Fuga nelle tenebre
Arthur Schnitzler. Fuga nelle tenebre.
Titolo originale:
Flucht in die Finsternis
Traduzione di Giuseppe Farese
Piccola Biblioteca Adelphi
Copyright 1931
S. Fischer Verlag Ag
Berlin
Renewed 1959
by Heinrich Schnitzler
Copyright 1981
Adelphi Edizioni S.P.A.
Milano
Adelphi Edizioni
Di Arthur Schnitzler (1862-1931) sono uscite presso Adelphi le seguenti opere: Il ritorno di Casanova (1975), Doppio sogno (1977), Gioco all’alba (1983), Beate e suo figlio (1986), La signorina Else (1988), La piccola commedia (1996) e La novella dell’avventuriero (1999).
Nella Fuga nelle tenebre, che fu pubblicata nel 1931, poco prima della morte dell’autore (ma la stesura originaria è degli anni 1912-1917), Schnitzler raggiunge la sua massima intensità di narratore. La storia è quella della graduale, consequenziale germinazione di un delirio. Qui il racconto non è, come sempre in Schnitzler, cosparso di accenni al fondo oscuro della psiche, ma in certo modo costringe quel fondo ad apparire in primo piano, sotto una luce fredda e limpida. Insediati all’interno della psiche del protagonista, assistiamo al primo infiltrarsi in essa di una serie di presentimenti e ammonimenti, che subito fanno oscillare tutta la realtà, gettandola in un’incertezza simile a quella dei sogni. Poi, in una progressione sempre più angosciosa, ci accorgiamo che ormai una rete di ossessioni si è posata sul mondo. A poco a poco, le sue maglie si stringono crudelmente e tutto ciò che avviene converge verso un unico punto di fuga: le tenebre.
Come i cinque casi clinici di Freud appartengono, oltre che ai testi classici della psicoanalisi, alla grande letteratura del nostro secolo - sicché Dora e l’Uomo dei lupi e il piccolo Hans si sono ormai allineati accanto ai personaggi di Balzac e di Dostoevskij -
così questo stupendo racconto di Schnitzler va anche letto come un’analisi dell’insorgere di un delirio ossessivo, sbalorditiva per la sua nettezza, illuminante in ogni particolare, avvicinabile solo ai grandi testi di Freud. E la figura di Freud stesso sembrerebbe qui adombrata in uno dei personaggi: il dottor Leinbach, «spettatore molesto e filosofo».
I
Bussarono; il consigliere si destò e al suo involontario «Avanti!»
comparve subito sulla soglia il cameriere con la colazione, ordinata come sempre per le otto. Il primo pensiero di Robert fu che la sera prima aveva di nuovo dimenticato di chiudere la porta a chiave; ma non ebbe quasi il tempo di cedere al disappunto per questo nuovo segno di sbadataggine, poiché la sua attenzione fu subito attratta dalla corrispondenza posata sul vassoio della colazione accanto a tè, burro e miele. Fra altre lettere meno importanti ne trovò una del fratello, in cui questi esprimeva la sua gioia per il loro prossimo incontro e, dopo aver comunicato alcune irrilevanti novità familiari, accennava con una casualità non involontaria alla sua nomina a professore straordinario avvenuta di recente. Robert scrisse un telegramma di cordiali rallegramenti che fece inviare senza indugi all’ufficio postale. Anche se doveri professionali e altre circostanze della vita solevano interrompere spesso per giorni e settimane il rapporto personale tra i due fratelli, sempre però sopravveniva un avvenimento che - spesso proprio per la sua irrilevanza - li faceva sentire, senza ombra di dubbio, indissolubilmente uniti. In particolare al fratello più giovane tutti gli altri legami passati e presenti della vita, persino il suo matrimonio con una bravissima donna, ormai morta da tempo, apparivano in tali occasioni poco importanti, e sempre più credeva di riconoscere che il legame fraterno non solo costituiva per lui la conquista migliore e più pura dell’esistenza, ma anche, più in generale, l’unico legame di una naturale e sicura stabilità; più sicuro del legame con i genitori, che troppo spesso ci vengono rapiti dalla vecchiaia e dalla morte, più saldo di quello con i figli che, come Robert non aveva certo mai sperimentato di persona, siamo destinati a perdere per il solo fatto che sono giovani, anche quando altri non ce ne sottraggano l’affetto; ma, soprattutto, il legame fraterno era libero da quei turbamenti che, affiorando inaspettati da oscuri recessi dell’anima, offuscano di solito i rapporti fra uomo e donna.
Così Robert accolse la lettera del fratello, che giungeva proprio il giorno della sua partenza, come un auspicio favorevole, e sentì meravigliosamente rinsaldarsi le sue speranze per il futuro che, dopo un periodo pieno di inquietudine, doveva affrontare come una nuova epoca della sua esistenza.
Il sole era già abbastanza alto quando Robert, preparate le valigie, uscì dalla sua stanza. Era l’ora in cui la maggior parte degli ospiti erano in spiaggia o a passeggio, e nei dintorni dell’albergo regnava una calma assoluta. Robert si avviò lungo l’ampio pontile di pietra che si protendeva per un buon tratto nell’acqua e al quale era ormeggiato il vaporetto chiaro che faceva la siesta, guardò le poche, quasi immobili vele bianche, gialle e rossastre che scintillavano nel canale e infine fece scivolare lo sguardo verso nord, dove lo stretto, allargandosi a poco a poco, faceva intuire il mare aperto. Si tolse il cappello lasciando che il sole gli battesse a picco sulla testa, respirò profondamente con le labbra aperte per sentire sulla lingua il sapore del sale e godette dell’aria mite, che in quell’isola del Sud soleva spesso lusingare con un calore estivo anche in quei tardi giorni d’ottobre. Lo colse a poco a poco la sensazione che il momento che stava vivendo fosse in realtà già trascorso da tempo, che egli stesso, così come si trovava in quel momento - sul pontile, il cappello in mano, le labbra aperte -
fosse un’immagine evanescente della sua memoria. Avrebbe desiderato che quella sensazione, che non provava certo per la prima volta, né considerava affatto inquietante ma piuttosto liberatrice, potesse durare più a lungo; ma essa svanì insieme col desiderio. E allora gli sembrò di essersi inimicato il presente: cielo, mare e aria erano divenuti estranei, freddi e lontani, e un fulgido attimo avvizziva miseramente.
Robert lasciò il pontile e si incamminò per uno di quei sentieri stretti e poco frequentati che fra pinastri, lecci e sterpaglia, portavano all’interno dell’isola. Ma anche il paesaggio gli sembrò senza profumo, asciutto e come spoglio del suo fascino abituale. Fu dunque contento che l’ora della partenza fosse vicina, e nel suo intimo affiorarono vivaci le immagini di divertimenti invernali e cittadini ai quali da tempo non aveva più pensato con nostalgia.
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