Come quelle maledette casseruole blu smaltate. Dio! Cosa daresti per essere a Piccadilly, adesso, eh?».

«Sono arrivati i giornali inglesi?»

«Sì, il vecchio caro “Punch” e “Pink’un” e “La Vie Parisienne”. Prende la nostalgia a leggerli, vero? Entriamo e beviamo qualcosa, prima che il ghiaccio si sciolga tutto. Il vecchio Lackersteen ci ha già fatto il bagno dentro; è già mezzo sbronzo.»

Entrarono. Westfield declamò con la sua voce lugubre: «Avanti, MacDuff».

All’interno, le pareti del circolo erano rivestite di legno di tek, si sentiva odore di cera per pavimenti. Delle quattro stanze, una conteneva una “biblioteca” sempre deserta, composta da cinquecento romanzi ammuffiti; un’altra, un vecchio e tarlato biliardo che si usava di rado, perché la maggior parte dell’anno sciami di insetti ronzavano attorno alle lampade e si abbattevano sul panno. C’erano poi una stanza da gioco e una sala di ritrovo che guardava sul fiume, con l’ampia veranda; ma a quell’ora tutte le verande della città erano riparate da grandi stuoie di bambù verdi. La loggia era un ambiente poco invitante, con stuoie di cocco sul pavimento, sedie di vimini e tavole ingombre di giornali illustrati a colori vivaci. Come ornamento una serie di fumetti del cane Bonzo5 e crani polverosi di sambhur.6 Una punkah,7 con lente sventagliate, sollevava la polvere nell’aria tiepida.

Nella loggia si trovavano già tre uomini. Sotto la punkah, un individuo sulla quarantina, florido e di bell’aspetto, leggermente gonfio, si abbandonava sulla tavola tenendosi la testa tra le mani e gemendo. Era Lackersteen, amministratore della locale società di legnami. Si era ubriacato ben bene la sera prima e ora ne pagava le conseguenze. Ellis, amministratore locale di un’altra società di legnami, guardava il bollettino, appeso in bacheca, con uno sguardo di amara meditazione. Era un uomo sottile e irrequieto, dal viso pallido, i lineamenti marcati e i capelli ispidi. Maxwell, funzionario del dipartimento forestale, era sdraiato in una poltrona a leggere il «Field» che lo nascondeva tutto, tranne le gambe fortemente ossute e le grosse braccia pelose.

«Guardate questo birbone» disse Westfield prendendo Lackersteen affettuosamente per le spalle e scuotendolo. «Esempio per la gioventù, no? È qui per la grazia di Dio eccetera. Vi dà un’idea di come sarete quando avrete quarant’anni.»

Lackersteen emise un grugnito che suonava all’incirca: “Brandy”.

«Poveretto,» disse Westfield «è un autentico martire della sbornia. Guardate come trasuda alcol da tutti i pori. Mi ricorda un vecchio colonnello che dormiva sempre senza zanzariera. I servi, ai quali volli domandarne la ragione, mi risposero: “Di notte, padrone troppo bevuto per sentire zanzare, e di mattina zanzare troppo bevuto per sentire padrone”. Guardatelo lì, ha bevuto tutta la notte e vorrebbe bere ancora. Sua nipote verrà a stare con lui. L’aspettate stanotte, no, Lackersteen?»

«Ma lascia stare questo sciocco ubriaco» disse Ellis con un dispettoso accento cockney senza voltarsi.

Lackersteen grugnì di nuovo: «… La nipote! Datemi del brandy in nome di Dio!».

«Bell’esempio per la nipote, eh? Vedere lo zietto sotto il tavolo sette volte la settimana. Ehi, cameriere! Portare del brandy per il signor Lackersteen.»

Il cameriere era un dravida robusto e scuro di pelle, con gli occhi gialli e liquidi come quelli di un cane. Portò il brandy su un vassoio di ottone. Flory e Westfield ordinarono gin. Lackersteen inghiottì qualche sorso di brandy e si appoggiò indietro alla sedia, grugnendo in modo meno sconsolato. Aveva un viso ingenuo, quasi bovino, e portava baffetti molto corti. Era un tipo molto semplice, senz’altra aspirazione che quella di “spassarsela”. La moglie lo sorvegliava nell’unico modo possibile, ossia non perdendolo di vista per più di un’ora o due.