Ed egli rispose che era suo proposito e disegno di conquistare, se poteva, tutto il territorio per vendicare l’ingiuria fatta ai focacceri.

- Troppo imprende, disse Grangola, e chi troppo abbraccia poco stringe. Non è più il tempo di conquistare così i reami a danno del suo prossimo fratel cristiano. Il voler imitare gli antichi Ercoli, e Alessandri, e Annibali, e Scipioni, e Cesari e altri tali è contrario ai principi dell’Evangelo, il quale comanda che ciascuno difenda, salvi, regga e amministri il proprio paese senza invadere da nemico gli altri. Ciò che i Saraceni e i Barbari un tempo chiamavano prodezze, ora noi chiamiamo brigantaggio e malvagità. Meglio avrebbe fatto contenendosi nella sua casa e governandola da re, che assalire la mia e saccheggiarla ostilmente, poiché, ben governando la sua, l’avrebbe aumentata, per aver saccheggiato la mia, sarà distrutto.

E voi andatevene pure nel nome di Dio e seguite le buone imprese, fate comprendere al vostro re quelli che conoscerete essere errori e non dategli mai consigli conformi al vostro particolare interesse, poiché col bene comune è perduto anche il proprio.

Quanto al prezzo del vostro riscatto, ve lo condono interamente e voglio vi siano restituiti armi e cavallo.

Così bisogna trattare tra vicini ed antichi amici, considerato che questa nostra controversia non è propriamente una guerra. Platone, (lib. V, De Rep.) voleva che non guerra ma sedizione fosse chiamata, quando i Greci movevano in armi gli uni contro gli altri, e comanda di usare in quei casi ogni moderazione. E se guerra la chiamate, essa non è se non superficiale, non penetra nel profondo dei nostri cuori, poiché nessuno di noi è offeso nel proprio onore e non si tratta, insomma, che di riparare qualche errore commesso dalle vostre genti, vostre e nostre intendo. Conosciuto questo errore, dovevate lasciar correre, poiché le persone in litigio erano più da spregiare che da prendere in considerazione, massimamente avendo io offerto di dar soddisfazione adeguata al danno patito. Dio sarà giusto estimatore del nostro conflitto ed io lo supplico di togliermi dal mondo con la morte, e mandare in rovina ogni mio bene davanti ai miei occhi piuttosto che io e i miei in nulla l’offendiamo.

Pronunciate queste parole chiamò il monaco e davanti a tutti gli domandò:

- Frate Gianni, mio buon amico, da voi è stato preso il capitano Toccaleone qui presente?

- Sire, disse il monaco, egli è presente, l’età ed il giudizio non gli mancano; preferisco lo sappiate dalla sua stessa confessione piuttosto che dalle mie parole.

E allora Toccaleone disse:

- Signore, sì, è proprio lui che mi ha preso ed io mi rendo francamente suo prigioniero.

- Avete voi, chiese Grangola al monaco, messo a prezzo il suo riscatto?

- No, disse il monaco, di ciò non mi curo.

- Quanto vorreste, disse Grangola, per lasciarlo libero?

- Nulla, nulla, disse il monaco, non m’importa.

Allora Grangola comandò che, presente Toccaleone, fossero contati al monaco per la sua presa, sessantaduemila saluti e ciò fu fatto mentre si preparava la colazione al detto Toccaleone. Infine Grangola gli domandò se voleva restare con lui o se preferiva tornarsene al suo re.

Toccaleone rispose che avrebbe fatto come egli consigliasse.

- E allora, disse Grangola, ritornate al re vostro e Dio sia con voi.

Poi gli fece dono di una bella spada di Vienna con fodero d’oro inciso di belle vignette di oreficeria, e una collana d’oro pesante settecento e due mila marchi, guarnita di gemme fine del valore di centosessantamila ducati e inoltre diecimila scudi come regalo. Dopo ciò Toccaleone montò sul suo cavallo. Gargantua lo fece scortare, per sicurezza, da trenta uomini d’arme e centoventi arcieri sotto il comando di Ginnasta, per condurlo fino alle porte della Roche Clermault se occorresse.

Lui partito, il monaco restituì a Grangola i sessantaduemila saluti ricevuti dicendo:

- Sire, non ora dovete fare tali doni. Attendete la fine della guerra, poiché non si sa mai quali casi possano sopravvenire e una guerra condotta senza buona provvista di danaro non ha che un filo di vigore. Nerbo della guerra è la pecunia.

- E allora, disse Grangola, vi contenterò alla fine, con

onesta ricompensa e con voi quanti mi avranno ben servito.

 

CAPITOLO XLVII.

 

Come qualmente Grangola mandò a chiamare le sue legioni e come Toccaleone uccise Corvitello e poi fu ucciso per comando di Picrocolo

 

In quegli stessi giorni gli abitanti di Bessè, di Marché vieux, di Bourg Saint-Jacques, di Trainneau, di Parillè, di Rivière, di Roches Saint-Paul, di Vaubreton, di Pantillè, di Brehemont, di Pont de Clain, di Cravant, di Grandmont, di Bourdes, di Villeaumère, di Huymes, di Segrè, di Hussè, di Saint-Louant, di Panzoust, di Coudreaux, di Verron, di Coulaines, di Chosè, di Varenes, di Bourgueil di l’Isle Bouchard, di Croulay, di Narsay, di Cande, di Montsoreau e altri luoghi confinanti inviarono ambasciate a Grangola per dirgli che erano edotti dei torti usatigli da Picrocolo e in virtù della loro antica confederazione, gli offrivano tutto il loro aiuto, sia d’uomini che di danaro e altre munizioni di guerra.

Il tesoro confederale, secondo i patti stipulati con lui, ammontava a centotrentaquattro milioni e due scudi e mezzo d’oro. Le milizie sommavano a quindicimila uomini d’arme, trentaduemila cavalleggeri, ottantanovemila archibugieri, centoquarantamila avventurieri undicimila e duecento cannoni tra cannoni doppi, basilischi e spirole, con quarantasettemila artiglieri; il tutto a soldo pagato e con vettovaglie per sei mesi e giorni quattro. Gargantua né rifiutò, né accettò del tutto l’offerta; ma li ringraziò grandemente e disse che avrebbe condotto a termine la guerra con tale accorgimento che non sarebbe stato necessario disturbare tanta gente da bene. Solamente comandò gli si conducessero in ordine le legioni che ordinariamente manteneva nelle sue piazze di La Devinière, di Chaviny, di Gravot e di Quinquenays, le quali contavano duemila e cinquecento uomini d’arme, sessantasei mila archibugieri, duecento pezzi di grossa artiglieria, ventiduemila artiglieri e seimila cavalleggeri, tutti in bande così ben provvedute di tesorieri, vivandieri, maniscalchi, armaioli e altra gente necessaria al buon attrezzamento dell’esercito, tanto bene istruiti nell’arte militare e bene armati ed esperti a riconoscere e seguire le loro insegne, e pronti a intendere e obbedire i loro capitani, tanto rapidi alla corsa e forti al cozzo, e prudenti nell’avventurarsi, che meglio sembravano un’armonia d’organi e un ingegno d’orologio che un esercito o una cavalleria.

Toccaleone, arrivato, si presentò a Picrocolo e gli contò per disteso ciò che aveva e fatto e visto. Alla fine consigliava calorosamente che si venisse ad un accomodamento con Grangola, nel quale aveva trovato il più gran galantuomo del mondo, aggiungendo che non era né utile, né giusto molestare così i vicini, dai quali non aveva ricevuto che bene; e, ciò che più importava, che mai avrebbe potuto cavarsela da quella impresa se non con scapito e disgrazia, poiché la potenza di Picrocolo non era tale che Grangola non potesse agevolmente metterli a sacco. Non aveva finito di pronunciare queste parole che Corvitello disse ad alta voce:

- Ben infelice il principe che è servito da gente che si lascia facilmente corrompere, come Toccaleone; poiché io vedo l’animo suo tanto mutato, che certo egli si sarebbe unito ai nostri nemici per combattere contro noi e tradirci, se essi avessero voluto trattenerlo; ma come la virtù è da tutti lodata e stimata, amici o nemici che siano, così la malvagità è tosto conosciuta e tenuta in sospetto e poiché di essa i nemici si servono a loro vantaggio, così essi tengono i malvagi e i traditori in abominazione.

A queste parole Toccaleone, insofferente, sguainò la spada e trafisse Corvitello un po’ sopra la mammella sinistra, onde morì incontinente. E traendo dal corpo la spada disse franco:

- Così muoia chi biasimerà i fedeli servitori.

Picrocolo montò subito in furore e vedendo la spada e il fodero tanto ornati disse:

- Ti hanno forse regalata quest’ arma per uccidere maliziosamente in mia presenza il mio buon amico Corvitello?

E comandò ai suoi arcieri di metterlo a pezzi; il che fu fatto subito e così crudelmente che la camera era tutta bagnata di sangue; poi fece seppellire onorevolmente il corpo di Corvitello e gettar dalle mura nella valle quello di Toccaleone.

Le notizie di queste violenze si diffusero per tutto l’esercito, onde molti cominciarono a mormorare contro Picrocolo tanto che Acchiappagatti gli disse:

- Signore, io non so che sarà per uscire da questa impresa. Vedo la vostra gente poco fiduciosa. Essi considerano che siamo qui mal provvisti di viveri e già molto diminuiti di numero per le perdite di due o tre sortite. Inoltre i nostri

nemici ricevono grandi rinforzi. Se saremo assediati non vedo come potremo sfuggire alla rovina completa.

Merda! Merda! disse Picrocolo; mi sembrate le anguille di Melun che si mettono a strillare prima che le scortichino. Lasciate, lasciate che vengano!

 

CAPITOLO XLVIII.

 

Come qualmente Gargantua assalì Picrocolo in La Roche Ciermault e sbaragliò l’esercito del detto Picrocolo.

 

Gargantua fu nominato comandante in capo dell’esercito. Il padre restò nella fortezza e incoraggiando le sue genti con buone parole promise gran doni a coloro che avessero compiuto prodezze. L’esercito poi giunse al guado della Vède e con barche e ponti leggeri passarono oltre rapidamente. Poi, considerando la posizione della città che era in luogo elevato e vantaggioso, nella notte si deliberò sul da fare.

Ginnasta disse: “Signore, tali sono la natura ed il temperamento dei Francesi che non valgono se non al primo assalto; al primo assalto son peggio che diavoli, ma se si fermano, valgono meno che femminuccie. lo sono d’avviso che ora, appena le vostre genti avranno riposato un poco e mangiato, ordiniate l’attacco”.

L’avviso fu trovato buono.