Procedono più a casaccio che con ponderazione.

Mentre essi così attendevano sotto i noci, il monaco continuava a picchiare quanti gli capitassero senza riguardo ad alcuno finché incontrò un cavaliere che portava in groppa uno dei poveri pellegrini e voleva spogliarlo di tutto.

- Signor Priore, gridò il pellegrino, Signor Priore, salvatemi per carità.

Sentendo questa parola i nemici si volsero indietro e vedendo che a far tutto quell’inferno non c’era che il monaco, lo caricarono di botte come si carica di legna un somaro, ma egli nulla sentiva, massimamente quando picchiavano sulla tonaca, tanto aveva la pelle dura. Poi lo misero sotto la guardia di due arcieri ed essi voltando i cavalli e non vedendo alcuno contro loro, credettero che Gargantua e i suoi fossero fuggiti. E allora s’avvicinarono verso le Noirettes correndo quanto potevano per raggiungerlo e lasciarono il monaco solo coi due arcieri di guardia.

Gargantua intese il rumore e i nitriti dei cavalli e disse alle sue genti:

- Compagni, sento venire i nemici, e già ne scorgo alcuni che s’avanzano in folla contro di noi. Serriamoci qui e sbarriamo la strada in buon ordine. Così potremo affrontarli e sconfiggerli con onore.

 

CAPITOLO XLIV.

 

Come qualmente il monaco si sbarazzò dalle guardie e come la pattuglia di Picrocolo fu disfatta.

 

Il monaco vedendoli partire in disordine congetturò che andassero ad assalire Gargantua e le sue genti e si contristò prodigiosamente di non poterli soccorrere. Poi studiò il contegno dei suoi arcieri di guardia; essi avrebbero volentieri seguito la schiera per fare un po’ di bottino e guardavano sempre verso la vallata per la quale discendevano. Inoltre sillogizzava dicendo:

“Questa gente sono ben poco esperti di guerra poiché né m’hanno domandato giuramento, né m’hanno tolto la spada”. Subito trasse la detta spada e ferì l’arciere che lo teneva a destra, tagliandogli interamente le vene jugulari e arterie spagitide del collo con l’ugola fino alle due glandole tiroidi, e, ritirata la spada gli recise il midollo spinale fra la seconda e terza vertebra. L’arciere cadde là morto.

E il monaco volgendo il cavallo a manca, piombò sull’altro il quale vedendo il suo compagno morto e il monaco avvantaggiato su lui, gridava ad alta voce:

- Ah, Signor Priore, m’arrendo, mio Signor Priore mio buon amico, mio Signor Priore!

- Mio Signor Posteriore, gridava di rimando il monaco, amico mio, mio Signor Posteriore, ora v’acconcio io le posteriora!

- Ah, disse l’arciere, mio Signor Priore, mio caro, che Dio vi promuova Abate, Signor Priore mio!

- Per l’abito che vesto, disse il monaco, io vi farò qui cardinale. Ah, voi imponete il riscatto alla gente di religione? Io vi farò ora di mia mano un bel cappello rosso.

- Mio Signor Priore, mio Signor Priore, mio Signor futuro Abate, mio Signor Cardinale, mio tutto! Ah! ah! ah! No, mio Signor Priore, mio piccolo buon Signor Priore, mi dono a voi.

- Ed io, disse il monaco ti dono a tutti i diavoli.

E con un colpo gli affettò la testa tagliandogli il cranio sopra l’osso petroso e portando via le due ossa parietali e la sutura sagittale con gran parte dell’osso coronale; e ciò facendo recise le due meningi e aprì profondamente i due ventricoli posteriori del cervello; il cranio rimase penzoloni sulle spalle, attaccato per di dietro alla pelle del pericranio in forma di berretto dottorale, nero di sopra, rosso di dentro. E l’arciere cadde morto stecchito a terra.

Ciò fatto il monaco diè di sprone al cavallo e proseguì la via che tenevano i nemici, i quali avevano incontrato Gargantua e i suoi compagni, sulla strada maestra ed erano tanto diminuiti di numero per l’enorme strage compiuta da Gargantua col suo grande albero, da Ginnasta, Ponocrate, Eudemone e gli altri, che cominciavano a ritirarsi più che in fretta, tutti spaventati e turbati i sensi e l’intelletto come se avessero davanti agli occhi la specie e figura propria della morte in persona.

E come un asino quando gli s’attacca al culo un tafano giunonico o una mosca che lo punge, corre qua e là senza via né direzione, scaraventando a terra il carico, rompendo freno e redini senza prender fiato né riposo, e non sa chi lo move perché non vede nulla che lo tocchi, così fuggivano

quelle genti smarrite senza saper la causa del fuggire, affannate solo dal terrore panico che aveva loro invaso l’anima.

Vedendo il monaco che a null’altro pensavano che a scappare, scende da cavallo e monta sopra una grossa roccia che sovrastava alla strada e colla sua grande spada picchiava a tutta forza sui fuggiaschi senza sosta e senza risparmiarli. Tanti ne uccise e tanti ne atterrò che la spada gli si ruppe in due pezzi. Allora pensò che aveva ucciso e massacrato abbastanza e che il resto doveva pur fuggire per recare le notizie.

Impugnò pertanto un’ascia tolta a uno di quelli che là giacevano morti e tornato sulla roccia stava a veder fuggire i nemici e capitombolare tra i cadaveri: solamente faceva deporre a tutti picche, spade, lancie, ed archibugi. Coloro che portavano i pellegrini legati li fece smontare e diede i loro cavalli ai pellegrini che ritenne con sé presso la siepe.

E fece prigioniero Toccaleone.

 

CAPITOLO XLV.

 

Come qualmente il monaco condusse i pellegrini e le buone parole che disse loro Grangola.

 

Terminata la scaramuccia, Gargantua si ritirò colle sue genti eccetto il monaco e, allo spuntar del giorno, tornarono a Grangola il quale nel suo letto pregava Dio per la loro salvezza e vittoria e vedendoli tutti salvi e intatti li abbracciò amorosamente e domandò notizie del monaco. Gargantua gli rispose che senza dubbio era stato preso dai nemici.

- Ed essi avranno mala ventura, disse Grangola.

Così infatti era avvenuto. Ond’è ancora in uso il proverbio: Bailler le moine à quelqu’un.

Allora comandò che si preparasse una buona colazione per ristorarli. Quando fu pronta, vennero a chiamare Gargantua; ma l’assenza del monaco l’affliggeva tanto, che non voleva né bere né mangiare.

Improvvisamente il monaco arriva e dalla porta del cortile grida:

- Vino fresco, vino fresco, Ginnasta, amico mio!

Ginnasta uscì e vide Frate Gianni con cinque pellegrini e Toccaleone prigioniero. Gargantua gli andò incontro e gli fecero tutti la più calorosa accoglienza e lo condussero davanti a Grangola che volle sapere tutte le sue avventure. E tutto il monaco raccontò: come l’avevano preso, e come

s’era sbarazzato degli arcieri, e la strage che avea compiuto sulla strada e come aveva liberato i pellegrini e condotto Toccaleone. Poi si dettero a banchettare allegramente tutti insieme.

Intanto Grandola chiedeva ai pellegrini di qual paese fossero, donde venivano a dove andavano.

Lasdaller rispose per tutti:

- Signore, io sono di Saint-Genou nel Berry, questo qui è di Palluau, quest’altro di Onzay, quest’altro di Argy e questo qui di Villebrenin. Veniamo da San Sebastiano presso Nantes, e ce ne ritorniamo a casa a piccole giornate.

- Ma, chiese Grangola, che andaste a fare a San Sebastiano?

- Siamo andati, disse Lasdaller, a offrirgli i nostri voti contro la peste.

- Oh, povera gente, disse Grangola, credete voi che la peste venga da San Sebastiano?

- Certo, rispose Lasdaller, così affermano i nostri predicatori.

- Davvero? disse Grangola, i falsi profeti vi annunciano di tali frottole? Essi bestemmiano in tal modo i giusti e i santi di Dio rendendoli simili ai diavoli i quali non fanno che male tra gli uomini. Così Omero scrive che la peste fu mandata tra l’esercito dei Greci da Apollo, e così i preti inventano un mucchio di Vegiovi e divinità malefiche. E così predicava a Cirais un ipocrita, che Sant’Antonio mette il fuoco alle gambe, Sant’Eutropio rende idropici, San Gildas fa impazzire, San Ginocchio dà la gotta. Ma io l’ho punito in tal modo, benché mi chiamasse eretico, che da allora mai più nessun ipocrita osò entrare nelle mie terre e mi stupisco che il vostro re lasci loro predicare nel suo reame tali scandali; poiché meritano maggior castigo di coloro che per arte magica o altri mezzi diffondessero la peste tra la gente. La peste infatti non uccide che il corpo, quegli impostori avvelenano le anime.

Mentre egli diceva queste parole entrò il monaco con aria risoluta e domandò loro:

- Di dove siete, poveri diavoli?

- Di Saint-Genou, dissero.

- E come sta, chiese il monaco, l’abate Taglialeone, il buon beone? E i suoi monaci hanno buona cera? Corpo di Dio! essi vi fregano le vostre donne mentre andate in romitaggio.

- Ihn, ehn! disse Lasdaller, quanto alla mia son tranquillo, perché chi l’ha vista di giorno non si romperà certo il collo per andare a trovarla di notte.

- Bravo! disse il monaco, l’hai detta grossa! Foss’ella pur brutta come una diavolessa, non sfuggirà, per Dio, alla fregata, se c’è frati intorno: a buon operaio ogni pezzo è buono da metter in opera. Che mi prenda lo scolo, se al ritorno non la trovate pregna. Ma non sapete che l’ombra sola del campanile d’un’abbazia basta a ingravidare?

- È come l’acqua del Nilo in Egitto, se credete a Strabone, disse Gargantua, grazie alla quale secondo Plinio, lib. VII, cap 3, la fertilità è in tutti: nel pane, negli abiti, nei corpi.

- Andatevene, disse Grangola, andatevene, povera gente, nel nome di Dio Creatore, e che Esso vi guidi in perpetuo; e d’ora innanzi non lasciatevi indurre a codesti oziosi e inutili viaggi. Mantenete le vostre famiglie, lavorate ciascuno secondo la propria vocazione, istruite i vostri figliuoli e vivete come insegna il buon apostolo San Paolo. Ciò facendo avrete con voi la protezione di Dio, degli angeli e dei santi e non ci sarà peste o malanno che venga a danneggiarvi.

- Gargantua li condusse quindi nella sala a refocillarsi, ma i pellegrini non facevano che sospirare e dissero a Gargantua:

- Oh, felice la terra che ha per signore un tale uomo! Noi siamo più edificati e illuminati dalle sue parole che da tutte quante le prediche predicateci nella nostra città.

- È ben vero, disse Gargantua ciò che scrive Platone (lib.V, De Rep.) che le repubbliche allora saranno felici, quando i re filosoferanno o i filosofi regneranno.

Poi fece riempire le loro bisaccie di viveri, le bottiglie di vino e diede a ciascuno un cavallo per alleggerire loro il resto del cammino e qualche carlo per vivere.

 

CAPITOLO XLVI.

 

Come qualmente Grangola trattò con umanità il prigioniero Toccaleone.

 

Toccaleone fu presentato a Grangola che lo interrogò sull’impresa e la situazione di Picrocolo e gli chiese che cosa si proponesse con quel tumultuoso fracasso.