Anche quando in primavera si era visto costretto a tralasciare ogni attività poiché gli era venuta meno la memoria, e si era ritirato dalla vita di società poiché anche le parole più indifferenti lo irritavano o addirittura lo facevano soffrire, e aveva dovuto persino smettere di suonare il piano, che tanto amava ma che spesso lo commuoveva fino alle lacrime, delle quali poi si vergognava - anche allora, non aveva affatto temuto l’insorgere della pazzia, e tanto meno un simile timore lo aveva tormentato durante tutto il viaggio; ma ora sapeva con certezza che la sera precedente, in treno, prima di addormentarsi, quella parola fatale da vuota e morta successione di lettere dell’alfabeto, per la prima volta aveva riassunto per lui un significato attuale. Gli sembrò così che il patto tra lui e il fratello avesse riacquistato valore e che quella lettera, che certamente Otto aveva serbato con cura, fosse divenuta una sorta di obbligazione muta e inesorabile contro la quale era impossibile opporsi nell’ora della minaccia incombente. Ma c’era poi davvero bisogno di un simile documento? Non era forse Otto l’uomo capace di eliminare una persona ormai spacciata anche senza l’impegno di un patto che lo assolvesse dalla responsabilità - semplicemente per amore del prossimo? Robert fra l’altro non dubitava che i medici nobili e intelligenti prendessero decisioni del genere molto più spesso di quanto fosse generalmente noto; anche senza avere in mano lettere giustificatorie come quella di cui Otto era in possesso.
Ma non accadeva anche che i medici si sbagliassero? Non possono forse impazzire loro e ritenere malato un uomo sano di mente? E in quel caso non sono l’uno in balìa dell’altro - il malato del sano e il sano del malato, senza speranza di salvezza? A questo punto però Robert si controllò con forza. Non voleva consentire oltre che morbose elucubrazioni lo spingessero indifeso sul terreno incerto di fluttuanti possibilità, dove la cosa più probabile e quella quasi inconcepibile convivono in sleale vicinanza. Gettò di nuovo un fugace sguardo nello specchio. In quel momento non poté più stabilire una differenza fra destra e sinistra. Gli occhi erano tutti e due stanchi e appannati, tuttavia fin dalla giovinezza il sinistro era leggermente miope e lui aveva preso l’abitudine di serrarlo di quando in quando. A ciò bisognava aggiungere che la notte non aveva quasi riposato. Nell’insieme non si poteva negare che avesse un aspetto affaticato e assonnato. Decise così di rimandare per il momento la progettata visita al fratello e di ripresentarsi a Otto dopo una notte tranquilla, ristorato, di buon umore e possibilmente - anche questo aveva la sua importanza - quando il tempo si fosse rasserenato del tutto.
IV
Poco dopo uscì dal portone dell’albergo, si compiacque di ritenersi un forestiero in giro per le strade di una città sconosciuta e pranzò di proposito in una trattoria in cui prima non era mai stato. Poi si mise alla ricerca di un appartamento, camminò per ore, salì e scese le scale di diversi edifici, si fece mostrare decine di stanze vuote e ammobiliate, disturbò da qualche parte una giovane signora che stava suonando il piano, altrove interruppe un insegnante che dava lezione a due ragazzi, contrattò con locatori e portinai gentili, indifferenti e scortesi, ma non riuscì mai a immaginarsi che tutto ciò potesse essere preso sul serio e mirare a uno scopo preciso. A un certo punto capitò in una strada dove fu avvolto dai ricordi di un tempo molto remoto; dietro quella finestra d’angolo al secondo piano aveva trascorso tanti anni prima delle ore felici o almeno piacevoli; e non proprio con dolore, ma come se si trattasse piuttosto di una piccola contrarietà, si rese conto di essere solo al mondo come mai lo era stato prima. Fuggevolmente si ricordò di nuovo di Alberta; subito dopo però, a colori e ben delineata, riaffiorò dinanzi a lui, vivacissima, l’immagine della signorina Rolf, che sentiva ora più vicina dopo il suo sguardo d’addio del giorno precedente. Cercò di richiamare alla memoria il suo nome di battesimo, cosa che sulle prime non gli riuscì. Del resto sapeva poco di lei e della sua famiglia, praticamente nient’altro se non che madre e figlia, a casa come in viaggio, si incontravano di solito senza il padre, un avvocato ricercato e quasi famoso, che tuttavia godeva di una ambigua fama a causa della sua infelice inclinazione a speculare in borsa.
Così si poteva forse anche spiegare come mai l’unica figlia, che aveva di sicuro già superato i venticinque anni, non si fosse ancora sposata; e Robert credette di ricordare vagamente che era corsa voce di un suo fidanzamento con un famoso musicista che era ormai morto da tempo. Mentre era immerso in questi pensieri, l’immagine di lei diventava ai suoi occhi sempre più commovente, e gli apparve infine come soffusa di mistero.
La sera Robert si recò in un teatro di periferia. Seguì l’allegra commedia musicale in uno stato d’animo tranquillo, un po’ stanco e sognante, e fu contento come un bambino quando il primo comico, nel bel mezzo di un couplet, si rivolse a lui dal palcoscenico con un confidenziale cenno del capo. Dopo lo spettacolo si avviò verso un caffè del centro dove da anni soleva riunirsi ogni sera una piccola comitiva di conoscenti con i quali Robert durante il suo viaggio, almeno all’inizio, si era scambiato qualche cartolina illustrata con brevi parole di saluto. Quando entrò vide, seduto nel solito angolo, il signor August Langer, cugino della moglie morta, un uomo attempato, gentile, alto funzionario di banca che nel modo di vestire e nel portamento cercava di sottolineare la sua ben nota somiglianza con un aristocratico molto popolare nei circoli sportivi. Già da lontano, ma senza alzarsi e senza deporre il giornale, Langer fece un cenno di saluto a Robert che entrava, poi gli diede cortesemente la mano e constatò subito con soddisfazione che aveva davvero un ottimo aspetto. Si avvicinò Rudolf Kunrich, un attore di secondo piano del teatro di Corte, e confermò il giudizio di Langer. Robert ebbe l’impressione che durante i suoi sei mesi di assenza sia Kunrich che Langer fossero invecchiati di molti anni. L’ingresso di Leinbach che, molto assorbito dai suoi doveri di padre di famiglia e di medico, compariva solo di rado in quel locale, fu per Robert una piacevole sorpresa. Leinbach, scorgendo l’amico, lo tirò subito in disparte, gli fece le comuni domande che si sogliono porre a chi ritorna da un lungo viaggio e infine gli chiese se era già ritornato al lavoro.
Robert rispose che dubitava di essere già in grado di riprendere l’attività professionale.
Il dottor Leinbach si limitò a sorridere.
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