In particolare Robert ascoltava divertito con aria da intenditore, poiché il suo stile assomigliava in certo qual modo a quello del pianista che di giorno si guadagnava la vita come impiegato di una Cassa di Risparmio. Il dottor Leinbach cercò di dare una spiegazione filosofica della propria peculiare maniera di intendere la musica.
Egli attribuiva a quell’arte un carattere per così dire amorale, poiché, per quanto lo riguardava, sotto l’influenza dei bei suoni si sentiva sempre propenso ad assolversi senz’altro da tutti gli errori e i peccati passati e futuri. Robert si ricordò che l’ultima volta era stato in quel locale in compagnia di Alberta; e si domandò dove potesse mai trovarsi in quel momento l’amante di un tempo. Chissà se quel giovane americano con cui era partita l’aveva poi veramente sposata. Non ne era affatto sicuro. Chissà, forse era solo un imbroglione che, una volta arrivato in America, o magari ancora in Europa, l’aveva piantata in asso. Lui, Robert, era stato davvero irresponsabile - non certo per nobiltà d’animo, ma solo perché ferito nella sua vanità - a cederla o addirittura a consegnarla a uno sconosciuto.
Nel piccolo locale entrava sempre più gente che si pigiava fra i tavoli e le sedie. Una giovane donna accompagnata da due uomini, altissima e di una magrezza innaturale, rimase in piedi per un poco accanto a Robert e, mentre girava lo sguardo per la sala, lo sfiorò con un braccio. Non avendo poi trovato posto si avviò verso l’uscita con i suoi accompagnatori, ma sulla porta si voltò ancora una volta in direzione di Robert e gli sorrise.
Davanti a lui c’era un bicchiere che era appena stato riempito di champagne. Lo vuotò d’un fiato - con piacere, quasi con ingordigia.
Il pianista parodiava a tempo di valzer alcuni temi delle opere di Wagner. Il ricordo di qualcosa di molto lontano nel tempo attraversò la mente di Robert. Una volta, tanti anni prima, all’inizio del suo matrimonio, durante una rappresentazione del Tristano, era stato molto tenero con la giovane moglie nel loro palco in penombra.
Ricordandola in quel momento gli sembrò di averla amata allora di un amore sconfinato, e pensò che forse molte cose nella sua vita si sarebbero svolte in maniera diversa se lei non fosse morta così giovane. Nonostante quel ricordo malinconico, si sentiva del tutto a suo agio e si accorse che con la mano batteva leggermente il tempo al suono del pianoforte. Sorrise, o piuttosto tentò di sorridere, poiché all’improvviso sentì che le labbra gli tremavano e gli venivano le lacrime agli occhi, e solo a stento riuscì a trattenersi dal prorompere in violenti singhiozzi. Strinse i denti, si volse intorno per vedere se qualcuno avesse notato la sua debolezza e poi scoppiò in una risata, così forte e stridula che alcuni sguardi si appuntarono su di lui. Leinbach lo osservò con occhio penetrante.
«Che hai?» chiese. Robert scrollò il capo. «Mi è venuta in mente una cosa buffa» disse. «Si può sapere di che si tratta?» chiese Leinbach, all’apparenza per pura curiosità. «Nulla che possa riguardarvi, nulla, nulla» fu la risposta di Robert, che poi si guardò furtivamente intorno e si accertò che non attirava più l’attenzione della gente; soltanto da un angolo gli occhi di una ragazza erano fissi su di lui con scherno o forse anche con commiserazione. Ricambiò con tale durezza quello sguardo che la giovane volse altrove gli occhi e continuò ad aspirare con zelo dalla cannuccia la sua bibita ghiacciata. Ma Robert si disse che non poteva restare più a lungo in quel posto e chiamò il cameriere. Non sarò così stupido da dargli dieci fiorini di mancia, pensò. Nel frattempo il conto era stato pagato per tutti da August Langer.
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