceva lui e, postosi la maglia sotto l’ascella, sinistra, andava a chiudersi nella propria camera. Mezz’ora dopo, veniva a tavola, e trovava le sorelle già sedute, con gli occhi alla porta, dalla quale egli doveva apparire, e il cucchiaio ancora asciutto nella mano destra. Durante il pranzo, scambiavano poche parole, ma tutte cortesi. Le tre donne non erano mai riuscite a liberarsi da una sorta di soggezione nei riguardi di lui: il fatto ch’egli parlava poco, che non si lamentava mai di nulla e trovava tutto buono, grazioso, non c’è che dire, e portava puntualmente due mila lire alla fine del mese, e somigliava tanto a papà del ritratto grande e a nonno della statuina a colori, come diceva Barbara, e infine, rincasando a tarda notte, camminava in Punta di piedi per non svegliarle, metteva nelle tre donne un senso di tale rispetto, per cui nessuna di loro avrebbe osato, alla presenza di lui, parlare del capitano del ’15, e comunque di matrimoni. A questo si aggiunga che non avevano mai cenato insieme al fratello: perché egli rincasava nel cuore della notte, e, con lo stesso silenzio e cautela che aveva usato nel percorrere il corridoio, liberava dalle salviette, in cui erano annodati, le uova sode e i piatti chiusi, e faceva sparire piano piano tutto quanto le donne avevano preparato fra l’“Ave Maria” e il primo rumore delle vetture che si recavano al teatro vicino. Quest’abitudine di non vederlo a cena era così forte che una notte Lucia, essendosi svegliata per dei crampi allo stomaco, attese un’ora nel corridoio, dietro la porta chiusa, ch’egli terminasse di mangiare e uscisse dalla sala da pranzo, in un armadietto della quale era conservata la boccetta col bicarbonato.

Qualche volta Barbara aveva tentato di penetrare, con una domanda, nella vita di lavoro del fratello: “Giovannino, viene molta gente al negozio?” Egli si passava un dito sull’orlo dell’occhio, apriva la bocca e, in mezzo a uno sbadiglio, diceva: “Eh!”

Questo aumentava il rispetto per la vita che egli conduceva fuori del loro sguardo; e l’enorme fosso, ch’egli scavava nel letto il pomeriggio, veniva colmato da tutt’e tre le sorelle, spiumacciando, insieme, la lana, e sollevando in piedi il materasso, con un fervore quasi religioso. Era la traccia del riposo di un lavoratore, altrettanto tenace e pesante come doveva essere quella del suo lavoro.

La mattina, si limitavano a camminare nella sala da pranzo, ch’era il punto della casa più lontano dalla camera di lui, e non ardivano spingere nemmeno un passo fuori di quello spazio, per timore che uno scricchiolio di scarpine andasse a svegliarlo prima delle nove e mezzo. Quand’egli appariva sbadigliando, i suoi capelli arruffati e il suo occhio buono, che non trovava mai qualcosa di sgradevole sulla tavola già imbandita, segnavano, nel cuore delle sorelle, il momento del massimo rispetto per lui.

Giovanni si sarebbe lamentato unicamente se nella catinella di coccio avesse trovato un’acqua che non bruciava la pelle. Anche d’estate, egli accecava lo specchio, nel quale si guardava asciugandosi, col fumo che mandava dalle guance e dalle spalle. “L’acqua calda riscalda in gennaio e rinfresca in luglio!” diceva. Alle dieci, era già sulla scala, e mandava dalla porta il solito saluto: “Vado a lavorare!” Questa frase, culminante nel verbo lavorare, rimaneva nella tromba semibuia della scala, e pareva aspettarlo sino a quando egli rincasava…

Eppure, la vita di quest’uomo era dominata dal pensiero della donna! Quando, nella valle di Josafat, le tre sorelle sapranno che cosa pensava Giovanni nelle lunghe ore del pomeriggio, di che parlava con gli amici, come il suo lavoro al negozio si riducesse ad aiutare con gli occhi quello che facevano lo zio e i cugini, le povere donne rivolgeranno lo sguardo a Dio come le alunne al professore che si è degnato di far loro una burla. Ma come, Giovanni? Il serio, il buono, il rispettabile Giovanni?

Ebbene, sì! La testa di Giovanni era piena della parola donna (e di quali altre parole, Dio mio!). Narriamo brevemente la sua vita, sia pure col rischio che i lettori dicano: “Ma di quale altro Giovanni ci parlate?”

Giovannino nacque un giorno più tardi di quando doveva nascere. Per ventiquattr’ore, gli sguardi, che i parenti mandavano al grembo della madre (la quale aveva sedici anni, e, la notte, si spaventava talmente dei ladri che il marito doveva tenerle la mano nella sua, sebbene talvolta le dicesse: “Ma c’è un uomo dentro di te! Un corazziere!”), furon quelli che si mandano a una tomba precoce. Il bambino, il “corazziere”, che non usciva alla luce, fu considerato morto, e il nonno del padre lo pianse con gli occhi asciutti e certi rumori della gola che somigliavano a colpi di tosse.

Invece Giovanni non era morto, e uscì d’improvviso alla vita, quasi con una testata. “E’ arrivato tardi, ma è bello!” disse la giovane che lo ricevette fra le mani. Quella parola “tardi”, con la quale fu accolto dalla prima donna che lo vide, gravò sinistramente sulla vita di lui, ma in un modo totalmente contrario al proprio significato. Giovannino fu precoce, fece tutto molto presto, e la natura dovette affrettarsi a confidargli i suoi segreti. Pochi anni dopo la sua nascita, gli parlarono della donna, sotto un Parro le cui aste indicavano il cielo. La strada era deserta: nel fondo, seduta davanti a un uscio più corto di lei, c’era soltanto una vecchina vestita di nero, la quale dovette ricevere, come il modellino di una barca durante il racconto di una battaglia navale, tutti gli sguardi dei fanciulli nel momento in cui si nominava il soggetto del discorso. Giovanni taceva, e sollevava di tanto in tanto, col dorso della mano, la paglia ch’era sparsa per terra. Ma, da quel giorno, la parola donna non lasciò per un minuto la sua mente. Com’è fatta? Come non è fatta? Che cosa ha in più, che cosa in meno? Il ragazzo già pigro di natura, divenne tardissimo, carico com’era di tante domande e arrovellio.

Sebbene fosse ancora nell’età in cui le signore, nel salotto in cui mancano le sedie, ci tirano con un bacio sulle ginocchia, e la cugina più anziana, nella casa di campagna in cui sono arrivati improvvisamente degli ospiti, ci fa dormire con lei, Gíovannino arrossiva in tal modo quando una mano di donna gli sfiorava la testa, che nessuna osò più occuparsi di lui.