L’abbiamo seppellita ieri, e da quando il suo povero corpo senza vita è uscito da questa casa, mi sembra di essere sola sulla terra. Si ama la propria madre quasi senza saperlo, senza comprenderlo, perché è naturale come vivere; e avvertiamo la profondità delle radici di tale amore solo al momento della separazione finale. Nessun altro affetto è paragonabile a questo, perché tutti gli altri sono incidentali, mentre questo è innato; tutti gli altri ci vengono portati più tardi dagli eventi della vita, questo invece vive sin dal primo nostro giorno nel nostro stesso sangue. E poi, e poi, non è soltanto una madre che si perde, è tutta la nostra infanzia che scompare per metà, perché la nostra breve vita di bambini apparteneva tanto a lei quanto a noi. Essa soltanto la conosceva come noi, sapeva un’infinità di cose lontane, insignificanti e care, che sono, che erano le dolci prime emozioni del cuore. A lei sola potevo ancora dire: «Ti ricordi, mamma del giorno in cui?… Ti ricordi, mamma, la bambola di porcellana regalatami dalla nonna?» Potevamo sussurrare insieme un lungo e dolce rosario di piccoli e maliziosi ricordi, che nessun altro sulla terra più conosce, tranne me. E dunque morta una parte di me stessa, la parte più vecchia, la migliore. Ho perduto il povero cuore nel quale, la bambina che sono stata, viveva ancora tutta intera. Ora nessuno la conosce più, nessuno si ricorda la piccola Anne, le sue sottane corte, le sue risa e le sue moine.

E verrà un giorno, forse non molto lontano, nel quale a mia volta me ne andrò, lasciando sola al mondo la cara Annette, come oggi mia madre mi ha lasciata. Come tutto ciò è triste, duro, crudele! Eppure non ci pensiamo mai, non guardiamo attorno a noi la morte che prende con sé qualcuno ad ogni istante, come presto prenderà anche noi. Se la considerassimo, se ci pensassimo, se non fossimo distratti, rallegrati e accecati da tutto ciò che ci capita davanti, non potremmo più vivere, perché la visione di questa strage senza fine ci farebbe impazzire.

Sono così affranta, così disperata, che non ho più la forza di far nulla. Penso giorno e notte alla povera mamma, rinchiusa in quella cassa, affondata sotto quella terra, in quel campo, sotto la pioggia, e il cui vecchio volto che baciavo con tanta felicità, non è più che un ripugnante marciume. Oh! che orrore, amico mio, che orrore!

Quando persi mio padre, ero appena sposata, e non provai tutto quello che provo oggi. Sì, compiangetemi, pensate a me, scrivetemi. Ho tanto bisogno di voi adesso!

Anne

 

Parigi, 25 luglio.

Mia povera amica,

il vostro dolore mi fa una pena tremenda. Neppure io vedo la vita rosea. Dopo la vostra partenza mi sento perduto, abbandonato, senza appoggio e senza rifugio. Tutto mi affatica, mi annoia e mi irrita. Continuamente penso a voi e alla vostra Annette; vi sento lontane tutte e due mentre avrei tanto bisogno di avervi vicino. È incredibile quanto vi senta lontane e quanto mi manchiate. Mai, neanche nei giorni della mia giovinezza, voi siete stata tutto per me come in questo momento. Da qualche tempo presagivo questa crisi, che deve essere un colpo di sole dell’estate di san Martino. Ciò che provo è addirittura così strano che voglio raccontarvelo. Figuratevi che dalla vostra partenza non posso più passeggiare. In altri tempi e anche durante gli ultimi mesi, mi piaceva molto andarmene tutto solo a vagabondare per le strade, distratto dalle persone e dalle cose, gustando la gioia di vedere e il piacere di andare in giro con passo allegro. Andavo senza sapere dove, per camminare, per respirare, per fantasticare. Adesso non posso più.

Appena scendo per strada, un’angoscia mi opprime, una paura di cieco che ha lasciato andare il suo cane. Divento inquieto proprio come un viaggiatore che ha perduto la traccia del sentiero nel bosco e devo rientrare. Parigi mi sembra vuota, spaventevole, angosciante. Mi domando: «Dove andrò?» Rispondo: «In nessun luogo dato che passeggio.» Ebbene, non posso, non posso più passeggiare senza meta.