Robert ringraziò con scherzosa esagerazione e si congedò. Depose nel piatto che si trovava sul pianoforte ed era già colmo di monete di piccolo taglio un pezzo da dieci corone d’oro, subito si sentì contrariato, ma non osò riprenderlo. Il pianista ringraziò con un cenno del capo e continuando a suonare disse: «Il signor consigliere è stato fuori?
Speriamo d’ora in avanti di avere il piacere di vederla più spesso».
Ma come sono tutti gentili con me, pensò Robert. Tutti: Kahnberg, Langer, il pianista; persino il comico a teatro mi ha fatto un cenno di saluto dal palcoscenico. Solo Leinbach è e resterà un insopportabile buffone. In quel momento lo odiava.
Le strade erano quasi deserte. Dall’orologio di un campanile si udirono due rintocchi. Per fortuna, pensò Robert, non sono ancora obbligato a rispettare l’orario d’ufficio e domani potrò dormire quanto mi pare. Camminava svelto e sicuro, canticchiava fra sé e infine cominciò a cantare, con una bella voce cupa che riuscì a lui stesso estranea. Forse non è affatto la mia voce, pensò, forse chi canta non sono io. Sto forse sognando? Che sia il mio ultimo sogno, quello sul letto di morte?
Si ricordò di un’idea che Leinbach aveva esposto in tutta serietà, dandosi persino una certa importanza, molti anni prima di fronte a una compagnia piuttosto numerosa. Aveva trovato allora una prova dell’inesistenza della morte su questa terra. Era fuori di dubbio, aveva dichiarato, che nell’ultimo istante, e ciò non vale soltanto per coloro che sono sul punto di annegare, ma anche per tutti gli altri moribondi, l’intera vita si svolge dinanzi agli occhi del morente con una velocità straordinaria e affatto incomprensibile per chiunque. Ma poiché quella vita che torna alla memoria ha naturalmente anch’essa un ultimo istante e quell’ultimo istante un altro ancora e così via, allora il morire non significa altro che l’eternità - secondo la formula matematica delle serie infinite.
Robert ricordò ancora il modo irritato con cui Otto aveva ribadito a quel vaniloquio; Robert invece, senza prendere proprio le difese della teoria di Leinbach, non era affatto riuscito a trovarla del tutto insensata. Ammesso che quella dichiarazione fosse vera, non si sapeva mai quante volte si era già vissuta una data esperienza, il che era inoltre irrilevante, dal momento che si era condannati a rivivere tutto un numero infinito di volte. Ah, sciocchezze su sciocchezze! Una figura ambigua quel Leinbach, e da non prendersi affatto sul serio come medico! Lo si poteva gabbare a proprio piacimento; non ci voleva una grande abilità. Con Otto non sarebbe stato così facile…
Il portone dell’albergo si aprì davanti a lui. Mentre saliva le scale si rivide a un tratto circondato, come quasi vent’anni prima, dalle pareti di un palazzetto antico; e il rosso sbiadito del tappeto riluceva come porpora sotto i suoi piedi. Quante volte era già salito per quella scala? Era questa la centesima o la millesima volta? E
sempre di nuovo? Quante volte il povero Höhnburg era salito dalla sua amata attrice? E continuava ancora a farlo, doveva salirla in eterno quella scala?! Al diavolo i pensieri assurdi! Comunque, quella scala non accennava a voler finire. In quali tenebre si perdeva il corridoio? Improvvisamente la luce delle scale si spense. Robert trasalì. Ma si dominò, accese un fiammifero che col suo chiarore gli permise di arrivare alla porta. Quando l’ebbe chiusa dietro di sé ed ebbe accesa la luce della stanza tirò un sospiro di sollievo, come se fosse scampato a un pericolo.
V
Il giorno dopo, con una barca a vela ben attrezzata e una nave da guerra, entrambe acquistate poco prima in un negozio di giocattoli nel lieto ricordo del suo recente soggiorno al mare, Robert entrò nella stanza dei nipoti, un bambino di nove anni e l’altro di sei, che accolsero festosamente lo zio e i suoi regali. Stava appunto spiegando ai bambini, senza particolari cognizioni tecniche ma con estrema chiarezza, il sistema di costruzione di quei modellini, quando, carica di pacchetti e pacchettini, tornò a casa la madre, che diede a Robert un cordialissimo benvenuto. Col suo abituale sorriso tra canzonatorio e divertito, lo pregò di non incomodarsi e di continuare le sue spiegazioni tecniche. Poco dopo di lei, quasi presentendo la visita di Robert e prima dell’orario consueto, entrò Otto; indossava ancora il soprabito e aveva in mano la borsa di cuoio nero da medico.
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