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Insieme a Julie e Claire, di cui subito Rousseau tratteggia i caratteri, facendone intuire la reciproca compensazione (l’una bionda, dolce, virtuosa, l’altra bruna, vivace, saggia), egli immagina Saint-Preux, la figura con la quale immediatamente si identifica, il giovane «roturier» destinato a pagare il prezzo della propria estrema «sensibilità». Ma soprattutto, tramite loro, egli annuncia i temi-chiave del romanzo, l’amore e l’amicizia, così intrecciati l’uno all’altro da essere, come vedremo, spesso indistinguibili.
La forza della «immaginazione creatrice» è tale da prefigurare o, ancor meglio, produrre la realtà. Nel pieno del «tenero delirio» («érotiques transports») da cui prende corpo il tessuto narrativo della Julie, interrotto solo dall’ intensificarsi della querelle con Diderot e gli altri,12 Jean Jacques incontra Sophie. Egli ne resta così profondamente colpito da riconoscere in lei «l’amore vero», mai precedentemente provato per nessun’altra donna; neppure per Mme de Warens, sulla quale egli aveva proiettato ambigui ed incestuosi sentimenti materni, privi del trasporto sensuale e dei fremiti ardenti dell’amore appassionato. 13 L’oggetto reale (Sophie) si sovrappone all’oggetto immaginario (Julie), ereditandone agli occhi di Jean Jacques ogni perfezione ed incanto: «Venne, la vidi, io ero ebbro di amore senza oggetto; questa ebbrezza affascinò i miei occhi, questo oggetto si fissò su di lei, vidi la mia Giulia nella signora d’Houdetot, e presto non vidi più che la signora d’Houdetot, ma rivestita di tutte le perfezioni di cui avevo ornato l’idolo fittizio del mio cuore».14
Come è noto, la vicenda autobiografica con Mme d’Houdetot si conclude negativamente; non solo perché Sophie, legata ad un altro uomo, non ricambia la passione di Rousseau, ma anche, e soprattutto, perché fallisce quel progetto di ménage à trois, da sempre accarezzato, con cui questi aveva sperato di poter coronare la sua sfortunata esperienza amorosa.15 Travolto dagli avvenimenti che sfoceranno nella definitiva rottura con Mme d’Epinay e tutti gli «holbackiens», e nella rapida fuga dall’Ermitage, il rapporto con Sophie d’Houdetot non trova alcuna soluzione positiva e la sua fine coincide con l’inizio del «lungo ordito delle sventure» («long tissu des malheurs»)16 che costellerà, a partire da questo momento, la vita di Rousseau.
Sembra più che plausibile che queste vicende abbiano svolto un ruolo importante nella composizione della Nuova Eloisa. Se è vero, come si è visto, che la genesi del romanzo è prettamente immaginaria, e che la finzione influenza la vita,17 è anche vero che, in un secondo momento, la vita si riflette nel tessuto immaginario del romanzo e ne condiziona la struttura stessa. La critica più recente vede in questi avvenimenti autobiografici la fonte della definitiva redazione della Nuova Eloisa in sei parti.18 All’origine, infatti, Rousseau aveva concepito il romanzo composto di quattro parti, che doveva concludersi con la morte degli amanti durante la celebre «passeggiata sul lago» di Meillerie (cfr. Parte quarta, lettera XVII). È solo nell’autunno del ’57 che Rousseau decide di aggiungere le altre due parti, terminandone la stesura nel settembre del 1758, quando il romanzo è pronto per essere finalmente dato alle stampe.19
Si può certamente vedere in questo mutamento la volontà di «compensare», attraverso l’immaginario, i fallimenti della realtà, rendendo più solida l’immagine di Clarens e dell’armonia collettiva di cui Julie è anima e centro nel nome dell’«amicizia» e della solidarietà; e si può anche cogliervi il desiderio di riconfermare l’esaltazione dell’amore attraverso tonalità sublimi e religiose che permettano di trascendere il «malheur» dell’esperienza reale.20 Ma si potrebbe anche suggerire che, passando dalla Julie in quattro parti a quella in sei parti, Rousseau abbia voluto sostituire la soluzione «tragica» (la morte degli amanti) con una soluzione che potremmo definire conflittuale, mostrando allo stesso tempo il successo e il fallimento della scelta morale di Julie. Questa infatti, nella stesura definitiva del romanzo, rinuncia alla passione per Saint-Preux e sposa Wolmar per tornare infine, nel seno stesso della pace di Clarens e della virtù riconquistata, ad invocare nostalgicamente l’amore e il desiderio solo quando, data la prossimità della morte, non possono più nuocere. Ma su questi temi dovremo evidentemente tornare.
Ciò che importa subito rilevare è che la Nuova Eloisa non è soltanto un «romanzo d’amore», unicamente scaturito dalle «fantasticherie» o dalle esperienze erotiche di Rousseau, bensì esso è anche una riflessione morale: i due temi, quello amoroso e quello morale, sono anzi strettamente fusi tra loro, perché il secondo, in un’ottica squisitamente rousseauiana, trae forza e consistenza dal primo. L’efficacia del messaggio morale sta nel fatto che Julie conquista la virtù attraverso l’amore, che ella approda al bene solo dopo la lotta contro il male, dopo la liberazione dagli effetti alienanti e distruttivi della passione.
In verità, come cercherò di far vedere, dietro il conflitto tra l’amore e la virtù, tra le passioni e la morale, si cela un più profondo contrasto tra due opposte dimensioni dell’Io, l’una tesa, per così dire, alla passione, l’altra all’autoconservazione. Ciò vuol dire – ed è questo a mio avviso uno dei punti di maggior interesse del romanzo – che il conflitto si complica poiché non è riducibile all’opposizione tra l’individuo e la società, tra la vita pulsionale individuale e la norma collettiva, bensì esso si radica nell’interiorità stessa del soggetto, in particolare del soggetto amoroso.
L’obiettivo morale è dunque altrettanto importante della problematica amorosa, anzi, come si è detto, è inseparabile da essa. Sempre riferendosi alla genesi del romanzo, Rousseau scrive infatti nelle Confessioni: «Era certamente la migliore conclusione che si potesse trarre dalle mie follie: l’amore del bene, che non si è mai allontanato dal mio cuore, le volse naturalmente verso degli oggetti utili di cui la morale avrebbe potuto trarre il suo vantaggio. I miei quadri voluttuosi avrebbero perduto la loro grazia se vi fosse mancato il dolce colorito dell’innocenza».21 Dare alla Nuova Eloisa una valenza morale sembra essere una sua preoccupazione centrale; dovuta probabilmente alla riluttanza con la quale l’austero critico delle arti e delle lettere del Discorso sulle scienze e sulle arti o il futuro autore della Lettera a d’Alembert sugli spettacoli, si avvicina ad un genere frivolo ed ambiguo come il romanzo, catalogabile tra quei «libri effeminati che respiravano l’amore e la mollezza»22 che egli aveva più volte censurato.23
Ma, a dispetto delle sue stesse affermazioni, non bisogna dimenticare che Rousseau si era già fatto «contaminare» dal mondo del teatro e delle lettere, componendo ad esempio l’opera musicale Les muses galantes (1745), o la pièce teatrale Narcisse ou l’amant de lui-même (1752). Nel caso della Julie, egli insiste tuttavia, con una sorta di autocompiacimento, sull’impulso irresistibile che lo spinge, suo malgrado, a comporre un’opera letteraria.24
In realtà, egli è dichiaratamente convinto della forza di persuasione morale della Nuova Eloisa, dovuta proprio alla chance che essa offre di descrivere il percorso che conduce alla virtù attraverso il confronto e la lotta di un soggetto più vulnerabile che colpevole, contro le forze negative che lo minacciano.
Prevenendo ogni possibile critica, egli continua infatti nelle Confessioni: «Ma se una giovane, nata con un cuore ugualmente tenero e onesto, si lascia vincere dall’amore da ragazza, e ritrova, da donna, le forze per vincerlo a sua volta e conservarsi virtuosa: chiunque vi dirà che questo quadro nel suo insieme è scandaloso e non è utile, è mendace ed ipocrita; non lo ascoltate».25
Ben lungi dall’essere fine a se stessa o addirittura fonte di corruzione, la rappresentazione delle passioni ha uno scopo edificante e pedagogico molto più efficace della fredda enunciazione di principi morali astratti, come sarà esplicitamente teorizzato da Saint-Preux: «Forse i romanzi sono l’estrema istruzione che si possa dare a un popolo abbastanza corrotto perché ogni altra gli riesca inutile; quindi vorrei che la composizione di siffatti libri non fosse permessa che a persone oneste ma sensibili, capaci di versare il cuore nei loro scritti, a scrittori che non fossero al di sopra delle umane debolezze, che non mostrassero a un tratto la virtù in un cielo inaccessibile agli uomini, ma gliela facessero amare dipingendola dapprima meno austera, e poi dal seno del vizio li portassero a poco a poco verso di lei».26
La scelta del romanzo sembra dunque trovare sul piano morale una fondazione più sostanziale che formale nella concezione rousseauiana della virtù e della formazione del soggetto etico: diversamente dalla «morale del sentimento» o dalle posizioni ottimistiche per lo più comuni ai philosophes,27 la virtù per Rousseau è un oggetto di conquista, in contrasto e non in armonia con la natura dell’uomo, il quale per arrivare ad essa deve conoscere e attraversare il male, ritrovando alla fine il bene su di un piano più alto e individuale. Il romanzo permette di rappresentare, attraverso le sue varie fasi e nel suo progressivo divenire, il viaggio iniziatico che conduce il soggetto dallo stato di «faiblesse» e di errore a un ordine etico superiore. Quest’ultimo assume maggiore solidità e consistenza per il fatto stesso di essere una mèta dolorosamente conquistata.
Nella Professione di fede del Vicario savoiardo, nelle Lettere morali e infine nella Lettera a d’Alembert sugli spettacoli, tutti scritti tra la prima e la seconda stesura della Nuova Eloisa (in quattro e sei parti), Rousseau aveva approfondito la sua riflessione sul tema morale e religioso, integrandolo successivamente nel romanzo; non soltanto nelle ultime due parti, in cui egli fonda ulteriormente la morale coniugale su basi religiose e sviluppa, attraverso le vicende di Lord Bomston, il tema dell’opposizione amore/matrimonio; ma anche nelle prime quattro parti, dove rielabora in questo senso alcune lettere (per esempio l’importante lettera XVIII della Parte terza).
Tuttavia, ancora non del tutto soddisfatto di queste integrazioni, egli decide di scrivere una seconda prefazione al testo, la Préface dialoguée,28 in cui, attraverso un serrato e vivace dialogo tra i due personaggi, che prefigura quello tra Rousseau e il suo «doppio» nei Dialoghi, egli ribadisce l’utilità morale del romanzo, laddove questo sappia mostrare il bene e la virtù come mète concrete ed accessibili, sempre offerte a chi voglia redimersi dall’errore. «Sublimi autori, – dice uno degli interlocutori della Préface – abbassate un poco i vostri modelli, se volete che siano imitati. A chi mai vantate la virtù immacolata? Eh! parlateci di quella che si può riconquistare; così almeno qualcuno vi potrà capire».29
La rivendicazione della funzione morale del romanzo non è peraltro un tratto originale di Rousseau. Egli si inserisce infatti in una tradizione narrativa che aveva trovato il suo fondatore in S. Richardson, il celebre autore inglese tradotto in Francia da Prévost, iniziatore del romanzo realista e virtuoso; nel quale, come lo stesso Diderot entusiasticamente rileva nel suo Eloge de Richardson,30 l’analisi dettagliata della vita quotidiana e dei sentimenti è strettamente intrecciata con l’evidente intento di incidere sui costumi e di formare le mentalità.31 Tuttavia, le affinità tra la vicenda di Julie e quella di Clarissa Harlowe, l’eroina dell’omonimo romanzo inglese a cui Rousseau si è in parte ispirato,32 si rivelano in realtà assai scarne. Fuggita da un’ignobile famiglia che vuole imporle il matrimonio con un uomo che non ama, Clarissa viene, contro la sua volontà, sedotta da Lovelace, l’uomo che ama, e muore infine nella disperazione. Sebbene essa sia priva di colpa, la perdita della virtù la condanna inesorabilmente ad una tragica fine.
Ciò che più colpisce, tra le evidenti differenze rispetto al romanzo rousseauiano, è che la virtù sembra qui avere, come è stato peraltro rilevato, una connotazione esclusivamente sessuale;33 ciò che dà al testo di Richardson un tono moraleggiante del tutto privo della profondità psicologica della Nuova Eloisa, dove la riconquista della virtù è anche, fondamentalmente, riscoperta della propria identità e della propria coesione interiore.
In questo senso, il concetto rousseauiano di «virtù» è molto più vicino a quello che si delinea nei romanzi di Prévost, come il Cleveland o la Manon Lescaut, dove la lezione di morale avviene attraverso la descrizione del viaggio del soggetto nell’universo delle passioni, in cui questo va fatalmente incontro alla perdita di sé per ritrovare infine il proprio equilibrio psicologico, la propria solidità interiore ed il senso dei valori collettivi. Des Grieux riscopre la via della virtù e dell’onore solo dopo aver vissuto fino in fondo il dolore e gli abissi in cui lo getta la sua invincibile passione per Manon. Cleveland deve conoscere la solitudine, il lungo errare in luoghi estranei e minacciosi e finanche il rischio dell’incesto, prima di riunirsi con Fanny all’insegna di una felicità pacata in armonia con le leggi e i valori universalmente condivisi.34
Tuttavia, il gusto per l’esotico e le avventure straordinarie ed eroiche che ancora lega Prévost alle atmosfere fantastiche e irreali del romanzo d’intrigo seicentesco (tipico ad esempio di Mlle de Scudéry o La Calprenède),35 è assente in Rousseau, attento essenzialmente all’analisi psicologica e alle complesse sfumature dei sentimenti. Si può parlare invece, a questo proposito, di un diretto legame tra la Nuova Eloisa e la Principessa di Clèves,36 nella quale, come è stato osservato, «per la prima volta, nella storia del genere romanzesco, la raffigurazione del sentimento è l’oggetto principale di un romanzo».37
Ma sulla profonda influenza del romanzo di Mme de La Fayette su Rousseau torneremo più avanti. Non è ad esso però che questi deve la scelta della forma epistolare, aspetto niente affatto secondario della Nuova Eloisa, che ci impone di risalire, ancor prima della Principessa di Clèves, alle Lettres portugaises di Guilleragues:38 breve romanzo in cinque lettere in cui la protagonista, Marianne, scrivendo all’antico e indifferente amante, racconta la propria passione, mostrando con toccante immediatezza gli stati d’animo contrastanti che essa attraversa prima di giungere ad una peraltro dubbia «guarigione».
Lo stile epistolare che, a partire dalle Lettres portugaises, conosce in Francia una larga diffusione, permette proprio l’analisi dei sentimenti nel loro nascere e nel loro divenire, così da coglierne le infinite sfumature, gli stati contraddittori e conflittuali, l’immediata intensità emotiva. 39 Esso risponde a quel bisogno di autenticità e di espressione di sé con cui il soggetto, alle soglie dell’età moderna, cerca una ridefinizione di sé in un mondo attraversato dalla crisi dei valori aristocratici.
Non a caso la formula epistolare verrà adottata, nel secolo successivo, da quello che è stato definito il «roman sentimental», che va da Mme de Tencin alle Lettres d’une peruvienne di Mme Graffigny, ai romanzi di Mme Riccoboni: 40 qui il sentimento, o meglio la «sensibilità» si configura come il valore-chiave intorno al quale l’Io si ristruttura cercando il senso di sé non più nei valori «pubblici» della «gloria» e dell’«onore», che nel secolo precedente avevano ispirato il teatro di Corneille e la «morale eroica», ma nel mondo intimo e soggettivo di desideri, sensazioni, passioni, e persino nella sofferenza e nel malheur che da questo inevitabilmente scaturisce.41
La presenza di questi temi nella Nuova Eloisa mostra, come vedremo, che l’influenza del romanzo sentimentale francese è stata forse più incisiva dello stesso Richardson, il quale usa lo stile epistolare per descrivere i dettagli della vita quotidiana e disegnare quadri di costume, più che per analizzare i sottili risvolti della vita emotiva. Rousseau adotta tuttavia una formula polifonica che, per lo più assente dal romanzo precedente, sembra voler rendere conto non solo della maggiore complessità dei sentimenti e dei codici esistenti, ma anche della ricchezza del gioco intersoggettivo, da cui ogni personaggio non esce mai illeso, spesso mutando la propria fisionomia o il proprio ruolo iniziale attraverso lo scambio comunicativo con l’altro.42 Neppure I legami pericolosi di Laclos,43 che pure conservano la polifonia della Nuova Eloisa, riusciranno a dare il senso, così forte in Rousseau, delle molteplici sfaccettature dell’Io e del suo configurarsi anche attraverso l’interazione con l’esterno e gli altri attori del gioco.
Ma non bisogna dimenticare quello che si può considerare un archetipo della letteratura epistolare, e che ispira il titolo stesso del romanzo rousseauiano: le Lettere d’amore di Abelardo e Eloisa44 che il ’700 aveva riscoperto facendone un vero e proprio «mito», sia attraverso la libera traduzione di Bussy-Rabutin nel 1697, sia attraverso la celebre opera del Pope, Eloisa to Abelard, del 1717. Rousseau fa nel testo un riferimento fugace alla vicenda dell’eroina medievale (Parte prima, lettera XXIV), il cui spirito «cortese» aleggia tuttavia nella concezione dell’amore e della passione che percorre la Nuova Eloisa. Che in questa siano presenti temi e motivi dell’erotica cortese, è confermato anche dai frequenti riferimenti a Petrarca e ad altri poeti italiani (Tasso, Metastasio, Marini) da cui Rousseau trae il modello dell’«amore puro», svincolato sia dall’istituzione e dalla legge (come quella del matrimonio) sia dalla dimensione temporale e caduca della corporeità e dei sensi.45 Ma vedremo che, al di là delle apparenti convergenze, esiste una profonda e radicale differenza tra l’appassionata fedeltà all’amore di Eloisa e la scelta morale della «nuova Eloisa» di Rousseau.
Per coglierla a fondo, e trame così tutti gli elementi di modernità della Julie, è necessario in prima istanza addentrarsi nella concezione rousseauiana dell’amore e della passione.
2. Amore-passione e amore di sé
Il testo letterario sembra fornire a Rousseau il contesto più adatto a tracciare le trame complesse di quella che potremmo definire la sua teoria dell’amore se egli stesso non avesse mostrato ripetutamente insofferenza verso ogni eccessivo «esprit de système».
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